Ebrei contro l’occupazione

Israele ha attaccato Gaza con 100 aerei da combattimento, missili ed
elicotteri Apache, uccidendo, all’ora in cui scriviamo, circa 350 persone
tra cui un numero elevato di donne e bambini. Prima di questo, da oltre
due anni ha strangolato gli abitanti (1 milione e mezzo circa) imponendo
il blocco dei rifornimenti di cibo, carburante, energia elettrica. Ha
bloccato l’entrata ed uscita degli abitanti compresi i malati gravi,
ridotti alla fame e privi di possibilità di curarsi e lavorare. L’economia
della Striscia è stata distrutta dal blocco completo di esportazioni ed
importazioni: mancano i materiali (cemento, ecc) per costruire, per
l’industria e l’agricoltura. I prodotti tradizionali del luogo, ortaggi e
frutta, marciscono nei magazzini a causa del blocco israeliano. Anche i
soccorsi delle Nazioni Unite e di alcuni Paesi europei sono stati
gravemente ostacolati, ed impedita l’attività di associazioni di
cooperazione. Gaza ha tutto l’aspetto di una prigione a cielo aperto. La
precaria tregua stabilita nel 2008 è stata rotta da Israele con un attacco
che ha ucciso, nel novembre scorso, 7 persone.
Alcuni palestinesi ( in realtà non si sa chi siano, ma sembra giusto
metterli in conto ad una parte almeno di Hamas, poiché Hamas non li ha
sconfessati) hanno reagito lanciando razzi Qassam contro le abitazioni
israeliane al confine con la Striscia, principalmente nella cittadina di
Sderot e dintorni. Questi razzi, assolutamente inefficaci dal punto di
vista militare, possono essere diretti solo con grossolana
approssimazione, e sono la manifestazione di una volontà di resistenza che
si esprime in modo velleitario ed assurdo, e criminale perché rivolto
contro civili: essi servono soprattutto ad Israele, come pretesto per
continuare il mai interrotto blocco, ed ora la strage. Abbiamo visto i
ministri israeliani parlare della necessità di difendere i loro cittadini
dai razzi sparati dal territorio di Gaza, con una cinica ed inverosimile
ripetizione della favola del lupo e l’agnello. La ministra degli esteri è
comparsa in tv per dire che ora basta: nonostante il dolore per i bambini
colpiti, “è ora di far cessare la minaccia contro Israele”. Questa volta,
neppure la stampa dell’Europa occidentale sembra disposta a credere a
queste menzogne, salvo una parte consistente di quella italiana,
assuefatta alla autoprivazione della libertà di espressione per
opportunismo conformista.
La politica di Israele, con la coraggiosa eccezione di una piccola
minoranza a cui va reso merito, la miriade di piccoli gruppi organizzati
che esercitano una attivissima opposizione in nome degli ideali di
giustizia e libertà, uguaglianza e pace ( vogliamo qui ricordarli tutti
con simpatia e solidarietà: ci si permetta anche di additare i giovani e
giovanissimi che rifiutano il servizio militare come occupanti ed
oppressori nei territori palestinesi), è tuttora dominata dall’ideale
nazionalista del sionismo che vuole, dopo stabilito lo Stato Ebraico,
farlo più grande e forte, invincibile rifugio degli Ebrei dispersi nel
mondo. E per questo, invece di cercare amicizia e cooperazione con il
popolo palestinese che hanno cacciato dalla sua terra con la violenza ed
il disprezzo, in modo continuato dal 1948 ad oggi, si affida alla forza
delle armi.
L’estrema violenza ed ingiustizia di tutta la politica israeliana, dalla
cacciata dei palestinesi ad oggi, è ora culminata nell’eccidio di Gaza,
che ricorda altri eccidi che non vogliamo qui citare uno per uno, ma che
gli israeliani e gli ebrei della diaspora dovrebbero aver ben presenti, ed
insegnare alle nuove generazioni perché rifiutino la violenza nazionalista
e razzista.
Ricordando l’introduzione di Primo Levi al suo esemplare libro “Se questo
è un uomo”, affermiamo che quando il disprezzo per lo straniero, il
diverso, diventa il fondamento di una società, si arriva al lager. La
strage di Gaza, insieme all’oppressione dei palestinesi nella
Cisgiordania, alla loro discriminazione in Israele, è già ben inoltrata su
questa strada.


