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Da il manifesto

«Sorellanze. Per una psicoanalisi femminista», edito da DeriveApprodi. Il volume scritto da Silvia Lippi e Patrice Maniglier è il primo della nuova collana editoriale «Sabir». Un testo a metà tra l’invettiva, la ricostruzione storica e la critica radicale al maschilismo insito nella teoria freudiana e lacaniana. L’autrice e l’autore si affidano idealmente alla guida di Valerie Solanas che immagina un mondo costituito a partire dalle sole relazioni tra donne

Se la pratica politica dell’autocoscienza, il «partire da sé», l’idea di un posizionamento che parte dal corpo, anziché dal ruolo e dallo status giuridico, hanno segnato profondamente la storia dei femminismi negli anni Settanta, è altrettanto vero che negli stessi anni si andava dipanando una matassa molto più complessa: il rapporto tra psicoanalisi e femminismi inglesi, francesi e italiani, con approdi diversi eppure accomunati dall’idea secondo cui scavare a fondo significa decolonizzare l’inconscio dallo sguardo maschile e patriarcale per aprirlo ad una sessualità libera e indipendente, in poche parole al desiderio di ciascuna.

Coscienza e inconscio hanno a che fare sempre con il linguaggio, ma la prima risponde alla possibilità di prendere parola sulla propria condizione a partire dalla riflessività, il secondo richiede sicuramente un processo di emersione più lento e articolato perché assai lontano dalla razionalità. 

Sinteticamente, infatti, si potrebbe dire che «prendere coscienza» di una condizione risponde più alle logiche sociali e culturali, mentre maneggiare l’inconscio significa riportare alla luce gli abissi che si manifestano sotto forma di sintomi, fantasmi, linguaggi scomposti e notturni. Pertanto, potremmo dire che se l’inconscio si manifesta sempre a partire dal proprio vissuto singolare, la coscienza può anche manifestarsi collettivamente.

In tal senso gli anni più floridi del rapporto tra femminismi e psicoanalisi sono senz’altro stati i primi Settanta della seconda metà del Novecento. L’approccio freudo-marxista di Juliet Mitchell, ad esempio, è stato importantissimo nel contesto anglosassone e poi ovunque per sostenere la tesi secondo cui nei femminismi socialisti riferirsi solo a Marx, senza tener conto di Freud, significa ridurre la portata di quest’ultimo nel momento in cui ha indicato nel profondo l’origine della scena edipica, a partire dalle figure paterne e materne, nonché della sessualità.

Secondo Mitchell, infatti, al di là della condizione di subalternità femminile prescritta dalla biologia, l’inconscio incamera anche la condizione sociale e culturale dell’asimmetria disegnata dal patriarcato divenendo un fatto psichico di matrice storica, non solo biologica.

Parallelamente, in quegli anni, in Francia si andava costituendo il gruppo fondato da Antoinette Fouque «Psy-et-Po» (psicoanalisi e politica), da cui poi emergeranno figure fondamentali per il femminismo radicale della differenza, quali Luce Irigaray, Julia Kristeva e altre.

Su quest’ultimo approccio diveniva centrale l’influenza di Jacques Lacan, dello strutturalismo e della centralità del linguaggio. Loro, a differenza di Mitchell, non faranno sconti né a Freud, né a Lacan, né all’intero plesso costitutivo della filosofia occidentale, al punto che la stessa Irigaray, come noto, con le sue idee centrate sulla valorizzazione della sessualità e del sesso femminile inteso come «speculum» e non come «specchio» del e dal maschile, sarà letteralmente cacciata dalla scuola lacaniana.

In quegli anni, in altre parole, il gesto dell’inconscio o, se vogliamo, il taglio dal logos maschile e dal fallocentrismo, in sintesi dall’ordine simbolico del padre, si sarebbe poi andato a sedere sull’ordine simbolico della madre e della sessualità femminile, non senza generare problemi, equivoci, conflitti intergenerazionali.

Da allora, a parte Judith Butler che ha criticato con veemenza alcune categorie lacaniane, collocandosi all’interno di ciò che potremmo definire «post-strutturalismo», a parte altre psicoanaliste interessanti come Manuela Fraire da una parte e Clotilde Leguil dall’altra, con la sua interessantissima critica al concetto di «genere» inteso come linguaggio incline all’ideologismo, nonché al nascondimento del valore singolare di ogni essere umano, donna o uomo che sia, e poco altro, non abbiamo assistito a vere e proprie scene di rottura rispetto alla tradizione teorica e clinica della psicoanalisi. Quantomeno non dal suo interno.

