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Da OIVD.it

Ai giorni nostri molte ragazze sostengono il sex work, considerando la prostituzione un lavoro come un altro, alcune anche convinte che il diritto all’autodeterminazione sul proprio corpo sia il fondamento della libertà di poterlo mettere in vendita. Proseguendo nel solco del ciclo “quale libertà?”, dopo aver indagato con la filosofa Valentina Pazé le nuove forme di sfruttamento giustificate nel nome della libertà, in epoca neoliberista, nel laboratorio sulla prostituzione e pornografia dell’OIVD (Osservatorio interreligioso sulle violenze contro le donne) ci siamo interrogate su quali siano i dispositivi mediatici e simbolici messi in campo dal mercato per far leva sulle nostre coscienze facendo passare l’idea che vendere il proprio corpo sia non solo possibile, normale, ma addirittura appetibile e in un certo senso liberante.

La tavola rotonda organizzata su zoom il 13 dicembre 2023 Dall’oggettivazione dei corpi allo sfruttamento sessuale ha preso il titolo dalla tesi di laurea in psicologia clinica di Maria Laura Cinquegrana, una delle nostre giovani ospiti, che sta per pubblicare il suo testo rivisto e ampliato, con la casa editrice Erickson.

Lo sfruttamento sessuale, secondo l’autrice, discende da un problema socioculturale: l’oggettivazione sessuale sperimentata dalle donne in età sempre più precoce, attraverso molestie nei luoghi pubblici, come il cosiddetto “catcalling”, oppure attraverso l’esposizione passiva ai media che ripropongono continuamente l’immagine artefatta di corpi femminili ridotti a mero oggetto decorativo. Ci sarebbe quindi proprio l’oggettivazione sessuale alla base della cosiddetta “cultura dello stupro”, la quale rende possibile e legittima la disumanizzazione e l’uso del corpo di un’altra persona come fosse un oggetto sessuale.

In sintesi, ha argomentato Cinquegrana, non solo esiste una correlazione tra oggettivazione sessuale e violenza sessuale, ma l’oggettivazione è di per sé una forma di violenza psicologica e simbolica che ha delle ripercussioni sulla salute mentale di donne e minori. Per arginare la violenza e lo sfruttamento sessuale c’è bisogno prima di tutto di un cambiamento culturale.

Femminismo in vendita

Il tema dell’oggettivazione dei corpi è stato affrontato in apertura anche da Daniela Santoro del collettivo femminista Le Compromesse attraverso l’osservazione critica del rapporto che hanno sviluppato le sue coetanee con i social. Si tratta delle cosiddette “femministe della quarta ondata” che viaggiando su Internet, tra i blog, Instagram, conoscendosi in gruppi Facebook e vedendosi su Meet, hanno creato reti più ampie di donne di diversi contesti sociali e di diverse parti del mondo ma, allo stesso tempo, hanno sottratto il corpo alle relazioni tra donne. Questo però è un nodo rilevante, ci ha spiegato Daniela Santoro, perché quando parliamo di femminismo, non possiamo prescindere dal corpo se non a costo di rendere più labili alcune tematiche centrali che concernono il corpo delle donne. Inoltre si insinua un’altra insidia sul web: la mercificazione dello stesso femminismo che sui social diventa un business. Si è visto con le influencer che fanno del femminismo un modo per vendere gadget, libri, foto dando al mercato liberista la possibilità di appropriarsi delle tematiche femministe. L’incorporeità di internet ha permeato i contenuti del femminismo e la libertà è diventata un concetto individuale più che un concetto sociale. Non a caso proprio il capitalismo ci parla di libera scelta, siamo tutte/i liberi di fare tutto, ma parlando solo dell’individuo non riusciamo a mettere a fuoco realmente quello che è il problema sociale e simbolico della mercificazione dei corpi delle donne.

“Siamo sicure di essere veramente libere di scegliere in una società che ti impone, anche solo per arrivare a fine mese e dover mettere un pezzo di pane in bocca a tuo figlio, di vendere il tuo corpo? E soprattutto in una società in cui OnlyFans fa le pubblicità tutti i giorni ed è diventato ormai uno schema piramidale in cui le stesse persone che sono iscritte alla piattaforma guadagnano se ti iscrivi alle piattaforme usando il loro link, siamo veramente liberi di scegliere?”

