Fare uno spostamento
Luisa Muraro
23 Maggio 2017
Aveva ragione Luce Irigaray quando anni fa disse: ogni epoca ha una questione da pensare, la nostra ha da pensare la differenza sessuale.
E io, come tante altre, mi sono messa a farlo ma ho avuto troppa fiducia nella efficacia dei conflitti, quelli tra donne e quelli uomo-donna. Per esempio, quando ho detto: la differenza non è tra, è in (mi ricordo ancora dove, al primo Book Pride di Milano), era giusto ma mancava il seguito del discorso, e cioè il significato del tra. Il tra è una distanza, un intervallo per istituire una incommensurabilità.
Nell’ottimo libro di Thomas Laqueur, La fabbrica del sesso, che va dagli antichi Greci a Freud, un libro vecchio di venticinque e passa anni, c’è un capitolo che s’intitola La scoperta dei sessi e si trova non all’inizio, ma a metà giusta, da pag. 170 (e il libro ha 346 pagine). Prima, spiega l’autore, nella cultura di base c’erano due generi sessuali, uomini e donne, ma c’era un sesso unico, nel senso che esisteva un solo modello di corpo sessuato. Questo modello unico trovava la sua realizzazione nel maschio “ben formato”; nelle donne e negli individui non ben formati (scusate il riassunto senza sfumature) era imperfetto. E questo è andato avanti dai Greci fino al Settecento, quando la scienza maschile (la scienza scritta e ufficiale) s’impadronì della riproduzione, che prima era lasciata alle donne. Allora gli uomini della classe dominante si resero conto che le cose stavano come sappiamo: una donna è una donna, non è un uomo imperfetto, i sessi sono due.
Ma l’ordine sociale e quello simbolico erano costruiti da secoli, da millenni, sullo schema del “fare Uno”… Cominciarono allora discorsi arzigogolati e riforme parziali per dare una collocazione sensata alle donne. Cominciò anche il femminismo, che tra l’Ottocento e il Novecento, passo passo, ottenne una progressiva emancipazione delle donne, fino alla parità dei diritti con gli uomini.
Ma poi si alzò una seconda ondata. Ci fu quella che io chiamo la rivolta nella rivolta: la Rivolta femminile dall’interno del Sessantotto. Noi veniamo da lì. Ci troviamo tra le rovine del patriarcato, che è finito senza aver realizzato un cambio di civiltà. Che pure urgeva e urge: tutto il secolo ventesimo è costellato di tentativi per realizzarlo. Sono falliti tranne uno: il movimento femminista, quel femminismo della seconda ondata, anticipato da Virginia Woolf con Le tre ghinee (1938). Infatti, continua a rampollare di qua e di là con una pluralità di voci e di linguaggi che può sembrare un caos se non si percepisce il collegamento con l’inizio degli inizi, ossia la scoperta che i sessi sono due.
Ma non siamo state capite; i più e anche una parte delle donne, confondono il movimento delle donne con una volontà di emancipazione e di parità, che era l’offerta già fatta alle donne dalla cultura borghese e da quella socialista. Noi cerchiamo il senso libero della differenza sessuale. Come farci capire?
La mia proposta è di tenere ben ferma l’ispirazione degli inizi e di fare uno spostamento che dovrebbe (ma è tutto da pensare meglio) consistere nel fare posto, nel nostro paesaggio interiore come nel nostro linguaggio e nella pratica, alla differenza maschile, offrirle un’interlocuzione perché si esprima per se stessa, fuori dalla logica del potere e dal desiderio di prevalere.
Non esiste? Sì che esiste, non potete negare che parla nella grande poesia maschile. Simone Weil ha percepito la sua voce nell’Iliade di Omero. Parla nella civiltà cortese. Non parla invece nella prosa della politica. Ho pensato: una differenza non ascoltata è fatalmente muta, noi lo sappiamo bene. Oppure parla in maniera paradossale, come quella volta in cui Massimo Lizzi si dichiarò “maschio femminista separatista”. Oppure parla con i gesti e, troppo spesso, nella società maschile, con gesti sbagliati, aggressivi. Affari loro, non c’è dubbio. Ma la politica della libertà femminile che a me interessa, deve saper fare affari con gli uomini.
Perciò, ricordando la formula paradossale di Massimo, gli ho chiesto di partecipare all’incontro con un contributo che introduca la riflessione comune.