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Mi è capitato qualche volta che qualcuna o qualcuno entrasse per la prima volta qui in Libreria delle donne e mi chiedesse: “Ma cos’è questa libreria?”, e io esordissi dicendo: “è una libreria, sì, ma è molto di più di una libreria”. Ne hanno dato notizia anche giornaliste e giornalisti che hanno fatto dei servizi in occasione dei nostri 50 anni. 

Allora, cos’è quel “di più” che ha permesso di tenere aperta questa impresa per 50 anni? Come ha fatto la Libreria a reggere per tutto questo periodo, e quali sono le sfide da affrontare in un mondo in rapida trasformazione? Oggi cerchiamo insieme di mettere a fuoco questo “di più” che possiamo condividere con altre realtà.

Non voglio ripercorrere la nostra storia di 50 anni, ma devo dire che per me è stato bello e emozionante rileggere o anche leggere per la prima volta alcuni documenti dei primissimi tempi della Libreria, grazie a Marta Equi che li ha rintracciati negli archivi per la sua tesi di dottorato dedicata proprio alla nostra impresa.1 Qui voglio anche sottolineare l’importanza e l’efficacia dei testi che hanno sempre accompagnato l’attività della Libreria in un circolo virtuoso tra il fare materiale e la riflessione politica. 
Come risulta già dal primo volantino del dicembre 1974, appena il negozio in Via Dogana fu trovato, l’attività della Libreria unisce la diffusione delle opere di donne del passato a quelle del presente, perché “pratica della nostra lotta è stata la presa di parola e trovare i tempi e gli strumenti (contro chi ne farebbe un uso capitalistico e contro di noi) per diffondere, discutere, approfondire tutto ciò che di nuovo le donne esprimono […] perché divenga ricchezza collettiva. […] La Libreria sarà uno spazio di incontro e di confronto aperto soprattutto alle donne…”.2 Sottolineo “soprattutto”, non “esclusivamente”, come in altre librerie delle donne che hanno seguito una linea separatista. 

Quindi, oltre a essere uno spazio aperto sulla strada si delinea fin dall’inizio la vocazione della Libreria come editrice autonoma: infatti, la maggior parte delle nostre pubblicazioni è stata autoprodotta e autofinanziata, come i Sottosopra,Via Dogana e i Quaderni di Via Dogana. Una pratica editoriale che è pratica politica, non solo perché autofinanziata, ma perché le pubblicazioni sono strettamente legate all’esperienza messa in parola. In seguito, le parole materializzate sotto forma di pubblicazioni sono state quasi sempre accompagnate da incontri in presenza in tutta Italia. Questa pratica che io trovo ricca ed efficace, l’abbiamo riattivata con Femminismo mon amour, spaziando da Bressanone a Catania. L’impresa Libreria quindi è stata ed è creatrice di contesti e di relazioni. 
Contesti e relazioni che si sono diramati nel sociale laddove le singole che prestavano e prestano il lavoro gratuito in Libreria si trovavano a guadagnarsi da vivere. E sono state le esperienze e le contraddizioni nei commerci sociali la materia viva per l’elaborazione politica in Libreria. Un periodo particolarmente fertile è stato quello dopo la pubblicazione del Sottosopra verde negli anni ’80-’90 proprio quando, secondo i media mainstream, il movimento delle donne era morto: sono nate la comunità filosofica Diotima, l’autoriforma dell’università e della scuola, la pedagogia della differenza, il gruppo Ipazia che riuniva scienziate e non scienziate, il gruppo Vanda di architette e urbaniste…

Per quanto riguarda la gestione della Libreria, non abbiamo mai seguito un’organizzazione di tipo aziendale, non ci sono corrispettivi in denaro (a parte un contributo simbolico per chi si occupa di aspetti amministrativi, ordinazioni di libri ecc.). Non abbiamo ruoli fissi regolati da un organigramma. Ma non è che qui vogliamo proporre un modello alternativo di “gestione femminista” di tipo Best practices. È stata un’avventura, una sperimentazione, era tutto da inventare, pescando ispirazioni di qui e di là, come testimonia un documento assai divertente dell’84: “La Libreria è tenuta un po’come la casalinga cura la casa, l’imprenditore lombardo gestisce l’azienda, il pastore sardo vigila sui suoi beni, un misto di accuratezza femminile, di prudenza contadina, di efficacia imprenditoriale. Con questa combinazione di cose contrastanti noi cerchiamo di giocare per inventare e realizzare qualcosa di nuovo che può andare bene alle donne”. 3

Nello stesso documento si sottolinea che “non siamo mai state un gruppo omogeneo e non lo saremo probabilmente mai”. E la storia l’ha confermato. Anche oggi, ognuna porta nel progetto il proprio desiderio, la propria passione e il tempo che può o vuole mettere a disposizione. Desideri e passioni ovviamente diversi che vanno contrattati con quelli delle altre, tenendo conto della disparità tra donne e riconoscendo l’autorità femminile. Non è facile pensare, parlare, esporsi, giocarsi in prima persona. Il rischio personale è forte in un contesto dove le relazioni non sono regolate da strutture prestabilite o dal denaro. Ciascuna è chiamata a fare i conti a partire dalla contrattazione tra sé e sé: che cosa voglio, cosa sono disposta a dare, cosa sono disposta a rischiare e cosa invece no? Quando i conti non tornano più capita che una se ne vada. Infatti, non voglio dare un’immagine idealizzata, abbiamo visto anche conflitti insanabili e rotture dolorose.