*** Giorgio Forti, Giorgio Canarutto, Paola Canarutto, Marina Del Monte,
Miryam Marino, Carla Ortona, Renata Sarfati, Stefano Sarfati Nahmad,
Susanna Sinigaglia, Ornella Terracini di Rete-ECO (Rete degli Ebrei contro
l’Occupazione)


INDIRIZZO:
PRESIDENTIAL TRANSITION TEAM
WASHINGTON,
DC – 20270 USA

TESTO:
DEAR PRESIDENT ELECT OBAMA, WE, ITALIAN CITIZENS, WERE LISTENING TO YOUR VICTORY SPEECH IN CHICAGO ON NOV. 4TH 2008 IN WICH YOU SAID:”THE TRUE STRENGH OF OUR NATION COMES NOT FROM THE MIGHT OF OUR ARMS… BUT FROM THE ENDURING POWER OF OUR IDEALS: DEMOCRACY, LIBERTY, OPPORTUNITY AND UNYELDING HOPE”.
WE COULDN’T AGREE MORE.
FOR 2 YEARS WOMEN AND MEN YOUNG ALD OLD, WEALTHY AND POOR HAVE ORGANIZED AGAINST PLANS FOR A SECOND U.S. MILITARY BASE IN VICENZA, AT DAL MOLIN.
WE, LIKE YOU, STARTED IN NEIGHBORHOODS AND BUILT A COMMUNITY OF PEOPLE WORKING FOR CHANGE.
AND WE, LIKE YOU, DRAW STRENGTH FROM THE VERY SAME IDEALS.
WE SHARE YOUR FEELING THAT NOW IS THE SAME TIME TO “PROMOTE THE CAUSE OF PEACE” AND ARE CONVINCED THAT ITALY, INDEED THE WORLD, NEEDS IS NOT ANOTHER MILITARY BASE.
WE STRONGLY URGE YOU TO LEARN MORE ABOUT THIS ILL-ADVISE PROJECT AND RECONSIDER IT.

CONTACT AT COMUNICAZIONE@NODALMOLIN.IT

NOME
COGNOME
FIRMA

Gianfranco Bettin

Daremo un consiglio allo stato: così, con un brillante ma serissimo gioco di parole, il sindaco di Vicenza, Achille Varianti, ha risposto al Consiglio di stato che ha ordinato di bloccare il referendum sulla realizzazione della nuova base americana presso l’aeroporto «Dal Molin» già indetto dall’amministrazione comunale per domenica prossima. Il «consiglio» consiste nel tenere ugualmente il referendum, facendo votare gli elettori, già tutti in possesso di certificato e ubicazione delle sedi, nei gazebo di fronte ai seggi preclusi dall’organo romano.
E’ una scelta forte, presa l’altra sera di fronte a una piazza gremitissima dopo una mobilitazione immediata e spontanea contro il «niet» del Consiglio di stato. E’ anche un gesto che risponde al pericolo denunciato da Ilvo Diamanti il giorno dopo su Repubblica, quando, commentando la sentenza, sottolineava come questo tipo di decisioni, che escludono la comunità interessata da ogni possibilità di pronunciamento, rischi di rendere «inutile» la democrazia.
In realtà, ormai, questo rischio non riguarda solo Vicenza. Però raramente, come nella vicenda Dal Molin, è stato più tenace e arrogante lo sforzo per tenere un’intera città al di fuori di una scelta che ne segnerà pesantemente il futuro. Aveva cominciato il penultimo governo Berlusconi, ha poi continuato – con ottusità autolesionista – il governo Prodi, accompagnati entrambi dalla giunta comunale precedente (di destra) e dalla giunta regionale guidata da Galan. Ora il nuovo governo Berlusconi vorrebbe procedere imperterrito. Sennonché, nello stesso election day che ha dato la terza vittoria al Cavaliere, c’è stato a Vicenza l’inopinato trionfo dell’ex democristiano, già sindaco stimato e illibato negli anni pre e intra Tangentopoli e poi capogruppo regionale di Ulivo e Partito democratico, su un programma che aveva al suo centro proprio la restituzione alla città del suo diritto a decidere, in particolare sulla nuova base statunitense.
Masticato amaro, la destra si era detta che, comunque, non sarebbero certo stati Variati e il Comitato No Dal Molin, una delle esperienze più autentiche di partecipazione e mobilitazione dal basso, a fermare un progetto sostenuto da tutti i poteri dello stato e in maniera bipartisan (quantomeno a Roma).
Così si è arrivati all’attuale, clamoroso e nevralgico conflitto. Che non è solo sul merito della decisione, questione pur cruciale, perché da essa dipende il futuro della città berica. E’ anche un conflitto sul metodo e sulla sostanza della democrazia. Il presidente Napolitano, a Vicenza qualche giorno fa per celebrare il Palladio, ha espresso l’auspicio di una conciliazione tra interessi generali e istanze locali.
L’atto del Consiglio di stato, l’ultimo di una lunga serie, contraddice questo auspicio, e anche quello di ascoltare la gente, pure espresso dal Presidente. Il voto di domenica è dunque un voto che vale doppio. Vale per Vicenza e vale per tutto il paese. E’ il voto più utile contro chi della democrazia farebbe volentieri a meno.

