«Il popolo delle donne»: così la crisi del patriarcato aumenta i casi di violenza
Francesca Visentin
3 Maggio 2024
Da 27esimaora.corriere.it – L’aumento di violenza, stupri, femminicidi nascono anche dalla crisi del patriarcato e dall’indebolimento dell’autorevolezza maschile: gli uomini non sopportano di perdere potere. Invidia, paura, rabbia innescano più comportamenti violenti che nel passato. Lo sostiene il film Il popolo delle donne, lectio magistralis della psicanalista Marina Valcarenghi, militante, studiosa, fondatrice di Viola, associazione per lo studio e la psicoterapia della violenza. Il film è girato dal regista Yuri Ancarani nel chiostro della facoltà di Giurisprudenza dell’Università Statale di Milano, dopo la tappa alla Statale di Milano dei giorni scorsi, sarà proiettato l’8 maggio a Torrioni in provincia di Avellino nella sala comunale (ore 17.30) e il 29 maggio a Venezia al Multisala Rossini (ore 18.30), con il regista Ancarani.
Valcarenghi è stata la prima psichiatra italiana a lavorare in carcere con detenuti in isolamento per violenza, stupri, pedofilia. Gli stupri, la violenza nascono dalla paura. Tutti gli odi vengono dalla paura. La crisi del patriarcato ha fatto esplodere frustrazioni, bisogno di rivalsa maschile, ribadisce la psicoterapeuta nell’intervento firmato da Ancarani. Un ragionamento che nasce dai suoi studi e va alle radici dell’odio, anche basandosi sulle testimonianze raccolte in tanti anni di terapia con i detenuti o con uomini che in vario modo hanno agito la violenza. Riflessioni sulle dinamiche relazionali di trent’anni di storia italiana e esperienze del lavoro di psicanalista, fanno emergere le paure legate al cambiamento dei ruoli di uomini e donne.
Il titolo del film, Il popolo delle donne, vuole essere un monito e una speranza, «che un giorno le donne si sentano parte di un’unica comunità con richieste condivise e battaglie collettive». Lo squilibrio tra il lungo periodo in cui le donne sono state oppresse dal potere maschile e il breve e veloce periodo (tra il 1946 e il 1976 circa) in cui si è sviluppata l’emancipazione femminile, anche grazie a leggi e cambiamenti sociali, ha generato una reazione maschile violenta, che secondo Valcarenghi si poteva prevedere. C’è una strada per il cambiamento? «Non c’è da cambiare strada, c’è da proseguirla. – sottolinea Valcarenghi – Proseguirla per me vuol dire per esempio insistere sul pensiero della forza delle donne e sulla forza del pensiero delle donne, sia nella vita politica che in quella personale, ognuna di noi con gli strumenti che ha o che si trova, o che le sono più congeniali. Quando lo scontro si fa più duro, come adesso, è il momento più importante per non mollare, per alzare le difese, oltre che per andare avanti».
Nel film si sostiene che l’insicurezza femminile sopravvive, nonostante le conquiste economiche e sociali. «I miei corsi e i miei libri in tutti questi anni sono stati rivolti a incoraggiare e sostenere le donne nella ribellione alla tradizione rassegnata del passato – dice Valcarenghi – per sentirsi sempre di più protagoniste della loro vita. Ma per affrontare un problema è necessario averlo riconosciuto». Il regista Yuri Ancarani ha evidenziato che «Valcarenghi ha lavorato sui diritti delle donne, portando nelle carceri di Opera e Bollate la psicanalisi, parlando con stupratori e assassini e studiando la violenza di genere. Da tempo volevo occuparmi della violenza di genere, ma ho capito che non poteva essere un film di finzione: tutti i film che contengono uno stupro, per quanto le registe e i registi stiano attenti, non fanno che amplificare la morbosità di chi guarda. Quindi è intrattenimento. E lo stupro non può essere trattato come intrattenimento».
Valcarenghi porta l’esperienza di psicoterapia con uomini violenti: «Per dodici anni nel mio lavoro di psicoanalista in carcere ero settimanalmente chiusa per tre ore insieme a quindici detenuti, che mi avevano voluta, in un’aula, senza testimoni e nel più rigoroso segreto professionale, con l’analisi dei sogni, l’ascolto delle vicende personali e il confronto fra i partecipanti. Quando alcuni uscivano per fine pena, entravano altri. Dopo la loro liberazione non si è mai verificato alcun caso di recidiva».