Corpi in guerra, corpi malati, corpi maschili
Alberto Leiss
4 Aprile 2022
Ho preso la parola nell’incontro di Via Dogana del 6 marzo scorso spinto soprattutto da due assenze: l’assenza di corpi maschili nell’uditorio che vedevo in rete (presenze molto numerose, ma solo due nomi maschili, peraltro oscurati dalle barriere visive che è possibile alzare quando ci si riunisce on line) e l’assenza di parole sui corpi che già avevamo cominciato a vedere in tv, sui giornali e in rete, travolti dalla guerra.
Travolti in modi molto diversi, ma tutti drammatici e tragici. Corpi, per lo più maschili, costretti alla guerra o anche vogliosi di essere in guerra. Oppure in qualche caso – non li abbiamo visti ma ne abbiamo sentito parlare – intenti a disertare la guerra. E poi, soprattutto, la moltitudine di corpi femminili e infantili in fuga dalla guerra. Traudel Sattler aprendo il confronto era partita proprio da qui, ma la discussione era impostata e si è mantenuta su un altro registro.
Si è parlato molto della insopportabilità dello sguardo maschile che si rivolge ai corpi delle donne, e di quanto esso sappia insinuarsi – attraverso le logiche dei social e quelle degli interessi economici che si rivolgono ai desideri femminili – nello stesso modo delle donne di guardare a se stesse, e alle altre.
Per questo l’assenza di una possibile interlocuzione maschile mi ha creato disagio. Certo il mio sguardo sulle donne è pieno di contenuti erotici, estetici, prodotti da una cultura e starei per dire da una specie di istinto. Cerco di non farne uno strumento di disagio, o peggio, per chi guardo. Ma in fondo non sono nemmeno disposto a rinnegarlo, a censurarlo. Ilaria Sirito ha parlato in termini negativi di “immagine sessualizzata”, termine molto ripreso. Credo di capirne il senso da respingere: ma i nostri corpi possono avere un’immagine non sessualizzata?
Ho interloquito con Laura Colombo sulle colpe del mercato, certo gravi e profonde. Ma il mercato capitalistico, sempre più raffinato e potente nelle sue metodologie ricche di sapienza psicologica oltre che finanziaria e tecnologica, interviene su radici reali del desiderio alle quali dobbiamo saper risalire per reagire efficacemente.
Ho accennato al fatto che, nelle relazioni che vivo nella rete di Maschile Plurale, continuo a incontrare uomini che non sono contenti del proprio sguardo sulle donne (e quindi sul mondo) e cercano intanto una relazionalità e un linguaggio diverso tra maschi rispetto a quello che “trovano” in famiglia, in palestra, nei luoghi di lavoro, al bar. Alcuni sono giovani trentenni e meno che trentenni, o quarantenni. Qualcuno ha figli piccoli di cui vuole occuparsi. Numerosi sono anche in percorsi di analisi, di lavoro psicologico: una cosa che io e molti della mia generazione non abbiamo fatto. Insomma una voglia anche maschile di sottrarsi alle logiche maschiliste e patriarcali, per quanto forse minoritaria (ma quanto?), continua a manifestarsi.
Alla fine Beppe Pavan mi ha salutato, e io lui.
Dovremmo riflettere meglio sul perché una pratica più diffusa di scambi e di ricerca politica si è da un certo punto in poi molto bloccata. Con Laura Colombo e altre, altri, a un certo punto avevamo provato a porre la questione dell’eros nelle nostre “relazioni di differenza”. Un discorso molto difficile quando la reazione maschile alla libertà femminile tanto spesso è silenzio, incapacità di ascolto, e poi, puramente, violenza. Ora, di nuovo, la guerra (c’è sempre stata intorno a noi ma ora ce ne accorgiamo perché, stranamente, ci riguarda più da vicino e ce la raccontano e distorcono ogni santo giorno). Guerra che sembra anche una consolazione rassicurante per uomini in crisi di autorità e senso di sé. (Aggressioni infantili, ha detto giustamente il Papa. E sappiamo che disastri può combinare il bambino maleducato e sofferente.)
Volevo dire qualcosa anche dei corpi malati, della diffusa incapacità-impossibilità di curarli bene a causa di un sistema sanitario pubblico maltrattato, di una cultura del corpo per ultra-specializzazioni anatomiche. Ma ho già scritto troppo.
Dopo i traumi della pandemia e ora quelli della guerra sento con ancora maggiore urgenza il desiderio di ritrovarsi, con tutta l’attenzione che serve, per una politica in comune.