Il piacere femminile nel caos post-patriarcale
Traudel Sattler
21 Dicembre 2022
Disagio, irritazione, rabbia. Attraverso questi moti dell’anima si può far strada il piacere femminile che dice di non starci all’imperativo del godimento imposto perché sa che c’è altro. Quando questo sentire è stato messo in parole dalle giovani amiche nella redazione ristretta di Via Dogana, la mia prima reazione è stata l’identificazione.
Era come se rivivessi l’esperienza degli anni ’70 quando abbiamo detto «non ci stiamo!» davanti alle imposizioni della rivoluzione sessuale con le sue richieste di disponibilità permanente, e abbiamo fatto la rivoluzione nella rivoluzione. Subito però mi sono detta che l’identificazione non è una posizione produttiva nello scambio con l’altra o con l’altro e, soprattutto, che le giovani donne del nostro presente si trovano a vivere in uno scenario profondamente cambiato.
La scommessa politica va quindi ripensata. Grazie al femminismo, oggi le donne sono in primo piano con conquiste innegabili. La legge del padre è stata smantellata, ma il crollo di quell’ordine simbolico ci ha catapultato nel caos post-patriarcale e in una situazione molto complessa. Mentre la nostra generazione, nei gruppi di autocoscienza, si trovava davanti a un non detto sulla sessualità femminile, un vuoto di parole che stimolava creatività, voglia di invenzione e scoperta del piacere, oggi, in un mondo dominato dal mercato neoliberista, dalla rete e dai social, ci troviamo davanti a un troppo pieno, una saturazione, un’infinità di definizioni e identità da indossare a propria scelta. Per scoprire poi che nessuno di quei modelli prefabbricati ti sta bene, e c’è di nuovo un forte disagio. Come osserva Ida Dominijanni nel suo saggio illuminante “Pratica dell’inconscio, inconscio della pratica” (in La carta coperta. L’inconscio nelle pratiche femministe, a cura diChiara Zamboni, Moretti & Vitali 2019, pp.13-33) le donne sono state le prime agenti del crollo del patriarcato e allo stesso tempo prede del mercato neoliberale. L’autrice sottolinea che «il presente non può essere letto solo come un effetto della sostituzione della legge paterna con il discorso del capitalista, ma porta anche l’impronta della rivoluzione femminista». È una rivoluzione che ha comportato tanti guadagni ma che apre nuovi conflitti: ci sono parecchi tentativi di riaddomesticare le donne, e «la libertà femminile diventa insieme oggetto di cattura e spina nel fianco del passaggio dall’economia nevrotica dell’uno, del limite e dell’interdetto all’economia perversa del molteplice senza limite e senza legge».
Dominijanni ci invita a reinterrogare la nostra scommessa sulla politica del desiderio e del simbolico a partire da un nuovo disagio femminile che si manifesta in sintomi come l’anoressia e la depressione. Noi in redazione non abbiamo affrontato questi sintomi, ma preso il disagio e la rabbia come indicatori che c’è altro, che esiste un piacere femminile non riconducibile a quello fallico che oggi spesso viene imposto anche alle donne. E in primis c’è stata la consapevolezza che non si tratta di problemi psicologici e privati, ma di una questione squisitamente politica. Lo sapevano le Compromesse che hanno affrontato il discorso attraverso la pratica di scambio di parola nel loro gruppo, lo sapeva Giorgia Basch che ha ripreso le parole di Luce Irigaray, come una matrice alla quale si può tornare sempre, anche in condizioni storiche completamente cambiate. Il riferimento alla stessa matrice fa da sfondo per uno scambio in redazione per me molto arricchente: mi permette di vedere le donne più giovani nella loro soggettività e di conoscere la contemporaneità che condividiamo attraverso il loro punto di vista. Politicizzare il disagio e trovare le parole per il piacere femminile eccedente, rivela di nuovo che le donne hanno una «marcia in più» (Dominijanni) per affrontare la crisi di oggi. Me ne rallegro.