Il tribunale ordina di prelevare il figlio dalla madre e consegnarlo al padre (che il bambino rifiuta)
Luisa Betti Dakli
14 Ottobre 2019
di Luisa Betti Dakli
Nei
procedimenti di affido post-separativi, il tribunale dei minori ormai
funziona così: per salvaguardare la bigenitorialità si strappa il
bambino dalle braccia di un genitore (di solito accudente) per
consegnarlo nelle mani del genitore che il bambino rifiuta e
imponendo incontri forzati, deportazione in casa-famiglia, o affido
esclusivo con chi non vuole stare il minore escludendo del tutto
l’altro.
In
un ribaltone incoerente e pericoloso dove ci si dimentica che
bigenitorialità significa garantire la presenza di entrambi anche
dopo la separazione ed escludendo l’altro solo in casi gravi come
violenza domestica o abusi. Violando il diritto del bambino a vivere
una vita tranquilla lontana da traumi, lo si sottopone a uno stress
emotivo senza pari: lo si forza, non gli si crede e non s’indagano
i motivi reali del rifiuto che di solito riguardano mancanze o
addirittura azioni gravi dell’adulto rifiutato, ma al contrario gli
si impone una presenza senza aver cercato in maniera approfondita le
cause oggettive del disagio.
Procedimenti
per l’affido in cui il potere decisionale dalla discrezionalità
del giudice passa praticamente in mano a psicologi e psichiatri che
nelle loro perizie (Ctu – Consulenze tecniche d’ufficio) decidono a
tutti gli effetti il destino di queste persone. Perizie che ormai
nella quasi totalità si basano su una pseudo-teoria che diverse
lobby interessate, anche economicamente, stanno cercando di far
passare in una legge di Stato, come è successo con il
contestatissimo disegno di legge Pillon che ha avuto il merito di
scoperchiare il vaso di pandora sull’alienazione parentale: un
costrutto inaffidabile, rifiutato dal ministero della salute,
bocciato dalla Cassazione e bandito in Spagna e in Francia per i
danni che ha causato, ma soprattutto inventato negli anni ’80 da un
medico statunitense, Richard Gardner, secondo cui se un figlio
rifiuta un genitore la colpa è dell’altro che aliena il bambino a
prescindere da tutto, anche da eventuali possibili violenze,
sicuramente false e costruite per allontanare il genitore preso di
mira. Un disturbo diventato prassi nei tribunali, ma mai entrato nel
DSM (The Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders), e
applicato da giudici che probabilmente non sanno chi era Gardner: un
uomo perverso che nei suoi libri affermava, tra le altre cose, che
«se un padre abusa della figlia – scrive Gardner – la colpa è
della madre inibita che non vuole fare sesso con suo marito e che, al
fine di evitare scappatelle extrafamiliari, gli offre la figlia» (R.
Gardner, L’isteria
collettiva dell’abuso sessuale,
ed. Quattro Venti, Urbino 2013, p. 59).
Una mannaia, quella dell’alienazione parentale, che pochi giorni fa ha colpito un’altra mamma (i casi sono numerosi in Italia) che dopo sette anni di ricorsi, Ctu, denunce, incontri protetti, si è vista arrivare l’ordinanza del tribunale dei minori in cui si decide che suo figlio, attualmente convivente con lei, sarà prelevato d’urgenza e affidato in maniera esclusiva al padre “rifiutato” e qui monitorato h24 da “personale specializzato”, mentre la mamma potrà avere un contatto con il bambino ogni 15 giorni in spazi neutri, aggiungendo anche che, nel caso di difficoltà, sarà collocato in casa famiglia, e questo per salvaguardare la bigenitorialità.
Una storiache in realtà è un copione già visto, dove lei lo lascia dopo la nascita del figlio e lo manda via di casa (che è la sua) perché i continui litigi alla fine sono diventati qualcosa di più, e anche se la denuncia per maltrattamenti viene archiviata, lei continua ad avere paura. Nel frattempo, i rapporti s’inaspriscono e diventa una difficile frequentazione quella tra padre e figlio, su cui il tribunale decide che il bambino, pur rimanendo con la madre ritenuta idonea, dovrà vedere il padre in maniera regolare. Ma la situazione precipita perché il bambino sembra sofferente, è iperteso e non va volentieri con lui, ed è qui che inizia l’escalation senza fine: i timori della mamma a lasciare solo il minore, la richiesta sempre più pressante dell’uomo di tenere con sé il figlio rivendicando i pernotti, le 17 denunce in cui lui accusa lei di non fargli vedere il bambino, e infine il ricorso del padre al tribunale dei minori per togliere a lei la responsabilità genitoriale e chiedere l’affido esclusivo.
