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Da L’indiscreto – Nel 1390 Sibilla Zanni e Pierina Bugatis, due contadine milanesi, furono bruciate sul rogo in piazza Sant’Eustorgio, o in piazza Vetra, a seconda dei resoconti. La loro colpa era quella di far parte di una misteriosa società capeggiata da Madonna Oriente. Sibilla e Pierina erano state condannate a morte in seguito a due processi, il primo dei quali si era però concluso con una lieve condanna: frate Ruggero, il primo degli inquisitori, riconobbe che Sibilla e Pierina avevano creduto ingenuamente alle promesse di Madonna Oriente, come quella di poter resuscitare i morti. Nel secondo processo, le due donne ammisero però di partecipare ancora al “gioco” di Madonna Oriente, soprannominata Domina Ludi, riunendosi con lei una volta a settimana per mangiare carne e compiere riti. Stavolta la condanna fu severa ed esemplare: Sibilla e Pierina non si erano limitate a credere, ma avevano continuato a giocare.

La filosofa femminista Luisa Muraro ha raccontato questa storia in un celebre libro del 1976, La signora del gioco, in cui sostiene che la caccia alle streghe sia stata «un collasso di certi confini tra fantasia e realtà», dove la dimensione del sogno e la capacità di mediazione femminile con la natura sono state brutalmente represse dall’ordine patriarcale.

Il gioco, ancora oggi, è una dimensione negata alle donne, sia simbolicamente che materialmente. Secondo il Gender Equality Index dell’Istituto europeo della parità di genere, solo il 29% delle donne ha tempo per svolgere attività sportive, culturali o ricreative fuori casa più di una volta a settimana. I dati Istat sull’Italia confermano che le donne usufruiscono più degli uomini dell’intrattenimento culturale (libri, cinema, teatro), ma quando si tratta di attività che coinvolgono il gioco, come lo sport o andare allo stadio, sono in netto svantaggio. Le donne non solo hanno meno tempo libero degli uomini, perché sono oberate dal doppio carico di lavoro salariato e domestico, ma per loro la dimensione ludica sembra preclusa a un livello più profondo, come denunciato da Muraro.

Il gioco, scrisse Johan Huizinga nel suo classico del 1938 Homo Ludens, «è innegabile»: «Si possono negare quasi tutte le astrazioni: la giustizia, la bellezza, la verità, la bontà, lo spirito, Dio. Si può negare la serietà. Ma non il gioco». Il gioco travalica la biologia e la cultura; anzi, sostiene Huizinga, alla cultura è precedente, perché gli animali non hanno imparato a giocare dagli esseri umani. Anche da adulti, gli esseri umani continuano a cercare spazio per il gioco nelle proprie vite, dai giochi di società, ai giochi a premi televisivi, passando per il gioco d’azzardo. Negli ultimi vent’anni, il gioco prende sempre più spazio nelle vite degli adulti, come dimostra l’enorme mercato videoludico (un’industria in crescita da 217 miliardi di dollari) e il fenomeno della gamification, che inserisce le dinamiche del gioco in settori che ne sarebbero privi, se non antitetici, come la scuola o il lavoro.

Le donne, però, continuano a restare fuori dai giochi. Come fece Olympe de Gouges nel 1791, chiedendosi se la “Dichiarazione dei diritti dell’uomo” riguardasse i diritti della donna, bisogna chiedersi se l’“homo” di “homo ludens” si riferisca al genere o alla specie.

Il gioco delle donne viene socialmente sanzionato, a differenza di quanto accade per gli uomini che sono più liberi di esprimersi come homini ludentes. All’uscita del film di Greta Gerwig Barbie nel 2023, molti critici uomini rimanevano sconcertati all’idea che fosse stato realizzato un film su una bambola e che fosse piaciuto a un pubblico così vasto. Una delle critiche principali stava proprio nel fatto che il film fosse in realtà un’operazione commerciale per «vendere più Barbie», una critica che si potrebbe applicare alle decine di film sui supereroi che da vent’anni escono a cadenza regolare, producendo un’enorme quantità di action figures e merchandise. Ma le critiche al Marvel Cinematic Universe, che di certo non mancano, si basano più sulla qualità dei prodotti audiovisivi che sul pericolo che possano indurre degli adulti a giocare con le bambole. Eppure il mercato delle action figures, dominato dagli uomini, supera di più di un miliardo di dollari quello del collezionismo di bambole.