A rompere tutti questi schemi, invece, è arrivata da poco nelle nostre librerie, l’edizione italiana di “Sorellanze. Per una psicoanalisi femminista” (pp. 256, euro 20) di Silvia Lippi e Patrice Maniglier, primo testo di una promettente collana di Derive Approdi dal titolo “Sabir”, diretta da Federico Chicchi, Luca Negrogno e Marco Rovelli.

Il volume, già uscito in Francia nel 2023, si presenta sin dalle prime pagine come un testo a metà tra l’invettiva, la ricostruzione storica del rapporto tra femminismi e psicoanalisi, la critica radicale al maschilismo insito nella teoria freudiana e lacaniana, provando con ogni mezzo a ritessere un rapporto critico e articolato tra femminismi contemporanei, psicoanalisi e politica.

Scritto da una psicoanalista e da un filosofo, un «noi» sempre declinato utilizzando un linguaggio al femminile, il volume mira a compiere una serie di mosse ardite e sorprendenti.

Proviamo a sintetizzarne alcune.

L’inconscio è sempre rivoluzionario, è senz’altro singolare, ma può anche diventare collettivo, connotandosi attraverso il filtro della «sorellanza» al fine di decostruire la triade eterosessuale «madre, padre, bambino/bambina»; per mettere in luce «l’impensato eteropatriarcale, coloniale, borghese, eventualmente anche omofobo e razzista», bisognerebbe decostruire i discorsi della psicoanalisi al fine di renderla più attuale e rispondente alle realtà sociali della contemporaneità; la «psicoanalisi sororale» è indispensabile per destrutturare il nesso tra essa e i contesti storici patriarcali in cui è nata; sul fronte femminista è bene, invece, recuperare il nesso che secondo Lippi e Maniglier esiste tra il Manifesto “SCUM” di Valerie Solanas e il #metoo contemporaneo per permeare di nuova psicoanalisi il femminismo odierno di quarta ondata.

Per fare cosa? Semplice, rispondono Lippi e Maniglier: «Per ricominciare con la psicoanalisi su un’altra strada. Non più quella del fallo, ma della sorellanza». Come noto, Solanas ha avuto una biografia alquanto complessa: spara a Andy Warhol che cerca di appropriarsi illegittimamente di un suo scritto lasciandolo inabile per il resto della sua vita, vive ai margini della società, trasforma la sua labile psiche in qualcosa che, secondo Lippi e Maniglier, «colpisce nel segno».

Ma cosa può voler dire davvero in questo testo «eliminare tutti gli uomini», nonché fare della vita «delirante» di Valerie Solanas qualcosa di rivoluzionario anche per la psicoanalisi, oltre che per il femminismo?

Innanzitutto, vuol dire definire le donne e tutto il femminismo odierno senza fare più riferimento al maschile se non attraverso il filtro delle relazioni reciproche, ma significa anche rimettere al centro il concetto di sorellanza intendendo con ciò il principio secondo cui una donna può diventare una sorella, mentre un uomo è sempre ciò che ostacola la sorellanza, proprio come accaduto quando molti uomini attaccavano il movimento #metoo considerandolo bigotto, vittoriano e criminalizzante.

Messa così, con questa sintesi, potrebbe persino apparire un libro a sua volta provocatorio, oltre che molto semplificato. In realtà, invece, i processi di decostruzione e ricostruzione presenti in ogni pagina di questo testo mirano fondamentalmente a sostenere la tesi secondo cui sia il desiderio che la politica non sono saggi, né mai si sono dati in questa forma e dunque perché continuare ad imbastire parole ipocrite basate ancora sull’egemonia del patriarcato e di una sua presunta normalità?

Certamente osare, spingere in avanti, generare tagli epistemologici e posizionati è sempre stato importantissimo per i femminismi. Tuttavia, relazionandosi con questo libro qualche piccola perplessità arriva.

Il concetto di sorellanza, ad esempio, proveniente dall’ideologia socialista ed emancipazionista non si è mai dato nella realtà della relazione tra donne e ciò perché sia la pratica dell’autocoscienza che la psicoanalisi hanno sempre dimostrato quanto di fatto ognuna sia singolare, per esperienza e per vissuto.

Inoltre, il patriarcato old school oggi si manifesta a sua volta come un “sintomo” votato spesso al rovescio violento e aggressivo, risentito, nonché affetto da gravi patologie del desiderio: siamo certe che “castrare” definitivamente il maschile sia davvero fecondo per i femminismi?

La discussione potrebbe continuare all’infinito, intanto non v’è dubbio che questo libro costituisce un nuovo taglio, qualcosa di radicalmente nuovo che senz’altro può contribuire al lavoro di decolonizzazione dal maschile dell’inconscio transfemminile e a cambiare la psicoanalisi.