Due mesi e vent’anni dopo
Rinalda Carati
7 Luglio 2017
Forse ci ho messo troppo tempo… All’inizio il paradosso di un uomo che si definisce “femminista separatista” mi è sembrato l’ostacolo. E altrettanto vedere molte donne rivolgersi a un uomo quasi come se fosse un infante (per capirci: alcune lo coccolavano, altre lo sgrida vano… almeno così mi è sembrato).
La figura che prediligo pensare in una genealogia maschile è quella di Giuseppe: si assume le sue responsabilità e protegge senza essere possessivo. È un uomo. In ogni caso, se parlo con un uomo non presumo una sua minorità.
Ma le mie difficoltà purtroppo non erano tutte lì. Infatti avevo buttato giù appunti per un testo di circa ottanta pagine…
Ve le risparmio e salvo il problema principale: c’è stata una coincidenza tra il parlare una prima volta dell’esigenza di uno scambio con gli uomini e il momento in cui è esploso il conflitto tra donne più difficile e doloroso nella mia esperienza. Mi riferisco a una data precisa, il 1996. Quando uscì il sottosopra È accaduto non per caso, e ci fu la manifestazione a Roma La prima parola e l’ultima. Non ebbi dubbi sulle ragioni e sui torti in quel conflitto, ma la rottura delle relazioni con tante donne con le quali agivo una pratica politica molto stretta e intensa ha fissato in me questa domanda: ci si può impegnare in “relazioni di differenza” senza essere capaci di gestire con esiti non distruttivi il conflitto tra donne?
Io in quel momento non ci sono riuscita. Sono passati vent’anni e il problema resta. È solo mio? Mi sembra però che in questo tempo anche il proposito di costruire relazioni tra uomini e donne non abbia fatto molti passi avanti. Il nodo che vedo: che cosa significa per un uomo riconoscere autorità femminile? Per me, donna, è il modo di fare libertà per me stessa e per altre. Per lui può essere lo stesso? O che altro? Ho provato a chiederlo a Massimo Lizzi. Ma non ho sentito, o forse non ho capito, la risposta.