Ciò che ha dato scandalo di Barbie, o forse non è stato compreso fino in fondo, è proprio la celebrazione del gioco e del divertimento che, se associata al genere femminile, non può mai essere fine a se stesso: Barbie è «carino ma non molto profondo», ha scritto il Time; è soltanto «nostalgia celebrativa per un giocattolo», ha scritto il Guardian. Per le donne, cui viene inculcato subito un enorme carico di responsabilità e cura, il gioco deve per forza finire nell’infanzia e, se prosegue nell’età adulta deve trovare una giustificazione plausibile.

Secondo Simone de Beauvoir, la manipolazione che confonde il gioco con il dovere comincia sin dall’infanzia: i maschi sono incoraggiati a giocare “a essere e fare”, due verbi indistinti, mentre le femmine sono incoraggiate a ripetere il modello materno con il gioco delle bambole. Anche le faccende domestiche sono presentate come un gioco, attraverso un meccanismo di retribuzione che si ripeterà poi nella vita adulta. Per la massaia, fare la spesa, strappare il prezzo più basso al commerciante, montare gli albumi, fare la marmellata diventano gli unici divertimenti possibili in una vita altrimenti priva di ogni altro piacere. Oggi, in una società in cui le donne non sono più solo schiave del focolare, questi divertimenti casalinghi sono sostituiti soprattutto dalla moda, dal trucco e dalla cura di sé, regni del piacere femminile che però concorrono inevitabilmente all’accumulazione del capitale erotico.

Il gioco, quindi, serve a rinforzare un ruolo piuttosto che a costruire un’identità basata sulla libertà di azione. Quando quel ruolo è stato ricoperto nell’età adulta, allora il gioco delle donne va o capitalizzato o strappato nei ritagli di tempo.

L’interdizione delle donne dal gioco senza altro fine se non il piacere è dimostrata ampiamente dalla loro esclusione dall’industria videoludica. Le donne, in realtà, giocano molto ai videogiochi: secondo il rapporto di IIDEA (Italian Interactive Digital Entertainment Association) il 38% dei e delle gamers in Italia sono donne; negli Stati Uniti, la percentuale si alza al 46%. Tuttavia, il settore resta dominato dai maschi, che costituiscono la stragrande maggioranza dei lavoratori nell’industria e il genere più rappresentato nei videogiochi. Anche il modo di giocare è diverso: quasi il 70% delle donne usa solo mobile, una modalità che consente di giocare anche per brevissimi periodi di tempo senza interferire troppo nel resto delle attività quotidiane.

Le incursioni delle donne nella fortezza machista dei videogiochi sono punite non solo a livello simbolico, ma anche materiale. Nel 2014 il Gamergate, un’enorme campagna di molestie e doxxing [divulgazione pubblica non autorizzata dei dati privati della vittima, Ndr] ai danni di videogiocatrici, giornaliste e lavoratrici dell’industria videoludica, dimostrò che nel settore non solo le donne non sono le benvenute, ma vengono anche punite per la loro presenza. Le campagne, condotte rigorosamente in modo anonimo, colpivano donne identificabili con nome e cognome. Ancora oggi, molte donne che giocano in multiplay si fingono uomini per evitare di essere molestate.

Il “gioco” della Signora del gioco, una figura misteriosa che compare in numerosi processi per stregoneria nell’Italia settentrionale, è il sabba. Muraro lo descrive non tanto come un momento di trasgressione e divertimento, ma come uno spazio di alleanze femminili e di fuoriuscita dal reale, dove le fatiche della sottomissione domestica possono essere dimenticate e si può costruire un mondo di fantasia, magia e comunione con la natura. La signora del gioco lascia doni nelle case delle donne che trova in ordine, poi le invita fuori a giocare nel sabba, per sperimentare una vita al di fuori dall’ordinario. L’ordine patriarcale non può tollerare il gioco, non perché metta in discussione la dottrina della Chiesa, ma perché col suo potenziale rivoluzionario fa uscire la donna dal ruolo che le ha sempre assegnato.