Cara Luisa,
ieri è stata una giornata lunghissima, iniziata il mattino con l’accoglienza agli europarlamentari, proseguita con la conferenza stampa in comune e poi traumatizzata dalla notizia della sentenza del consiglio di stato… Ma poi la sera in piazza c’è stata un’esplosione di orgoglio e di dignità, eravamo migliaia e migliaia, tutti di Vicenza e dintorni.
La gente ha cominciato ad affluire alle 20.30 e ha continuato, continuato tanto che quando la testa del corteo, con lo striscione, è arrivata in piazza dei Signori, dalla parte opposta si vedevano passare le fiaccole accese di una parte del corteo, e ancora moltissimi erano in corso Palladio.
Mai vista tanta gente così: oltre a noi attivisti e attiviste del presidio, dei comitati, delle famiglie cristiane per la pace ho visto tanti insegnanti, vecchi amici e amiche, i miei studenti, gente comune, tutta l’amministrazione comunale della maggioranza…
È stata una festa. Quando è arrivato, il sindaco ha fatto un discorso netto, fermo, e ha dichiarato ciò che noi tutti e tutte speravamo di sentire: che la consultazione si farà lo stesso, fuori dalle sedi, alla presenza di consiglieri comunali e di pubblici ufficiali che attesteranno la regolarità della votazione.
Penso che la grande partecipazione della città abbia dato forza al sindaco che in questo ultimo periodo ci era parso un po’ oscillante. Ora deve giocarsi il tutto per tutto, e noi lo dobbiamo sostenere.
Credo che ci siano buone possibilità, forse più di quante ne avremmo avute se il consiglio di stato avesse confermato la legittimità della consultazione.
Ora vado a volantinare.
Un caro saluto
Antonella

– da La Non Violenza è In Cammino


“E altro e’ da veder che tu non vedi”
(Dante, Inf., XXIX, 12)

 

Chi teme che la gente di Vicenza
faccia valere verita’ ed amore,
chi teme che virtu’ d’intelligenza
esprima la pieta’ che nutre il cuore,

 

chi teme che vinca la nonviolenza
e fermi il seme di nuovo dolore,
vorrebbe or cancellare la presenza
di una viva citta’, strappare il fiore

 

del vivere civile e solidale,
negando liberta’ e democrazia
vorrebbe che ci si arrendesse al male.

 

Ma non sara’ cosi’, lunga e’ la via
ma vincera’ la scelta naturale
di chi vuol pace e bene. E cosi’ sia.

 

http://lists.peacelink.it/nonviolenza/

O.C.

“Vogliono impedire anche il minimo di spazio a questa città”. Cinzia Bottene,
consigliera comunale eletta nella lista Vicenza Libera, è ancora allibita. Il
sindaco Achille Variati le ha appena letto, al telefono, le motivazioni con cui
il Consiglio di stato ha sospeso il referendum di domenica. “Da quello che ho
sentito – dice – non ci sono motivazioni giuridiche. Si tratta nei fatti di
motivazioni politiche. Del resto il Consiglio di stato si era già pronunciato
in passato a favore del governo italiano e del governo degli Stati uniti”.

