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da Avvenire

Più idee, tempo risparmiato, lezioni e compiti su misura: il nostro viaggio tra gli apripista delle tecnologie, tra potenzialità e limiti

Una delle più grandi sperimentazioni di intelligenza artificiale in classe si è appena conclusa in Italia, tra i banchi di ventisei classi degli istituti salesiani primari e secondari del Triveneto. L’intuizione di portare a scuola l’Ia è nata un anno fa per una precisa volontà dell’Ispettoria salesiana del Nord-est che l’ha battezzata “Go Beyond traditional education”. Il progetto – condiviso con i partner tecnologici Google for Education e MR Digital – si è concretizzato durante tutto l’anno scolastico e in questi giorni, prima del suono dell’ultima campanella, tira le somme anche grazie alla collaborazione con l’Istituto universitario salesiano di Venezia (IusVe) che ha analizzato i dati e i risultati della sperimentazione.

Dopo un periodo di formazione sugli strumenti, settecento docenti di tutte le età hanno imparato a usare Gemini, il chatbot di Google, per creare esercizi, impostare lavori di gruppo e rendere più interattive le lezioni. Le applicazioni didattiche affidate al cervello elettronico manovrato dalla creatività degli insegnanti sono state oltre seicento, che hanno coinvolto novemila studenti e che vanno dalla personalizzazione dei percorsi formativi all’attualizzazione del programma fino alla preparazione delle verifiche.

«Io, per esempio – racconta una maestra in una classe seconda primaria – ho usato Gemini per il Dantedì, la giornata nazionale dedicata a Dante Alighieri. Per far conoscere il poeta a miei piccoli alunni (impresa non facile) ho chiesto all’intelligenza artificiale di creare una caccia al tesoro a tema. Ciascuna stazione prevedeva poi di ascoltare una filastrocca, sempre messa a punto e letta dall’Ia». Anche una collega di terza elementare ha chiesto a Gemini di progettare un gioco a tappe: i bambini dovevano completare un esercizio di grammatica – la declinazione di una coniugazione o la concordanza dei nomi – che prevedeva pure un’attività fisica correlata. Alle superiori invece spesso sono stati gli stessi studenti a interpellare l’Ia: alcuni hanno dovuto generare un riassunto sbagliato dei Promessi sposi per poi correggerlo, altri hanno scritto un prompt per ottenere una sequenza di Dna con certe caratteristiche che poi gli stessi alunni hanno dovuto verificare con le nozioni apprese in modo tradizionale.

Al di là delle singole esperienze, in generale gli insegnanti – che per l’85% non aveva mai usato l’intelligenza artificiale – hanno messo volentieri le mani in pasta e hanno apprezzato i nuovi strumenti, soprattutto per il tempo risparmiato. Per organizzare le attività didattiche – sono i dati raccolti al termine di un anno di Ia in classe – in media i docenti hanno adoperato il 40% del tempo in meno; in più la metà ha registrato un miglioramento nella partecipazione degli studenti e il 39% ha osservato pure un innalzamento della qualità dell’apprendimento. C’è poi il tema della personalizzazione della didattica per studenti con bisogni educativi speciali, sempre più numerosi e diversificati nelle classi, che l’intelligenza artificiale aiuta ad applicare con meno fatica.

«La sperimentazione con le scuole salesiane – spiega ad Avvenire Marco Berardinelli, responsabile di Google for Education Italia – è stata preziosa anche per noi. Abbiamo avuto un anno di feedback sia da parte dei docenti sia da parte degli studenti che ci indicano quali sono i vantaggi di cui hanno beneficiato e come la tecnologia possa ancora evolvere per la scuola».

I religiosi, da parte loro, sono disposti ad accogliere la sfida anche perché – ricorda don Elio Cesari, presidente del Centro nazionale delle opere salesiane – «Noi vogliamo abitare il mondo e il contesto in cui i nostri giovani vivono quotidianamente. Abbandonarli sarebbe un atto di profonda irresponsabilità». «Il desiderio – ha continuato don Lorenzo Teston, delegato per la scuola dell’Ispettoria salesiana Italia Nord-est – è coniugare la nostra tradizione educativa con le opportunità offerte dagli algoritmi. Vogliamo mettere la tecnologia a servizio dell’apprendimento, promuovendo uno sguardo critico nei confronti dell’Ia, favorendo l’inclusione di tutti gli studenti e potenziando le capacità di ascolto dei docenti».

Porte aperte, dunque, alle tecnologie anche se con alcuni paletti chiari, ribaditi pure da don Silvio Zanchetta, superiore salesiano per il Nord-est: «Dobbiamo essere noi educatori e insegnanti a imporre la nostra volontà sull’intelligenza artificiale, così da non diventare semplici consumatori passivi e inevitabilmente suoi servitori. Possiamo farlo soltanto attraverso una piena comprensione delle potenzialità e delle funzionalità, dei rischi e dei limiti di questo mondo. La sfida didattica per noi salesiani rimarrà sempre una sfida educativa e per questo non possiamo esimerci per questo duplice compito: conoscere seriamente e con professionalità la tecnologia stessa e al contempo educare la coscienza dei ragazzi e delle ragazze all’uso intelligente e responsabile delle tecnologie».

