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Io non ho fatto l’esperienza dell’autocoscienza e però ne ho raccolto molti frutti perché ho potuto entrare in un mondo già parzialmente trasformato. Ero circondata da saperi maschili, modelli maschili, però vedevo e sapevo che c’era un cambiamento possibile, che c’erano le femministe, e questo mi ha permesso di cercarle, trovarle e raggiungerle.

Non ho fatto autocoscienza in parte perché ero un po’ più giovane e i gruppi iniziavano a essere meno facilmente reperibili, ma anche perché non ho sentito l’esigenza di farla. Sul motivo credo che mi abbia un po’ illuminata Traudel Sattler nell’introduzione, ricordando che nelle assemblee dei movimenti che volevano cambiare il mondo le donne o ripetevano i discorsi maschili o erano mute. Ecco, io non ero muta. Per questo non avvertivo la contraddizione. Naturalmente anch’io usavo tutti gli schemi e gli argomenti maschili, ma siccome parlavo solo per dire qualcosa che non era stato detto da altri (a differenza dei maschi, ognuno dei quali voleva far vedere che conosceva tutta la lezione, con infinite e tediose ripetizioni), avevo la sensazione di portare quel di più che era mio, e mi sentivo a mio agio. Prima di arrivare ad avvertire il disagio ci ho messo decenni… e poi finalmente sono arrivata in Libreria.Tra i passaggi che mi hanno portato in Libreria ci sono stati, per me, gli scritti di Carla Lonzi: dopo averli letti non ho più potuto vedere il mondo come prima. Per questo penso che l’autocoscienza dia dei frutti che vanno oltre il momento e le persone che la praticano. Io non ho l’autocoscienza di Carla Lonzi, perché non c’ero con lei a farla. Però ho i suoi scritti che mi hanno trasformata, pur non avendo agito quella pratica. E come gli scritti ieri, credo che oggi i frutti possano essere anche un podcast come A day in a female life – Racconti di ordinaria violenza di Angelica Pirro e Silvia Protino, che Angelica ci ha descritto nell’incontro di Via Dogana. Infatti, pur essendo uno strumento rivolto al pubblico, a monte della pubblicazione si sente che c’è l’autocoscienza. E ci è stato raccontato come l’autocoscienza la facciano prima le autrici tra di loro, e in seguito la fanno con loro le ragazze di cui pubblicano le storie. La fanno, come l’autocoscienza storica, nelle case, in una dimensione di intimità. E poiché pubblicano soltanto le parti che ciascuna vuole e lasciano la facoltà di non pubblicare, quell’intimità resta salvaguardata e permette di lavorare in profondità. Quindi abbiamo un lavoro a monte, e un frutto di quel lavoro che viene pubblicato. E che è prezioso e utilissimo per quante possono così arrivare a coglierlo.