Elementi esplosiviche in confronto a quello che succederà, grazie al tribunale dei minori, è niente. Questa è una storia che ha dell’incredibile dove, oltre al bambino che prende la pasticca per la pressione come il nonno, i personaggi si muovono in maniera orchestrata nella direzione di un disegno già prestabilito che è quello di cercare un unico capo espiatorio su cui verrà riversata ogni responsabilità applicando pedissequamente i dettami del Gardner citato sopra, per un finale già ampiamente conosciuto: una mamma demolita passo dopo passo come donna, madre, moglie, e un uomo che sarà promosso a padre migliore del mondo e che alla fine incasserà il suo “premio” senza dover mettere in discussione praticamente nulla di sé.
In uno scenariogià visto molte volte, i timori e i dubbi della signora non vengono presi in considerazione o addirittura sono sottovalutati, mentre vengono accese su di lei nuove spie davanti a esperte che invece di contenere la situazione incandescente, si pongono in maniera ostativa verso la donna perché sono convinte che se il bambino non vuole andare col padre è solo perché lei ostacola il rapporto, e senza approfondire le disfunzioni tra padre e figlio in maniera autonoma e lavorando sull’adulto per verificare le cause reali, si convincono che allontanando lei e imponendo al minore la presenza del genitore rifiutato, la situazione si risolva. Vogliamo interpretarle come paladine del pensiero di Gardner?
Un percorsoche non arriva subito ma che viene costruito con cura, gradualmente fino al colpo finale, che di solito si conclude con il prelievo coatto del bambino che piange e si ribella e che, in questo caso, avverrà probabilmente tra qualche giorno o tra qualche ora anche con l’uso della Questura se c’è bisogno:
«P.Q.M.,
visti gli articoli 333, 336 CC, visto il parere del PMM, dispone l’allontanamento del minore *** dalla madre *** e la collocazione presso il padre, ***.
Il SS del Municipio *** curerà l’esecuzione unitamente al tutore e con la presenza di un pediatra e di uno psicoterapeuta e l’eventuale collaborazione di personale dell’Ufficio Minori della Questura di *** in abiti borghesi.»
In nome della bigenitorialitàsi nega quindi il concetto stesso di bigenitorialità, e si arriva a interdire una madre accudente rilevata idonea in questi anni, a favore di un affido esclusivo a un padre che non lo ha cresciuto e a cui il bambino non è abituato. Una storia che comincia quando la madre inizia ad avvertire il disagio del figlio dopo gli incontri da solo con il padre e si preoccupa:
«perché il bambino si sveglia con gli incubi notturni, dopo due anni che dormiva ormai da solo ha iniziato a chiedere nuovamente la vicinanza della madre per dormire e durante l’estate ha avuto episodi di enuresi notturna, che non era più capitata dopo aver eliminato il pannolino. Inoltre non vuole più andare a scuola, e quando si sveglia al mattino la sua prima richiesta riguarda chi va a riprenderlo all’asilo».
Ma è nella prima Ctu di una neuropsichiatra, che vanta una grande esperienza in proposito, che si mettono le basi della decisione di oggi, perché già qui viene sospettato un possibile caso di alienazione riferito dalla Ctp (consulenza di parte) del padre:
«Quanto esposto nelle CCTTPP in merito ai possibili sviluppi negativi nel rapporto padre/bambino sembra probabile in base anche alla forza delle convinzioni della madre e dei nonni materni sulla negatività del padre del minore.»
Un padreche, secondo la signora, non è stato mai molto collaborativo e che è uscito da casa della mamma, dove è poi tornato, per entrare in una convivenza dove lei, oltre a lavorare fuori, doveva lavorare anche a casa per la pigrizia del marito. Un uomo che, sempre secondo lei, non è mai stato presente con il figlio e che oltre a denigrarla quando era incinta per il suo aspetto fisico e il suo peso, le aveva promesso una punizione esemplare per essere sfuggita al suo controllo, e che dopo l’ha perseguitata fino a quando lei non l’ha denunciato per stalking.
