Il denaro, un sacramento della felicità
Luisa Muraro
11 Gennaio 2025
Trascrizione dell’intervento durante il dibattito del Seminario La vita alla radice dell’economia tenutosi a Verona (11-12 maggio 2007), pubblicata in Vita Cosentino e Giannina Longobardi (a cura di), La vita alla radice dell’economia, Mag, Verona 2008, pp. 52-53.
Il senso del denaro così come lo conosciamo noi varia molto da persona a persona. Mio nipotino di dieci anni non ha ancora il senso del denaro: quando esce con me sua madre gli dà dei soldi che mette in tasca e poi lui si ferma davanti un’edicola e vuole che io gli compri qualche cosa. Vuole che io gli compri qualcosa. Avrebbe tutti i soldi necessari per comprare ciò che vuole, sono soldi suoi, glieli ha dati sua mamma per lui e non ha posto condizioni, ma lui vuole che la cosa gliela compri io e fa delle scene terribili per avere comprato qualcosa che potrebbe comprarsi da solo. Una volta però siamo andati in centro e si è ricordato che aveva i soldi e ha detto: nonna ti offro un gelato; siamo andati in una gelateria del centro di Milano e tutti i soldi che aveva se ne sono andati. Non ha pensato che questi soldi sarebbero tot figurine, tot bustine. Allora ho pensato: il denaro si presenta come un sacramento della felicità, perché avendo i soldi si può. A me è capitato che quando ho una somma imprevista penso: posso comprarmi questo o quello. La somma, anche piccola, mi dispiega davanti una straordinaria ricchezza di possibilità. Finché il denaro resta sacramento di felicità può essere, come nel caso di mio nipote, la possibilità di fare festa insieme ad altri. Se posso portare mia nonna a mangiare il gelato che le offro io, divento più grande, più importante. Finché i soldi contengono questa possibilità la cosa è in bilico: e esplicano la loro natura di medium che si avvicina alla cosa spirituale. Non è che sono un mezzo come può essere una scala per salire, hanno un potere parlante straordinario. Ma cosa capita quando quella cosa lì si impadronisce totalmente di noi? Secondo Max Weber il denaro sarebbe il segno della predilezione divina: cioè chi ha più soldi sarebbe prediletto da Dio. Finché conservano questo valore di segno, i soldi non possono fuorviarci. Ma c’è un momento in questo equilibrio precario, instabile, ambiguo in cui il denaro non resta segno e diventa come si dice una “cosa potente” che comanda e diventa profitto. E sappiamo che anche il profitto è una cosa straordinaria. Io cito sempre questi piccoli industriali del Veneto che su aerei assolutamente inaffidabili, appena è caduta la cortina di ferro si sono fiondati nell’Europa dell’Est, qualche volta cascando. Per loro il denaro è un segno. Non erano degli avari, bramosi di denaro, il denaro voleva dire imprese, ingrandimento, profitto. E ciò ha trascinato in imprese che sono il grande potere del capitalismo che ha ripreso alla grande con la globalizzazione, coinvolgendo l’umanità intera dentro questa dimensione. La mia indicazione è che non si può demonizzare il denaro e neppure il demonio, perché restano ugualmente affascinanti. Non c’è niente da fare, sono le energie passionali che bisogna ricondurre alla fonte, restituire al denaro questo suo valore di segno, di sacramento. Come fare? Allora mi pare che sia quello che ha detto Vita Cosentino, citando Ina Praetorius: bisogna costantemente richiamarci alla cosa che più ci interessa, che più ci piace, che più conta. Per una minoranza potrebbero essere veramente i soldi, il profitto, il successo, ma per la stragrande maggioranza, se si risale fino all’amore alla gioia dei propri figli, dei propri bambini, se si prova a risalire agli elementi moventi e a ritornare con altri al cuore della faccenda, non i soldi ma le potenze passionali sono moventi ovvero la felicità e l’amore come ci ha detto Babacar. Non si può farlo in chiave strettamente morale, anche se è moralità questa, ma bisogna che sia un processo di una moralità vissuta in una sorta di libertà. Leggere il senso dei nostri comportamenti senza moralizzare, ammirare capitalismo, fino a un certo punto, per questa energia mobilitante e vedere che al fondo di questa energia ci sono cose che possono diventare centrali come l’amore, la felicità rendendo realistico il desiderio di felicità, non in alternativa ai soldi, ma a monte del profitto. Questo mi viene in mente di dire a Giannina Longobardi che si interrogava su quale rapporto ci sia tra soldi e spiritualità, perché negli studi che ho fatto io sugli inizi della mistica moderna – quella alla fine del Medioevo, dove entrano in gioco le donne – nascono insieme. Perfino nel linguaggio delle mistiche del Due-Trecento come Margherita Porete, che scrivono in lingua materna ritroviamo parole come impresa, approfitto, mercato. Tutto un linguaggio che poi diventerà quello del capitalismo si trova all’inizio come un linguaggio spirituale. Il capitalismo ha origini nella spiritualità ed è possibile risalire la corrente, anche se è un processo complesso, e ritrovare quella cosa là.