Guadagni di credito e di forza politica
Marina Santini
14 Luglio 2018
Nel 2010 avevamo intitolato un numero di VD (92/ 2010), cartaceo, Cambiare l’immaginario del cambiamento: si sottolineava come da parte dei media, di intellettuali e politici di professione ci fosse una sorta di ostinazione a non vedere pratiche messe in atto dalle donne che hanno cambiato il modo di stare nei posti di lavoro, nello spazio pubblico, senza far ricorso ai mezzi del potere. Dobbiamo registrare, da allora, un cambiamento sostanziale: oggi si dà credito alla parole delle donne e le loro espressioni non si definiscono più, in senso negativo, come pre-politiche o impolitiche. C’è stata nel mondo un’apertura di credito.
Negli ultimi incontri di Vd3 abbiamo usato spesso parole come parlare ascoltare cambiamento: il primo appuntamento di quest’anno si intitolava Parlano le donne parlano. Ci si riferiva al #metoo, perché tutto è partito da lì.
Donne che partono da sé, prendono la parola e raccontano la propria esperienza.
Sentiamo verità in quello che dicono come ci è accaduto con Rachel Moran, che qui è venuta a denunciare in modo radicale che la prostituzione è ‘stupro a pagamento’.
In Irlanda il risultato del referendum del 25 maggio scorso ha tolto il divieto costituzionale all’aborto. Nella campagna referendaria abbiamo assistito ad un’altra dinamica del cambiamento: i racconti delle donne, che hanno affrontato sulla loro pelle le conseguenze dell’8° emendamento, comparsi anche sulla pagina facebook in her shoes “nei suoi panni” (sottintesa la domanda, tu che faresti?) hanno vinto sull’obiezione politica. E alcune testate, intitolando “È stata ascoltata la voce delle donne”, hanno registrato che proprio in questo ascolto consiste il vero cambiamento.
Di qualche giorno fa, l’onda verde delle donne argentine ottiene la depenalizzazione dell’aborto: il presidente Mauricio Macri non usa il diritto di veto che la legge gli riconosce e sceglie di non esprimersi.
La rivista on line globalproject.info pubblica ciò che sta accedendo in Cile, dove da qualche mese le studentesse, dopo le numerose denunce di molestie sessuali, manifestano, in quella che viene definita la più grande mobilitazione femminista dagli anni Settanta: occupano le università, esigono un cambiamento del sistema educativo. È un movimento che non nasce oggi ma è frutto di anni di attività da parte delle femministe che hanno costruito reti di sostegno alle vittime degli abusi e delle violenze. Vengono raccolte e pubblicate le storie di studentesse su ciò che hanno subito nella Facoltà di Diritto della Pontificia Universidad Católica de Chile. Scioperi e occupazioni si sono così diffusi in tutto il paese che la questione è ora al centro del dibattito pubblico. Sono donne che combattono il patriarcato dall’interno di un movimento politico misto, che sostengono il femminismo come resistenza a ogni forma di oppressione e si pongono l’obiettivo di costruire un’alternativa politica nel paese.
A New York nel collegio di Bronx e Queens, Alexandria Ocasio Cortéz, giovane attivista 27enne, è riuscita a sconfiggere nella corsa delle primarie democratiche il deputato, uomo bianco di più di 50 anni, Joe Crowley in carica da vent’anni. Candidata del popolo, mezza portoricana, si è imposta sul candidato designato dal partito. Alexandria ha vinto su una piattaforma di sinistra chiedendo assistenza sanitaria e istruzione universitaria gratuita per la popolazione variegatissima del collegio.
Anche questo si aggiunge agli altri guadagni di credito e di forza politica ottenuti dal movimento internazionale delle donne.
Oggi è più facile che le donne vengano ascoltate per sentire il loro punto di vista sulle cose del mondo: forse sono finiti i tempi in cui si parlava di loro come di una ‘categoria’ fra le altre (giovani, anziani…) di cui occuparsi. Alla sindaca di Barcellona Ada Colau, a Bologna (20-21/6) per un incontro pubblico, viene richiesto di raccontare le pratiche di democrazia locale nella sua città, sapendo che dalle città si parte per un cambiamento che va oltre l’ambito locale (“Le città sono lo spazio dove affrontarle, perché sono lo spazio dove l’altro non è uno sconosciuto, disumanizzato, è il mio vicino e la mia vicina. Possiamo trasformare qui le paure in speranze. Abbiamo una responsabilità enorme, di esercitare la speranza”)
Questo il panorama internazionale. In Irlanda, come in altri paesi, quello che ha funzionato è stata una interazione positiva e di rilancio tra una politica soggettiva delle donne e i mass-media.
E in Italia? Che cosa registrano i media? Cosa possiamo fare? Il governo appena insediato si autodefinisce di cambiamento e potrebbe esserlo, ma per ora mostra cambiamenti ‘rabbiosi’ che possono metterci in difficoltà politiche e umane.
Vogliamo proporre una discussione alla luce dei successi internazionali perché pensiamo che i cambiamenti di cui le donne sono protagoniste sono traducibili anche nella nostra realtà. A patto che, come dice Ida Dominijanni sull’Huffington Post (1/7), si voglia arrivare al cuore del problema: riconoscere ‘il nucleo di verità nelle tesi dell’avversario’, che “Le paure non si vincono riconoscendo il diritto di esserne preda, ma smontandone la radice quasi sempre fantasmatica e ammettendo che un tasso di rischio è inevitabile nelle società aperte, ed eliminabile solo in quelle autoritarie”. Come Ada Colau con le sue politiche -un intreccio tra iniziativa sociale e politiche istituzionali nel segno del cambiamento- ci mostra.
Introduzione alla Redazione allargata di Via Dogana 3 Alla luce di un credito politico crescente, del 8 luglio 2018.