Affermazioni
sconfessatedal
marito, che insiste sul fatto che sia invece lei la causa di tutto e
che lui a questa vita insieme ci credeva perché l’amava e l’aveva
scelta. Perizie che si concentrano su come riattivare il rapporto
padre-figlio in un contesto in cui la mamma appare solo ostativa e
mai degna di vero ascolto, analisi che non valutano mai attentamente
l’eventualità che questo rifiuto possa dipendere semplicemente da
un adulto che magari non riesce a relazionarsi con suo figlio in
quanto ha difficoltà oggettive, dato che un bambino che ha un buon
rapporto con un genitore non fugge e non lo rifiuta, anzi lo cerca e
lo vuole al di là di quello che dicono gli altri, compresa una
madre. Dopo qualche anno di acceso conflitto complessivo, con denunce
reciproche compresa la sostituzione del giudice, segue un’altra
Ctu, quella della dottoressa Irene Petruccelli che, tra le altre
cose, ha curato Elementi
di psicologia giuridica e criminologica
(Franco Angeli editore), in cui si spiega bene la teoria
dell’alienazione parentale riprendendo largamente il suo inventore:
il già citato Gardner reso celebre dai sostenitori della Pas
(Parental alienation
syndrome), ma in
realtà poco conosciuto per gli scritti in cui parla ampiamente di
pedofilia, dicendo, tra le altre cose, che «c’è
una buona ragione per credere che la maggioranza, se non tutti i
bambini, hanno la capacità di raggiungere l’orgasmo appena nati»
(R. Gardner, True and
False Accusation of Child Sex Abuse, ed Creative Terapeutics,
Cresskill NJ 1992, p. 15).
La
dottoressa Petruccelli, riguardo questo caso, va al sodo e dopo la
perizia scrive che «alla
luce delle valutazioni peritali non vi sono per il momento e per il
prossimo futuro le condizioni per mantenere vivo un rapporto tra
figlio e madre che andrebbe immediatamente interrotto».
E quindi, sempre sulla base delle teorie di Gardner e mettendo l’alienazione parentale sullo stesso piano di abusi e violenze intrafamiliari su cui abbonda letteratura internazionale in cui mai viene citato tale costrutto, consiglia al tribunale quanto segue:
«L’alienazione parentale è a tutti gli effetti una forma di abuso psicologico e volendo creare pertanto un parallelo con le altre forme di violenze intrafamiliari, il modo di agire dovrebbe essere lo stesso. Il figlio ha il diritto di essere allontanato dal genitore abusante nei casi di violenza psicologica, fisica, sessuale (e altro ex art. 333 CC). Alla luce di queste osservazioni è necessario suggerire provvedimenti giudiziali, con risvolti psicologici, per tutelare la salute psicofisica di ***, e ripristinare al più presto il suo diritto relazionale con il padre. Si suggerisce:
a) Allontanamento immediato e urgente del minore dalla figura materna e dal suo contesto familiare.
b) Trasferimento di *** in una struttura protetta per minori per un periodo non inferiore a tre mesi. Il rientro avverrà nell’abitazione del padre.
c) Sospensione di tutti contatti tra madre e figlio per un periodo di tre mesi. Successivamente, è preferibile ripristinare solo contatti telefonici tra madre e figlio (supervisionati dal sig. ***) per altri tre mesi. Dopo sei mesi, eventualmente, valutare la possibilità di ripristinare gradualmente il rapporto, anche fisico, con la madre. La modalità di riavvicinamento figlio-madre (presso centro pubblico o privato) dovrebbe avvenire attraverso uno specifico programma psicologico che dovrà essere deciso dal sig. *** nell’esclusivo interesse del figlio.
d) Affidamento super-esclusivo al sig. ***, con il quale, ex art. 337-quater CC, si intende che anche le decisioni di “maggior interesse” siano delegate al genitore affidatario.»
Un decretoche arriva sulla testa di un minore bravissimo a scuola e che gli stessi servizi sociali non reputavano di dover allontanare dalla casa e dall’ambiente dove è cresciuto «poiché ben inserito», e che aveva la passione del basket: sport che frequentava da tre anni e che la tutrice (dopo che il tribunale le ha affidato la responsabilità genitoriale togliendola ai genitori), ha sospeso perché coincideva con gli orari degli incontri. Un bambino che esitava sul pianerottolo degli incontri protetti, che piangeva per tornare a casa, che riusciva a giocare con il padre solo se inserito gradualmente e che a tratti esprimeva aggressività durante gli incontri e che, durante un ascolto protetto, si era fatto promettere dalla giudice che nessuno lo avrebbe mai tolto da casa sua, dove vive con la mamma e i nonni: giudice che aveva invitato la donna a ritirare la denuncia per stalking verso l’ex e questo per calmare la “conflittualità” dei due perché altrimenti lei avrebbe potuto perdere il figlio in quanto accusata di alienazione parentale.
Un costrutto grazie al quale i padri non vengono mai messi in discussione, e quindi in realtà mai aiutati veramente, in quanto la figura maschile non si tocca a costo di smantellare tutto il mondo del bambino mandando in frantumi affetti, certezze, legami. Strumenti ambigui e privi di scientificità, ma accettati da giudici che dovrebbero sapere le origini di questa truffa e di chi se l’è inventata, e che andrebbe espulsa definitivamente dai tribunali e non accettata e applicata.