 

Una decisione che era nell’aria. Anche perché in tutti i modi si è tentato di
impedire a questa città di dire dalla sua.
Ci hanno calpestati per anni e adesso ci vogliono muti. Ma questa città
reagirà, non si farà mettere la museruola. Il mio telefono è bollente: chiamano
decine di cittadini indignati, offesi. Ecco, l’abbiamo ripetuta tante volte
questa parola. Vicenza si sente offesa. E per questo reagirà. Già questa sera
(ieri sera, ndr ) alla fiaccolata verso la prefettura, che in città rappresenta
il governo, ci saranno migliaia di vicentini che esprimeranno la loro
indignazione. Quanto alla sentenza del Consiglio di stato, mi pare di poter
dire che evidentemente le pressioni sono state tante. E’ una sentenza inaudita
e non so nemmeno quanti precedenti abbia. Si impedisce alla popolazione di
esprimere il suo parere su una scelta che andrà a condizionare la vita della
città e dei suoi abitanti per anni. A rischio qui c’è la democrazia, questo è
bene ripeterlo. Avevo già avuto modo di dichiarare nelle settimane scorse che
la democrazia qui a Vicenza era in pericolo. Questa sentenza conferma purtroppo
questa nostra denuncia.

 

Tu sei anche consigliera comunale. Cosa pensate di fare come comune?
Stiamo valutando proprio in queste ore che cosa possiamo fare, quali sono gli
strumenti a nostra disposizione. Il sindaco sta verificando le varie opzioni.
E’ chiaro che siamo rimasti scioccati quando abbiamo saputo della decisione. Ma
ci siamo subito ripresi e siamo più determinati che mai a fare in modo che la
città esprima il suo parere. I cittadini sono pronti a uno scatto d’orgoglio e
non assisteranno inerti a decisioni che si vorrebbero prese sulla loro testa.
Perché sono decisioni che riguardano il futuro di ogni singola persona in
questa città.

 

In questi giorni sono in città anche dei parlamentari europei. Proprio le
donne del presidio permanente, tu in testa, si sono recate nelle scorse
settimane a Bruxelles per coinvolgere il parlamento europeo.
I deputati europei hanno immediatamente incontrato il prefetto e chiaramente
sono stati testimoni diretti di quella che ormai è evidente a tutti essere una
vera e propria emergenza democratica. Del resto l’avevano già notato nelle ore
che hanno passato in giro per la città: i cittadini vogliono dire la loro e
questo viene loro impedito.

Orsola Casagrande

Ieri ancora una volta hanno aperto il corteo contro la nuova base militare Usa. Instancabili protagoniste del movimento che da due anni si oppone alla nuova base di guerra, sono sempre in attività. Le donne del presidio permanente sono andate perfino negli Stati uniti, al congresso americano, per spiegare le ragioni del no. Hanno incontrato Nancy Pelosi, hanno partecipato a incontri e dibattiti pubblici negli Usa. E adesso, dopo la manifestazione di ieri, eccole nuovamente in partenza. Questa volta la meta è d’eccellenza, come dicono loro: il parlamento europeo a Bruxelles. Le donne saranno ospiti della vice-presidente del parlamento, Luisa Morgantini, per tre giorni intensi di incontri formali ed informali, come spiega bene Paola, del gruppo donne del Presidio. “Avremo appuntamenti ufficiali, – dice – come la visita al parlamento europeo di martedì 16 e l’incontro con gli europarlamentari del gruppo confederale “Sinistra unitaria europea – Sinistra verde nordica”, ma anche importanti appuntamenti informali, di confronto e scambio con altri gruppi di donne ceche, polacche ed inglesi”. La giornata di mercoledì 17 vedrà le donne impegnate in un’audizione con l’intergruppo per la pace del parlamento europeo e in una conferenza internazionale sul tema degli armamenti nucleari. Partiranno in 29, dall’Italia, per raggiungere Bruxelles: insieme alle 19 donne del Presidio ci saranno altre dieci donne della rete internazionale delle “Donne in nero”, da Bologna, Napoli e l’Aquila. Ma tutte riunite sotto la bandiera No Dal Molin. L’attività delle donne del presidio è stata da subito centrale per tutto il movimento. Le donne, come ha sempre detto anche Cinzia Bottene, consigliera comunale, “hanno una sensibilità diversa nei confronti della terra e della vita. Per questo l’idea di una base militare costruita nel nostro territorio non può che spaventarci”. In occasione degli attentati alle Twin Towers, Bottene ha scritto al sindaco Variati una lettera toccante. “Anch’io – si legge – voglio ricordare le vittime dell’11 settembre con la mia comunità, senza spettacolarizzazioni o, peggio, strumentalizzazioni. Come ama ripetermi sempre un mio amico citando un proverbio africano “quando due elefanti litigano, chi ci rimette è sempre l’erba ai loro piedi”. Non posso non pensare – ha scritto ancora Bottene – che, come quegli innocenti morti nel crollo delle Torri Gemelle, tanti altri innocenti sono morti in giro per il mondo, a causa di quell’evento. Morti che, per quel che mi riguarda, non sono di livello inferiore. Civili innocenti, fili d’erba strappati. Allora, se ricordo deve essere, voglio poter ricordare chi ha trovato la morte a New York come a Kabul o a Baghdad. La pietas non conosce distinzioni di sorta, non chiede conto dell’identità, del colore della pelle, della provenienza. Come diceva Livio, ” Bellum se ipsum alet “, la guerra nutre se stessa. Per questo tanti uomini e donne, tanti suoi concittadini, sono mobilitati per creare una speranza di pace”.