Fiere di esistere per gli altri

Cecilia Alagna, la terza ospite della nostra tavola rotonda, ha un suo blog “Myrina’s eyes” e una sua pagina Instagram, pratica da tre anni l’autocoscienza e la scrittura autocoscienziale con il gruppo Le Ammoniti, fa parte del collettivo Lune e Lame, un luogo politico abitato da femministe lesbiche e bisessuali. Andando a monte del problema, secondo lei, non è mai possibile disgiungere la libera scelta dalla libera condizione. Come si è arrivati a rendere l’esposizione di sé così necessaria da dipendere in forma quasi maniacale dall’essere sui social? Un esserci che spesso non è veicolo di pensiero bensì dell’immagine di sé. La messaggistica istantanea e i social hanno esposto le giovani donne a una progressiva accettazione del principio della perenne disponibilità, 24 ore su 24, in cui porti quel mondo dentro casa e diventa il mondo. Ma si tratta di un non tempo e un non luogo dove non si dematerializzano solo i corpi bensì entra in gioco la dematerializzazione totale delle relazioni. Il compenso si può ottenere in termini di follower, naturalmente con una esposizione del corpo completamente coerente con il desiderio maschile. Secondo Alagna, OnlyFans ha fatto semplicemente il passaggio successivo, cioè se già su Instagram era possibile trasformare in follower la ricompensa si è passati a trasformare i follower in denaro. Si tratta quindi di una libertà completamente asservita a questa totale disponibilità.

Oggi non si potrebbero dominare le donne, quantomeno nel contesto europeo, con il mantra della maternità come destino e il famoso binomio santa-puttana in realtà non è più un binomio ma ha creato una sorta di mostruosa sintesi fra le due cose. Uno dei motti molto amato da una parte del femminismo che si definisce transfemminismo è “fiera di essere puttana”.

Le ragazze, in un’età in cui non hanno ancora avuto il tempo e il modo di indagare il loro desiderio, vengono invitate a essere delle puttane. Perché questo si realizzi è un’ottima palestra l’accesso, sempre più precoce, ai contenuti pornografici attraverso i quali passa un discorso su come deve essere la sessualità. In questo modo si normalizza, viene creata letteralmente una norma che si fonda sul principio: sei una puttana, devi essere fiera di esserlo anche se quello che farai non coincide con il tuo desiderio. In un certo senso le giovani donne oggi sono in una condizione persino peggiore delle donne che le hanno precedute, perché connesse 24 ore su 24, in una perenne vetrina, sempre in mostra per gli altri, sempre e totalmente alienate da se stesse.

Per Alagna e per le donne del collettivo Lune e Lame è sempre più urgente scalfire questa idea di libera scelta fortemente capitalistica e ritornare a un concetto di autodeterminazione che si radichi nella libertà collettiva delle donne, scardinata dall’economia neoliberista del denaro e della mercificazione di ogni cosa, anche dei corpi.

Ripartire dal corpo

Ripartire dal corpo, tornando sul primo terreno di scontro con il patriarcato da cui è partito tutto il cammino di libertà femminile è ciò che possiamo e dobbiamo condividere, a livello intergenerazionale, con le giovani femministe della quarta ondata.

Il corpo delle donne è sempre stato il principale oggetto di controllo da parte del patriarcato, la posta in gioco più alta del contratto sessuale, che regola il dominio degli uomini sui corpi delle donne nella sfera privata escludendole da quella pubblica (Carole Pateman, Il contratto sessuale). I valori normativi del patriarcato oggi non fanno più presa sulle menti di molte giovani donne attive, assertive, istruite, progettuali, determinate, competenti, figlie amate e sostenute dalle loro madri, direi indomabili. Per questo l’esigenza maschile di dominio sulle nostre menti e sui nostri corpi si fa ancora più pressante. Nel nostro tempo si giocano due partite fondamentali e interconnesse, quella del controllo, attraverso strategie di contrattacco al femminismo e alla libertà simbolica delle donne, e quella del libero mercato che non vuole lasciare la presa sui nostri corpi attraverso i quali fa enormi profitti.

Siamo profondamente d’accordo con le nostre giovani amiche nel dire che è fondamentale uscire dalle gabbie del neoliberismo e tornare a un concetto di libertà e autodeterminazione collettiva. Le donne delle nuove generazioni hanno un grande lavoro da fare ma possono contare su una ricca e viva eredità e sul desiderio, che nutrono le donne di ogni generazione, di costruire insieme spazi di libertà mantenendo e creando sempre più luoghi per curarci, nutrirci a vicenda, per comunicare tra noi restando radicate nel desiderio femminile.