Emergenza climatica. Le donne sanno
Vita Cosentino
18 Dicembre 2019
Greta Thunberg, con la sua eroica fragilità, mi ha comunicato l’urgenza. Non c’è molto tempo. Sulla sua spinta ho letto Il pianeta di tutti e Il mondo in fiamme, ultime opere rispettivamente di Vandana Shiva e di Naomi Klein. Sono due attiviste che seguo da anni e mi fido delle loro parole. Così ora sono ancora più allarmata e sento che non ci si può più sottrarre a informarsi davvero, a prendere coscienza e fare la propria parte. Anche se si è molto in là con gli anni come me e una vocina interna può sempre insinuare: «Tanto tu già non ci sarai più. Non è un problema tuo.» Sì, la vocina cinica è realistica, ma dimentica che ne va del senso della vita che ho vissuto. Non è questo che volevo.
Malena Ernman, a suggello del libro scritto con la figlia Greta, La nostra casa è in fiamme, tira in ballo il femminismo affermando che la battaglia per l’ambiente è il movimento femminista più grande del mondo. Il suo intendimento non è escludere gli uomini ma sfidare «quelle strutture e quei valori che hanno creato la crisi in cui ci troviamo». Per lei il femminismo c’entra. Io la penso allo stesso modo perché so bene che le femministe hanno sfidato da oltre cinquant’anni quelle strutture e quei valori, guadagnandoci molto nella concretezza delle esistenze quotidiane e nell’intelligenza del mondo.
Quelle poche parole della mamma di Greta stabiliscono una profonda connessione. Se le azioni concrete per una rapida transizione ecologica, richieste a gran voce dalle piazze del movimento Fridays For Future, puntano soprattutto al piano economico – come smettere immediatamente di bruciare combustibili fossili –, Malena Ernman fa presente che l’efficacia di quelle stesse azioni dipende dal fatto che si intreccino con lo smantellamento della strutturazione del mondo e del sistema di pensiero che hanno radici maschili e ci hanno portato sull’orlo dell’abisso.
Trovo che ci sia una vicinanza sorprendente e carica di doni tra le analisi del femminismo della differenza e quelle di Vandana Shiva nella critica del pensiero occidentale. L’attivista indiana lo bolla come “monocultura della mente”, con un’espressione di straordinaria efficacia, non diversamente le teoriche del pensiero della differenza hanno svelato come l’uno universale risulti dalla cancellazione della differenza, che è in primis la donna.
Pensare con la differenza è la sfida che ci aspetta per girare pagina nei confronti di un pensiero maschile che si basa sull’appropriazione, sulla riduzione a sé dell’altro, o alla sua trasformazione in un oggetto di conoscenza. Già Anna Maria Ortese molti anni fa desiderava e non vedeva un’Italia «che abbia al centro la parola essere, prima di “avere” e “potere”, la parola essere con gli altri, invece che contro o sugli altri» (Corpo Celeste, pag. 42).
La transizione è inevitabile, riguarda tutti e tutte e non sarà facile. Per questo va accompagnata da pensieri e parole che la rendano desiderabile. Ora non è così, prevale un immaginario catastrofico. Racconto un piccolo episodio. Poco tempo fa, quando non faceva altro che piovere, la signora ucraina che viene una volta alla settimana per le pulizie, arriva piena di inquietudine. Riceverà a giorni la data del rogito e non sa più se comprare o meno la casa, indebitandosi con la banca per un mutuo che praticamente copre l’intero ammontare. Non sa più se vale la pena di fare così tanti sacrifici quando suo marito ha visto in internet che l’Italia nel 2050 sarà sommersa dall’acqua. Ecco, questo è quello che passa per la testa di una donna comune a fronte delle notizie che arrivano dalla televisione e da internet. E anch’io, nei miei peggiori incubi, vedo Venezia e New York sott’acqua, nubifragi e frane a ritmo continuo, migrazioni in massa, ricconi asserragliati nelle poche zone meno minacciate… La paura e il “si salvi chi può” non portano a buoni consigli, lo abbiamo già visto.
Per imprimere un segno positivo all’immaginario della transizione, c’è già molto pensiero femminile da mettere in circolazione e far conoscere, ci sono ottime idee come quella del Buon vivere che vengono da popoli lontani, ma serve un intenso lavoro della mente e una fervida immaginazione per stabilire inedite connessioni.
Luca Mercalli, in una recente intervista, fa notare come siamo in grado di pensare alla fine della vita sul pianeta, ma non siamo in grado di pensare alla fine del capitalismo (AREL La rivista, n. 3/2019). Pure è quello che dobbiamo pensare, di pari passo e in stretto collegamento con il superamento del dominio maschile.
Io, se guardo anche alla mia vita, a ciò che mi è interessato davvero, ho idea che le donne siano meno intrappolate nella ragnatela del capitalismo, che, come si sa, non agisce solo sul piano economico. Forse per il posto che danno nella loro vita all’amore, agli affetti, alle relazioni. Ho sentito di recente un’intervista a Letizia Battaglia, in occasione della mostra delle sue fotografie a Palazzo Reale a Milano e minimizzava, affermando che ha sempre dato più importanza all’amore che al successo. E Grace Paley nel suo Apologo sulla felicità ne indica ingredienti non certo mercantili, come possono essere un’amica con cui passeggiare, i bambini, qualche cosa da fare e l’essere innamorate.
Per pensare di uscire dall’imposizione a consumare, dalla saturazione del desiderio tramite gli oggetti, una buona mossa ecologica è volgersi dalla parte delle donne. Le donne sanno.