Una lettera da Antonella Cunico, del presidio di Vicenza

La settimana scorsa è stata davvero particolare. Abbiamo dovuto smontare il presidio, per onorare i termini stabiliti dall’ordinanza di sgombero. In pochi giorni il campo è tornato vuoto. Martedì scorso si è tenuta un’assemblea sotto le stelle, sulla nuda terra, davanti a una coltivazione di mais. Per qualche giorno il campo è rimasto spoglio e deserto.
Ma poi ieri abbiamo cominciato a rimontare, in base a una nuova richiesta, approvata, che prevede l’uso dello spazio per “sagra popolare”! Ci consentono di rimanere fino a dicembre.
Ti giro la comunicazione di Enzo, un amico del comitato di Polegge: rispecchia lo spirito che ci animava ieri, sotto il sole. Evoca anche alcune delle parole e delle immagini care alle donne, ci piace sentire che altri le hanno fatte proprie e le fanno circolare.
un caro saluto
Antonella


From: Enzo Ciscato
Quando i semi sono veramente speciali

 

 

Che bella giornata !
Madre terra sa ricompensare il duro lavoro delle donne e degli uomini.
Lo abbiamo visto oggi.
La pioggia aveva lavato il terreno per bene.
Il sole splendente ha poi riscaldato e risvegliato i semi.
Proprio quei semi che tutti avevamo saggiamente affidato alla nostra terra.
Questa mattina è tornata la vita.
Sotto un cielo blu intenso sono sbocciati i fiori, sono ricomparse le
travi d’alluminio, i bulloni ed i tiranti. E’ riapparso il popolo No Dal Molin, vivo, allegro, gioioso ed energico più che mai.
Non si poteva stare senza il presidio.
La terra stessa lo voleva.
Si sente più sicura e protetta con i tendoni le persone, il vociare, la musica.
Sono arrivati camions e furgoni con le attrezzature.
Sono arrivati i vigili, è arrivata la stampa per assistere all’alzabandiera onorato dalla tromba di Enrico.
Una delle tante cose belle di oggi è stato il sorriso di tanti “vicini” che salutavano felici.
Negli ultimi giorni si sentivano soli, quasi nudi ed indifesi.
Il presidio è rinato. Dicono sia il presidio della terza generazione,quella vincente.
Noi ci crediamo.

Questo è il messaggio inviatoci da Steve Thornton e dagli amici del Sindacato 1199, USA:
Under the moon, under the sun, we know you will still be there and you will win!
Solidarity forever
Steve Thornton and friends from 1199

 

 

E poi dicono che siamo anti-Americani !!!
I veri Americani, quelli con il cuore e l’anima, quelli che credono nella giustizia, SONO CON NOI ! (… ma guarda a chi lo dico !)

