Ekis Ekman: clienti colpevoli, modello Svezia per combattere la prostituzione
Elisa Campisi
25 Maggio 2025
da Avvenire
«La prostituzione è sempre sfruttamento. Non è una scelta libera, perché le donne possono essere indotte dalla povertà o forzate da qualcuno. L’unico che ha davvero una scelta è l’uomo che paga per il sesso. È su di lui che dobbiamo spostare il focus». Non fa sconti Kajsa Ekis Ekman, giornalista svedese e autrice del libro “Essere ed essere comprate”, uscito in Italia nel 2024. E non ne fa neppure alla narrazione dominante, che spesso dipinge la prostituzione come un lavoro qualsiasi: le polemiche e le prese di posizione intorno al recente caso del codice Ateco ne sono un esempio anche in Italia. Scrittrice e femminista da anni impegnata sul tema in giro per il mondo, Ekman qualche giorno fa ha fatto tappa a Milano, all’Università Bicocca, dove ha parlato con gli studenti e le studentesse in un incontro dal titolo “Donne e violenza: prevenzione e repressione”.
La prostituzione, ha detto Ekman, è espressione di iniquità. «Una donna benestante, con alternative reali davanti a sé, non la sceglie. Inoltre, ci sono disuguaglianze strutturali profonde tra chi paga e chi viene pagato, come l’estrazione sociale e la condizione economica», precisa. Anche i dati citati dalla giornalista, raccolti nel 2003 da un team di medici e psicologi che ha intervistato 800 donne nella prostituzione in nove Paesi, mostravano già la drammaticità della loro condizione: il 71% di loro ha subito aggressioni fisiche e il 63% è stata vittima di stupro durante la prostituzione, quasi il 90% vorrebbe uscire da quel sistema se ne avesse la possibilità e il 68% aveva sintomi di una diagnosi da stress post traumatico. Un contesto di sofferenza e sfruttamento che negli ultimi vent’anni non è cambiato e che i cosiddetti clienti conoscono bene, come mostra un altro studio condotto poco tempo fa in Germania. «Dalle loro risposte all’indagine si vede che sanno, ma credono che pagare li sollevi da ogni responsabilità. Lo stupro e l’uso della forza sono dei reati, ma se paghi allora tutto è concesso, la violenza diventa invisibile», aggiunge. Nella stragrande maggioranza dei casi il cliente è un uomo e questo mercato si regge sulla sua richiesta. Eppure lui non è mai esposto. Se si cerca online il termine “prostituzione”, per esempio, compaiono solo immagini di donne per strada di notte. «Se cerchi “clienti di prostituzione”, vedi le stesse foto. L’uomo non c’è, ma è lui che alimenta il sistema».
Una via per scoraggiare il mercato che alimenta traffico di essere umani e sfruttamento, secondo Ekman c’è, ed è quella intrapresa dal suo Paese. In Svezia si è tentato per anni di sensibilizzare sul tema con campagne educative, senza risultati significativi, spiega, «poi è arrivata la legge e qualcosa ha iniziato a muoversi». Dal 1999, il Paese scandinavo ha iniziato a criminalizzare il cliente. Da allora, sottolinea ancora Ekman, la percentuale di uomini che comprano sesso si è abbassata rispetto agli altri Paesi, passando dal 16 al 9%. «Con questa legge abbiamo evitato anche l’ondata di tratta arrivata per esempio in Germania, dove hanno legalizzato» i bordelli. E questi non sono stati gli unici risultati: «Adesso se sul Google svedese cerchi “sex buyer” trovi anche immagini di uomini. I media raccontano storie di uomini noti, magari sposati o fidanzati, che sono stati sorpresi a compiere il reato». Oltretutto, aggiunge, si dimostra per l’ennesima volta l’ipocrisia di chi dice che è “normale”, ma lo vuole tenere nascosto. In Svezia, ora, si discute addirittura sulla possibilità di estendere i limiti anche alle piattaforme online come OnlyFans, che secondo Ekman rappresentano «la nuova frontiera dello sfruttamento, camuffata da attività che arricchisce e rende indipendenti, cosa che in realtà vale per pochissime». OnlyFans, secondo la giornalista, è riuscita a rendere la prostituzione attraente anche per donne e uomini della classe media, che mai si sarebbero avvicinati a quella tradizionale. Il linguaggio cambia, si parla di “content creator”, ma la dinamica è uguale: «L’uomo paga e resta invisibile, lei si espone. Il gioco di potere è sempre squilibrato. L’unica differenza è che lì le donne devono praticare su di sé quello per cui i clienti pagano, anche ciò che non vorrebbero fare».
All’incontro, insieme a Elkman, c’era Ilaria Baldini, della rete di attiviste e sopravvissute alla prostituzione Resistenza Femminista, e operatrice del centro antiviolenza Cadmi. Il quadro illustrato, spiega, smentisce ogni retorica sulla “libera scelta”. «Tra le donne che seguo nei centri antiviolenza – racconta – quelle nella prostituzione fanno più fatica di tutte a parlare della propria esperienza. Sono le più devastate psicologicamente». Il messaggio che vorrebbero mandare da Milano è chiaro: cambiare le leggi aiuterebbe quantomeno ad aprire un dialogo franco, a vedere ciò che resta per lo più ignorato, ma ovviamente da solo non basta. «Dobbiamo affrontare il fatto che la prostituzione non agisce solo violenza fisica, ma alimenta anche quella culturale che poi produce ogni forma di violenza di cui il femminicidio è la punta dell’iceberg». Di fronte a tutte le conseguenze negative illustrate, sia Baldini che Ekman concordano soprattutto su un punto: «Se la prostituzione finisse, l’unica vera perdita sarebbe per quegli uomini che dovrebbero finalmente imparare a costruire relazioni reali. Una perdita, forse, sopportabile rispetto a tutta quella sofferenza delle donne che si potrebbe risparmiare».