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Dove ho sperimentato la libertà in questi periodi di confinamento? Le ordinanze del governo hanno definito via via i comportamenti da tenere. Ho visto obbedienza e ho visto opposizione e protesta. Tra questi due atteggiamenti c’è stata una terza strada. È quella che nel movimento delle donne è stata chiamata pratica delle relazioni.

La libertà è stata resa possibile dallo scambio con le altre. Ma che cosa ha significato in questo anno così particolare in cui il governo ha definito in modo preciso gli atti, i tempi e gli spazi di noi tutti? Mi sono trovata a ragionare con altre e altri – più donne che uomini – per capire in quali situazioni e perché questi provvedimenti fossero sensati e quando risultassero non necessari, al limite superflui, per la salute di tutti.

Sottolineo che non si è trattato di un giudizio individuale. Per questo ritorno sul fatto simbolico che mi sono sentita libera proprio perché mi sono confrontata con altre e altri su quel che era necessario o meno fare. Non contro il governo, ma neppure semplicemente ossequienti. Questo, in situazioni molto precise, ha comportato anche il disobbedire ad alcune regole palesemente inutili o peggio contraddittorie per la salute nostra e altrui.

Si sa che si impara sempre dalle situazioni nuove e questa lo è stata decisamente. Ma non mi aspettavo di imparare che in una situazione di pericolo collettivo mi potevo fidare di alcune amiche e di altre no. Certo non delle amiche che sostenevano bisognasse obbedire sempre e comunque alle disposizioni del governo né a quelle che ritenevano tali regole espressione di strategie di potere. Ho capito che potevo aprire un confronto su quali regole seguire e perché con chi sa ragionare a partire dalle conoscenze limitate che abbiamo avuto a disposizione e contemporaneamente sa dare ascolto e tenere conto dei segnali che il nostro corpo offre. Il lato inconscio del corpo.

Nella politica delle donne parliamo molto di fiducia, ma fiducia è una parola complessa con molti strati di significato. Nel caso che sto descrivendo mi sono fidata di chi aveva una certa indipendenza interiore sia dalle regole governative sia dalle scelte fatte dalla stampa e dai social. Pur tenendo conto di tali regole e tali scelte. Certo, come diceva Elisabetta Cibelli in una discussione di Diotima, fare politica presuppone una apertura di fiducia. Con le mie parole: la scommessa di creare legami di fiducia con chi non conosciamo e con chi è su una strada diversa dalla nostra. È come se fare politica ci rimettesse in sintonia con la prima apertura fiduciosa al mondo. Rinnovasse un inizio. E tuttavia, come ho cercato di far vedere, non è priva di contraddizioni nel farsi dell’esperienza.

Ida Dominijanni osservava nel suo intervento del 13 dicembre che nella politica delle donne la libertà ha a che fare con il desiderio e che il desiderio è sottotono in questo periodo. Osservava anche che alcuni luoghi delle donne vengono tenuti aperti per incontri via video come la Libreria delle donne di Milano. A questo aggiungo di mio che non solo alcuni luoghi di donne mantengono aperto lo spazio di scambio tra donne, ma molti ne stanno nascendo. Questi, se pure nei limiti di uno scambio via video – e accompagnati di frequente dalla pratica della scrittura -, creano le condizioni materiali per un discorso vivo, che è la prima sorgente perché prenda forma il desiderio. Il desiderio del desiderio è già desiderio.