 

 

Thank you Steve, thank you to all the friends at 1199.

 

 

I semi nella terra hanno portato frutto, adesso dobbiamo ripartire a seminare tra i vicentini per il prossimo referendum e tra tutti i cittadini del mondo per quel mondo di pace e solidarietà nel quale noi tutti crediamo.

Benita Ferrero, Waldner e Margot Wallstrom

Il ruolo delle donne nella promozione della pace e della sicurezza è sempre più riconosciuto, dopo la risoluzione 1325 dell’ Onu su “Donne, Pace e la Sicurezza”: un punto di riferimento essenziale, anche se rimane molto da fare, a tutti i livelli, per la sua concreta attuazione. Alla vigilia della Giornata mondiale della donna, più di 50 dirigenti internazionali riunite a Bruxelles discuteranno del ruolo della donna per dare stabilità a un mondo insicuro. In questa primavera del 2008, nel momento in cui scriviamo, è difficile immaginare un mondo senza guerre. Ogni giorno ci giungono notizie di nuovi conflitti, crescenti tensioni e violenze. E in ogni situazione di insicurezza – che si tratti di guerre, di minacce alla salute o del cambiamento climatico – spesso le donne sono colpite in maniera sproporzionata, a motivo della loro posizione sociale tradizionalmente più vulnerabile. A livello mondiale, l’ 80% dei profughi sono donne o bambini. La violenza sessuale e lo stupro imperversano sia nei campi profughi che nelle zone di guerra. Non possiamo parlare del ruolo delle donne nella risoluzione dei conflitti senza prendere atto di questa terribile realtà; ma al tempo stesso dobbiamo ricordare che le donne svolgono un ruolo attivo di importanza cruciale per la promozione della stabilità e della pace. Nessuna discussione valida è possibile, nessun risultato può essere conseguito senza il coinvolgimento delle donne. La loro partecipazione non solo è cruciale nella sfera più tradizionale delle misure di sicurezza dirette – l’ intervento armato, le misure antiterrorismo, l’ impegno di peacebuilding e di ricostruzione dopo i conflitti – ma anche per far fronte ad altri tipi di minacce meno eclatanti per la sicurezza umana quali le epidemie globali, i traumi psicologici nelle fasi post-belliche e i rischi crescenti del cambiamento climatico e del degrado ambientale. Il 6 marzo, su invito del Commissario europeo Benita Ferrero-Waldner, più di 50 donne leader di tutti i continenti si sono incontrate a Bruxelles per discutere sul tema “Donne: dare stabilità a un mondo insicuro”. Ad affrontare in questa sede le tematiche parallele della sicurezza e di un maggior potere alle donne si sono ritrovate insieme capi di Stato, ministre, responsabili di organizzazioni internazionali, dirigenti del mondo economico, attiviste della società civile. Quest’ incontro è di fatto il seguito di una serie di iniziative recenti, quali il convegno promosso dal Segretario di Stato Usa Condoleezza Rice il 1° settembre 2007 a New York, o il Vertice internazionale delle donne leader sulla sicurezza globale, organizzato nel novembre scorso dal Council of Women World Leaders (Consiglio mondiale delle donne leader) e dalla vicepresidente della Commissione Margot Wallstrom, responsabile della Cmi (Council ministerial initiative). A nostro parere, la chiave di volta della stabilità mondiale è lo sviluppo sostenibile. Si tratta, in altri termini, di dare stabilità a un mondo oggi insicuro attraverso una giusta convergenza tra crescita economica e progresso sociale, avendo riguardo al tempo stesso alla tutela del nostro pianeta. L’ istruzione è la condizione indispensabile per la stabilità sociale. Ma a tutt’ oggi ben 100 milioni di minori – di cui 70 milioni sono bambine – non frequentano scuole di nessun tipo. è questo che dobbiamo cambiare Un altro strumento