Stare in libreria è come “un impegno in più, di cui bisogna sentire l’urgenza e la necessità per sé” ha scritto Clara Jourdan in un numero della rivista di Diotima.4 Nella riunione di preparazione a questo numero la stessa Clara ha proposto di inserire il lavoro politico in “tutto il lavoro necessario per vivere” proposto dal Sottosopra Immagina che il lavoro.5 C’è un aspetto vitale, che fa vivere, nel dare il proprio tempo e le proprie capacità per un progetto comune trasformativo. Questa è una questione che va riconsiderata a fondo oggi in un momento in cui la Libreria è all’interno di un grande cambiamento sia nella sua gestione pratica sia nell’assetto relazionale in quanto alcune figure storiche per ragioni di età non possono più essere attive come prima. 

Oggi come si sa c’è una crisi nel settore librario, dovuto soprattutto a Amazon che ti recapita in pochissimo tempo (sfruttando chi lavora) un libro a casa. Oggi poi – e questo è un aspetto positivo – libri scritti da donne si trovano anche al supermercato, a differenza degli anni in cui è nata la Libreria quando i libri di autrici non si trovavano da nessuna parte. Quindi la sopravvivenza economica della Libreria è più difficile. Io stessa devo ammettere di non prestare abbastanza attenzione ai dati di vendita, allo stato dei pagamenti dell’affitto ecc. Il denaro è entrato e entra, mai a sufficienza, dalla vendita di libri e documenti, inoltre da donazioni e finanziamenti di singole e singoli, che abbiamo preferito a finanziamenti pubblici che ci costringono a percorsi burocratici e linguaggi che non sono nostri. Ma oggi dobbiamo affrontare questa contraddizione. 

Anche organizzare i turni volontari di vendita è più difficile perché le giovani che arrivano in Libreria sono immerse in un mondo di lavoro che risucchia tutte le loro energie.

Per me personalmente, stare in Libreria è stato ed è un grande guadagno: è stato di importanza esistenziale aver trovato uno spazio fisico aperto nel centro di Milano dove ho potuto mettere radici, in una città, in un paese sconosciuto. Ho trovato un linguaggio nuovo che ha rivoluzionato il mio pensiero e la mia vita, e ho stretto amicizie politiche e personali. Ho sempre avuto un profondo senso di gratitudine, e tutto quello che faccio per la Libreria ha il segno della restituzione da cui io stessa guadagno in esistenza e in ricchezza di relazioni. Per esempio aver tradotto in tedesco Noncredere di avere dei diritti e altri testi della Libreria e di Luisa Muraro mi ha aperto un mondo di relazioni in Germania e mi ha ricollegato al mio paese di provenienza.
È comunque una questione delicata, quella della gratificazione senza misura stabilita da parametri esterni come il denaro. Soprattutto oggi che viviamo in un mondo di gratificazioni facili e veloci, tramite like… Ci si aspetta il riconoscimento immediato da parte delle altre? Il riconoscimento sotto quale forma? Essere amate? Qual è la moneta di scambio? Il riconoscimento da “fuori”? L’apparire in TV in occasione dei 50 anni? Oppure c’è qualcosa, una mancanza o un desiderio che continua a trovare senso nello stesso farsi del cammino in cui la gratificazione e il solo fatto di farlo? 

Ci teniamo molto a restare un luogo aperto al pubblico, e far vedere che oltre ai libri che si possono comprare e in un mondo dove sembra che tutto si possa comprare, c’è altro che circola, in un “mercato della felicità”.

Introduzione alla redazione aperta di Via Dogana Tre Fare impresa femminista, 8 giugno 2025

  1. Marta Equi Pierazzini, A Legacy Without a Will. Feminist Organising as a Transformative Practice. PhD Program in Analysis and Management of Cultural Heritage XXXI Cycle. IMT School for Advanced Studies, Lucca 2019 ↩︎
  2. “Abbiamo trovato un negozio nel centro di Milano”, 8 dicembre 1974, in Marta Equi, op. cit. p. 215 ↩︎
  3. “La Libreria delle donne – sue caratteristiche, sua storia, in breve”, in Marta Equi, op. cit. pp. 338-341. (Il testo non è mai stato pubblicato, un’annotazione scritta a mano dice “al Comune per la Guida luoghi delle donne”)  ↩︎
  4. Diotima, Per amore del mondo, n.11/2012 ↩︎
  5. https://www.libreriadelledonne.it/pubblicazioni/sottosopra-immagina-che-il-lavoro/ ↩︎