Guardo da dove. Dialogo tra una studente e un’insegnante di storia dell’arte
Katia Ricci, Luisa Muraro
10 Novembre 2024
Prof, perché ci parli di artiste che nel libro di storia dell’arte non ci sono?
– Perché il libro è sbagliato.
– Ci sono libri sbagliati?
– No, lo sbaglio l’ho fatto io che ho scelto per voi questo libro.
– Come mai?
– L’ho scelto perché è fatto da due studiose, due donne.
– È questo lo sbaglio?
– No. Ma dovevo controllare che non fossero orbe.
– Orbe?
– Che non avessero la vista difettosa; il problema si pone con chi ha la vista difettosa ma non lo sa.
– Come le autrici del nostro libro di storia dell’arte?
– Sì.
– È per questo che non vedono le opere di Artemisia Gentileschi, di Sofonisba Anguissola, di Rosalba Carriera?
– Sì.
– Qual è la causa di questo difetto?
– È la mancanza di orientamento. Come ti ho insegnato, la comprensione di un’immagine è il risultato di una interazione tra chi guarda e l’immagine stessa, esattamente come capita tra due persone che fanno conoscenza. Si tratta di un processo dinamico che richiede uno spostamento, un andare verso: per questo “andare verso”, è necessario ricercare e definire il luogo da cui muovere, altrimenti è un andare a caso, che è una forma di cecità peggiore della cecità fisica.
– Cercare questo luogo è come cercare il punto di vista?
– Sì. dal punto di vista in cui si sono messe le autrici del nostro libro di storia dell’arte si vedono solo artisti uomini, non si vedono donne.
– È strano, anche loro sono donne.
– Non è tanto strano, perché le donne, più degli uomini, sono messe in difficoltà dalla nostra cultura che nega la madre come primo punto di vista sul mondo.
– La mamma è un punto di vista?
– Rudolf Arnheim nei suoi Pensieri sull’educazione artistica (Aesthetica, Palermo 1992) spiega che la nostra conoscenza si basa molto sul guardare e che procede per gradi, a partire dagli oggetti più familiari, come il cane di casa. Ma l’oggetto primo che ogni bambina e bambino imparano a riconoscere non è il cane di casa, è la madre. La ri-conoscenza della madre permette alla bambina come al bambino di spostare lo sguardo sugli oggetti che la madre le indica e le nomina.
– La mamma, insomma, è una maestra di punto di vista, come te, prof, quando siamo andati al Museo.
– Sì, quello che io ho fatto per farvi conoscere i quadri, ogni madre fa con i suoi figli piccoli per far loro conoscere il mondo in cu li ha messi.
– Come si fa a negare questa cosa?
– In tanti modi. Rudolf Arnheim, per esempio, dice che i neonati si guardano intorno per conoscere l’ambiente ed evitarne i pericoli, e non considera la loro relazione con la madre che li rassicura e li invita a guardare il mondo. Io penso che l’orientamento, cioè la possibilità di vedere, sia il risultato di due sguardi, in successione, un primo sguardo verso la madre e un secondo sguardo verso il mondo. per cui, alla base della conoscenza, non c’è, come dice Arnheim, un’esigenza di difesa dall’ambiente, ma uno schema di amore-relazione, che può diventare, se ne prendiamo coscienza, paradigma di conoscenza, di orientamento personale e di modo di stare al mondo.
– Ma finora come abbiamo fatto per conoscere il mondo?
– Abbiamo fatto con l’insostituibile aiuto del punto di vista materno. Ma senza averne coscienza, per cui la donna, senza rapporto consapevole con il punto di vista materno, ha perso il posto da cui guardare, in maniera sua originale, il mondo. E ha perso, insieme, il senso autonomo di sé, rimanendo esposta allo sguardo altrui. Il nostro libro di storia dell’arte è pieno di donne rappresentate da artisti uomini.
– E l’uomo?
– L’uomo ha sostituito il punto di vista materno con il suo modo scientifico di guardare il mondo. Tu conosci la storia della prospettiva. Nel Rinascimento nasce la prospettiva che rappresenta il mondo visto da un solo occhio. C’è una famosa incisione di Dürer del 1525 (te la farò vedere) che rappresenta un uomo che disegna un vaso in prospettiva, guardandolo attraverso un buco a cui appone il suo occhio e dal quel buco, da quell’occhio fisso, eterno, universale, vede e fa vedere la realtà che diventa essa stessa fissa, eterna, universale. Infatti, nella costruzione prospettica la distanza si annulla perché il punto di vista coincide con il punto di vista più lontano posto sulla linea dell’orizzonte, il punto in cui convergono le linee parallele, cioè l’infinito.
– Io ho capito che gli uomini, al posto del punto di vista materno, hanno messo l’infinito. Hanno sbagliato?
– L’unico sbaglio, da cui siamo partite, l’ho fatto io scegliendo un libro che non corrisponde al mio insegnamento. Io voglio insegnarti a leggere il modo in cui le donne e gli uomini leggono il mondo. L’uomo, con la sua costruzione prospettica, tiene l’occhio fisso sull’infinito, e allontana così, dal suo campo visivo, ogni essere umano in carne e ossa, a cominciare da se stesso, perché ne ha allontanato, per cominciare, la madre, oggetto primario della percezione. Al suo posto ha messo un cane (psicologia) e il buco della serratura (scienza della prospettiva). Si crea così la situazione descritta anche da Arnheim, per cui un essere umano può vedere le cose, “ma non riconoscerle”.
– Allora c’è qualcosa di sbagliato!
– Non so. Certo, adesso sta tornando la guerra e gli uomini si dividono tra quelli che in guerra ci vanno e quelli che della guerra parlano guardandola dal buco della serratura con un occhio solo. ma in realtà abbiamo due occhi, abbiamo un corpo, abbiamo una madre, siamo due sessi. Forse, come dici tu, c’è qualcosa di sbagliato nella prospettiva maschile.
(Via Dogana n. 12, settembre/ottobre 1993)