Farsi forza stanca
Marta Equi
23 Settembre 2015
La mancanza di Tutto, mi impedì
Di sentire la mancanza delle cose minori.
Fosse stato lo scardinarsi di un mondo
o l’estinguersi del sole, nulla era cosi importante
Da farmi alzare il capo,
Dal lavoro,
Per curiosità
Emily Dickinson
Mentre ascoltavo la discussione di Via Dogana di domenica 13, pensavo che tutto era interessante, ma la proposta di parlare di depressione, quella, era la cosa essenziale.
Ringrazio Laura per averlo fatto.
Parlerò di male di vivere, che è qualcosa che sta nella sfera della depressione, non è la stessa cosa, ma può avere conseguenze simili.
Sul male di vivere mi interrogo da tanto e sono felice di poterne parlare a proposito adesso. A volerla dire tutta, lo vivo da quando mi ricordo di pensare.
Avevo 7 anni e scoprii il significato di una parola, inquietudine, che mi parla non di infelicità, depressione, angoscia, connotazioni troppo negative, ma nemmeno di malinconia, troppo poetica. Inquietudine è per me tutto questo insieme. Allora me ne andavo in giro dicendo “ho l’inquietudine.”
Il messaggio che ora sento arrivare dalla Libreria, è appunto il farsi forza, trovare la forza, essere forza.
Quello che vorrei dire è che farsi forza, stanca. Farsi forza è un atto solitario, ma a volte c’è bisogno anche di un aiuto, di un segnale dal mondo per non desistere. Come nelle favole, va bene essere buone, avere sale in zucca e lavorare sodo, va bene superare le prove… ma a un certo punto c’è sempre una fata o un animaletto che ti fa forza.
L’altro giorno ero in cucina a lavorare su qualcosa di cui ho perso memoria, affaticata dal non senso che spesso percepisco intorno, e ho sentito una melodia molto gradevole. Continuo a fare, scrivere al computer probabilmente. La melodia continua, mi alzo e automaticamente vado dritta in terrazzo.
Un uccello magnifico, verde smeraldo chiaro, con la crestina e la coda di media lunghezza mi ha letteralmente guardata, ha cinguettato ancora, ed è volato via.
Io ho pianto. Perché ho sentito tutta la tessitura del mondo che mi veniva a far forza, che mi indicava qualcosa. Il mondo è bello. È doloroso, ma è primariamente bello.
Peraltro, non è la prima volta che mi capita: una merla (sì, le merle sono ben diverse dai merli) in chinatown, uno scoiattolo rosso davanti al Carrefour di via vigevano, una piccolissima rana lucente in 24 maggio.
Il mondo è bello e dobbiamo dargli e darci la possibilità di credere a questo lato bizzarro e poetico che in effetti esiste ed è a disposizione.
La seconda cosa che vorrei dire è che c’è un doppio livello nel male di vivere, uno è contestuale, ed è quello che può essere toccato da atti di volontà come il farsi forza, come il cercare e costruire relazioni, come il dire la verità.
Un secondo livello è esistenziale, di fronte al quale il progettare svanisce. È qui che il male di vivere si avvicina alla depressione.
C’è qualcosa di irrisolvibile nel fatto stesso di essere vive e saperlo, nella stessa commistione tra amore e vita e morte, che il fondo della mia anima non è mai completamente limpido. Mi succede anche con la gioia più profonda. Questo sentire, che pure è doloroso, non può e io credo non debba essere eliminato, “curato”. Per convivere con questa percezione posso pregare intensamente e affidarmi, ossia galleggiare. Non mi aiuta il pensiero e la comprensione si deve arrestare. Per cui, si sta così.
La terza cosa che vorrei dire, quella più spaventosa, è che mi capita, sentendo profondamente il mondo, e la gioia anche, di sentire contestualmente l’inutilità di tutto il resto, delle azioni, dei progetti. Non ho detto correttamente, non l’inutilità ma la scambiabilità. Ossia, detto come mi viene: a un certo punto di profondità, una cosa vale l’altra. Oltre all’essenziale non c’è il non essenziale ma sono tentata di pensare che non ci sia niente. Quindi questa sensazione di amore per il mondo profondo, questa comprensione che arriva rapida e se ne va subito, invece di darmi forza nel fare è come se mi stesse dicendo di non fare, di non incedere e non tagliare il mondo. Ogni cosa, ogni fatto, ogni evento della contemporaneità in prospettiva si diluisce, non riesce ad interessarmi.
Ma qui mi fermo perché meglio di cosi non riesco a metterlo in parole.
Ma l’amore ci lancia verso il futuro obbligandoci a trascendere tutto quello che concede. La sua promessa indecifrabile squalifica ogni risultato, ogni realizzazione. L’amore è un enorme agente di distruzione perché scoprendo l’inanità del suo oggetto, lascia libero un vuoto, un niente terrificante all’inizio della percezione. È l’abisso in cui affonda non solo la cosa amata, bensì la propria via, la realtà stessa di chi ama. L’amore è ciò che scopre la realtà e l’inanità delle cose, ciò che scopre il non-essere e il niente. Il Dio creativo creò il mondo dal niente per amore. E chiunque porta in sé un filamento di questo amore scopre ogni giorno il vuoto delle e nelle cose, perché ogni cosa e ogni essere che conosciamo aspira oltre ciò che realmente è. [Maria Zambrano, Frammenti sull’amore]
Per dire con più precisione le cose che ho provato a spiegare sopra, vorrei usare dei versi. Non intendo dire che sono esplicativi o didascalici, ma che non saprei farlo meglio di cosi.
***
Male oscuro.
Silenzio.
È già notte,
Di nuovo notte.
Solitudine:
Sei santa anche nel dolore.
Le mie madri tacciono.
Strade: nessuna strada.
Rumori bianchi di fondo: solo chiacchiere.
Tutto è da fare: è un’impresa.
Silenzio.
Nella notte,
La mia sorte e quella del mondo sono pezzi filamenti della stessa carne.
***
Quiete:
Mi appiglio a te come un tronco sull’acqua
Solido abbastanza da non annegare
Eppure non stabile mai.
Galleggiare. Questo è un lavoro.
Nominarti è un incantesimo per averti vicina,
Per trovarti negli sguardi di coloro che credono
che io e te siamo amiche.
***
Il mondo mi sembra
Infinito,
Troppo.
Amori aria imprese amicizie sere mare poesie musiche
Dolori non decifrabili.
E poi mi accorgo
che questo troppo è la giusta misura
per la mia anima che cresce insieme alla vita
per la mia tuttezza che si espande con il mondo
***