importante per stabilizzare il mondo è la già citata Risoluzione 1325 nell’ Onu sul ruolo della donna nella costruzione della pace e nella sicurezza, poiché vi si riconosce il rapporto tra sicurezza globale e parità di genere, così come l’ importanza del contributo delle donne nella costruzione di una pace durevole. è una pietra miliare sulla via verso un processo di pace e una maggiore apertura a questo aspetto del problema nelle politiche per la pace e la sicurezza. Se l’ attuazione pratica della Risoluzione 1325 è di fatto un processo politico a lungo termine, questo tema deve però essere oggetto di maggior attenzione nell’ ambito dell’ Ue e in tutti i suoi Stati membri, e in particolare da parte dei responsabili di settori quali la politica estera e di sicurezza, le politiche di sviluppo e la difesa. Dall’ epoca dell’ adozione di questa Risoluzione (approvata nel 2000) si fa strada una maggior consapevolezza di quanto sia importante coinvolgere le donne nei processi di pace e di ricostruzione; ma l’ attuazione concreta dei contenuti di quel documento rimane occasionale e sporadica. Se le donne fanno la differenza, è perché hanno un concetto più articolato della sicurezza, e tengono conto di molti aspetti sociali ed economici cruciali, che senza di loro sono spesso ignorati. Negli accordi di pace e nell’ impegno post-bellico – anche, ma non soltanto attraverso la partecipazione alle trattative – sono le donne a dimostrarsi più efficienti e a conseguire i migliori risultati pratici, attraverso tutta una gamma di azioni e di interventi che vanno dalla riabilitazione dei bambini soldato all’ organizzazione di incontri, travalicando le divisioni tra schieramenti per discutere temi comuni, quali l’ accesso all’ acqua potabile; o l’ impegno a sostenere la priorità dei servizi sociali sulle spese militari nell’ assegnazione dei fondi di bilancio. Le donne possono dare inoltre un grande contributo alla pianificazione e alla messa in atto di operazioni di smobilitazione e di ritiro delle armi, così come ai programmi di reintegrazione. In tutte queste attività le organizzazioni femminili svolgono un ruolo cruciale a livello delle comunità, che si tratti di persuadere gli ex combattenti a consegnare le armi, di convogliarle nei centri di raccolta o di fornire un’ assistenza psicosociale a chi ne ha bisogno. Nell’ ambito della società civile, gruppi di donne quali ProPaz nel Mozambico o Dushirehamwe nel Burundi stanno tentando di contrastare la proliferazione delle armi leggere, e di farsi carico delle esigenze dei combattenti smobilitati. Ma nonostante il consenso generale sulla tutela e sul protagonismo delle donne, sul piano decisionale e nei processi di peacebuilding e peacekeeping la loro emarginazione è tutt’ altro che superata. Nell’ ambito politico sono tuttora scarsamente rappresentate: a livello mondiale, Europa compresa, solo il 6% dei ministri e il 10% dei parlamentari sono donne. E sappiamo tutti che il famoso “glass ceiling” (la barriera invisibile che sbarra la strada alle donne, ndt) esiste tuttora, sia in politica che nel mondo economico. Il fatto che alle donne si continui a negare una partecipazione piena a livello decisionale rappresenta un significativo ostacolo al conseguimento degli obiettivi della Risoluzione 1325. Infine, un problema molto diffuso è la tendenza a vedere le donne esclusivamente come vittime, risconoscendo il loro potenziale di partecipazione attiva al processo di costruzione di un mondo più stabile e sicuro. Benita Ferrero Waldner è Commissario Ue per le relazioni interne e la politica europea di vicinato Margot Wallstrom è vicepresidente della Commissione Ue, responsabile per le relazioni istituzionali e la comunicazione