Con chatbot e senza manuali: lezioni e compiti solo su misura

Sulla cattedra dell’aula di storia e geografia c’è un planisfero e un tablet: strumenti antichi e nuovi che i docenti maneggiano con la stessa naturalezza. Siamo a Cologno Monzese, nell’hinterland milanese, lungo i corridoi dell’Istituto comprensivo Viale Lombardia che all’inizio dell’anno scolastico è stato scelto dal Ministero dell’Istruzione – insieme ad altri quattordici istituti di Toscana, Calabria e Lazio – come sede per la sperimentazione nazionale dell’intelligenza artificiale in classe. «La nostra scuola media di Via Toti applica una didattica innovativa – comincia la dirigente Eleonora Galli, da dodici anni al timone di comando – e forse la scelta del Ministero è caduta su di noi proprio per questo».

Chi si aspetta di entrare in una struttura avveniristica, però, sbaglia di grosso. La scuola secondaria di primo grado, che ospita 13 classi e 275 alunni, appare al visitatore che ne varca la soglia simile a tante altre scuole italiane sulla quale una precisa volontà sembra avere stratificato a poco a poco interventi di ammodernamento tecnologico: dalle aule personalizzate con un QRCode che raccoglie i lavori digitali degli alunni, alla biblioteca che offre un prestito ebook fino all’intelligenza artificiale, che di questo percorso è solo l’ultima traccia. Da cinque anni nell’istituto di Via Toti non esistono più i libri di testo, cartacei né digitali. Al posto dei manuali gli alunni sono dotati di un tablet che gli insegnanti adoperano per organizzare le lezioni e i compiti in classe. In questo senso l’intelligenza artificiale, in corso di sperimentazione su due seconde medie, si è rivelata utile ai docenti. «Dovendo preparare da zero i materiali, l’Ia – spiega Valeria Barbieri, insegnante di matematica e scienze – velocizza il lavoro e permette di personalizzare l’insegnamento. A patto che si sappia adoperarla».

Per la sua vocazione alla didattica innovativa, ancora prima di essere inserita nella sperimentazione ministeriale, la scuola ha attivato per i professori una formazione sugli strumenti di intelligenza artificiale. Tutto il corpo docente, compresi i più scettici e i meno pratici, hanno preso dimestichezza con Google Classroom e Canva Ai con cui gli insegnanti oggi creano regolarmente contenuti, immagini, video, sintesi, mappe concettuali e percorsi visivi. Perciò, quando è partita la sperimentazione del Ministero, che inizialmente prevedeva solo l’uso della suite base di Google, i docenti sono rimasti un po’ delusi dagli strumenti che aggiungevano poco a quanto già collaudato. Le cose sono migliorate quando, in corso d’opera, agli insegnanti è stato concesso anche l’uso di NotebookLM.

Questo assistente di intelligenza artificiale di Google non attinge la sua conoscenza da contenuti generalisti (come fa invece Gemini o ChatGPT), bensì da una lista di fonti precedentemente scelta e caricata dal docente. «Inserendo un libro di livello C1 – esemplifica il professore di inglese Paolo Vecchione – sono riuscito a creare un podcast di un livello linguistico più basso, simile a quello dei miei studenti, con cui allenare la capacità di ascolto. Ho anche generato esercizi diversificati in base alle competenze dei singoli alunni. È un grande aiuto, quasi come avere quattro braccia». «In storia – racconta la docente Sara Dainese – ho creato video integrando domande per verificare il grado di attenzione dei ragazzi e mi sono accorta che con questo metodo i ragazzi trattengono molto di più rispetto allo studio tradizionale». «Le possibilità che apre questa tecnologia – conferma il collega Paolo Dassi, che insegna italiano e storia – sono tantissime. Pensiamo solo ai ragazzi con bisogni educativi speciali, che in alcune classi rappresentano la metà degli alunni. Oppure agli studenti stranieri: con l’Ia si riesce a personalizzare meglio e più velocemente l’apprendimento nei loro confronti».

Singole esperienze che anticipano la valutazione complessiva della sperimentazione dell’intelligenza artificiale che si avrà attraverso i risultati di verifiche parallele nelle classi sottoposte al test e in altre di controllo e delle prove Invalsi, alla fine del prossimo anno scolastico. Perché la sperimentazione funzioni davvero però – è intanto il comune sentire tra il corpo docenti – servirebbe che la scuola fosse dotata della licenza di Gemini, l’intelligenza artificiale più completa di Google, che invece per ora non è prevista nelle classi incluse nel programma ministeriale. «Ci permetterebbe – riassume il professore Dassi – di fare un salto di qualità. Diventerebbe un vero assistente per ciascun ragazzo, anche nei compiti a casa. Potrebbe fornire correzioni in tempo reale e assistenza per la pronuncia o rispiegare qualche concetto: tutte cose che oggi uno studente fragile senza il supporto della famiglia non può ottenere, a meno di pagare un insegnante privato».

Per fare questo salto senza precipitare bisogna che ogni docente padroneggi lo strumento, in modo da fare richieste sensate agli studenti. È possibile? «La sfida – risponde la dirigente Galli – è far capire ai docenti che questi strumenti vanno approcciati e sperimentati e che oggi non si può fare gli insegnanti senza. Altrimenti i ragazzi userebbero l’Ia da soli e lo farebbero male. Il metodo di un utilizzo proficuo dei chatbot deve venire da noi, così che i ragazzi li adoperino in ottica di lavoro e non per copiare».