 

(Traduzione di Elisabetta Horvat)

Lorena Melchiorre

Una donna che abortisce è sempre una donna sola.
Sola nella decisione perché, anche se frutto della mediazione con altri, in primo luogo l’uomo con cui ha concepito, è una scelta che alla fine compie in solitudine secondo un processo individuale e irripetibile, diverso da quello di ogni altra donna che è giunta o giungerà alla stessa conclusione. Una risoluzione presa, dopo una contrattazione tra sé e sé, in un difficile lavoro di mediazione tra convinzioni religiose o morali, desideri, progetti per il futuro, possibilità o difficoltà materiali.
Rimane sola nell’ambulatorio, quando l’embrione le viene tolto dall’utero.
Sola nella rielaborazione di ciò che ha voluto, in un percorso di accettazione spesso lungo e doloroso.
Poche decisioni nella vita turbano così radicalmente e insinuano un dubbio nelle certezze e nell’integrità morale della persona. In rare occasioni si migra così lontano dalla collettività per ragionare di sé, di ciò che si è e di ciò che si vuole. Poche altre volte si deve decidere di qualcosa che sta dentro di sé, di un altro da sé che si confonde con la propria carne.
L’aborto è, però, anche un fatto pubblico, perché se si può partorire da sole non si può abortire da sole, senza mettere in pericolo la propria vita.
Come riuscire a conciliare tempi, parole, modi di un evento così privato con le ragioni della opinione pubblica? Difficilmente la complessità e l’unicità della sfera intima si salvano, dopo l’impatto contro la genericità delle norme sociali. Bisogna quindi trovare la giusta distanza. Definire un limite invalicabile. Istituire una riserva protetta di quello che siamo. Una riserva naturale per l’intimità.
Fanno bene i capi dei due principali schieramenti a tenere la questione dell’aborto fuori dalla campagna elettorale che, per quanto mantenga ancora la ragionevolezza dei toni moderati, è per sua natura fatta di slogan, iperboli, promesse difficilmente mantenibili e forzate semplificazioni.
Ora sappiamo che i due leader vogliono evitare di dire sciocchezze almeno su questo problema.

Luisa Morgantini

Poco più di due ore ma sono bastate per vedere la distruzione e la desolazione della gente di Gaza. Con 8 parlamentari europei e un senatore del Pd, siamo stati gli unici rappresentanti politici ad essere entrati nella Striscia da quando è iniziato l’attacco israeliano.
Siamo entrati attraverso il valico di Rafah grazie alla indispensabile collaborazione dell’Unrwa e delle autorità egiziane e forzando la volontà di quelle israeliane che hanno respinto la nostra richiesta. Colpi di cannone e bombe sono cadute vicino la sede dell’Onu in cui ci trovavamo, malgrado ci fosse una tregua di tre ore. Non rispettata.
Così come la risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, respinto da Israele e da Hamas.
«Tutti e due si dichiareranno vincitori ma siamo noi a morire»: è un uomo accasciato nel centro di raccolta degli sfollati dell’Onu, che ci parla. Responsabilità di Hamas, ma l’asimmetria, è innegabile. Israele continua da più di 40 anni ad occupare e colonizzare terra e popolo palestinese, con la forza militare e la violazione del diritto umanitario e internazionale: a Rafah ho visto esseri umani logorati dal terrore sfiniti dall’insonnia per due settimane di duri bombardamenti, di ricerche disperate di cadaveri tra le macerie e una fame antica quanto l’embargo che anche prima dell’operazione «Piombo fuso» soffocava e costringeva in una punizione collettiva i civili di Gaza. Sono attaccati dal cielo, dalla terra, dal mare, nessuno e niente può dirsi al sicuro.
Ed è la prima volta che persone bombardate non hanno dove fuggire, le frontiere sono chiuse, aspettano di morire. È ciò che mi ha detto Raed: «Ogni volta prima di cercare di dormire, bacio mia moglie sperando di ritrovarla il giorno dopo e di non morire sotto le bombe». Orrore e impunità: la scuola dell’Unrwa di Jabalia è stata centrata in pieno da un missile da dove non sparavano i miliziani di Hamas e lì sono morti 45 civili. Gli obitori sono stracolmi di cadaveri come le corsie di feriti con ustioni gravi provocate dal fosforo bianco e dalle armi Dime (sperimentali), usate in Libano – l’ammissione è di parte israeliana. Un medico ci dice che i malati cronici non vengono più curati: non ci sono medicine. A Gaza le madri assiepate a decine con i loro bambini in una piccola stanza ci guardavano disperate, con gli occhi persi nel vuoto, ci mostravano i figli ancora feriti e ci chiedevano «Perché?». L’Unrwa denuncia la mancanza di beni base necessari.
Israele non permette il flusso necessario di aiuti. Ma nulla e nessuno è al riparo dalla scelta di Israele di continuare nell’illegalità. Mentre si bombarda Gaza aumentano i coloni illegali in Cisgiordania e cresce il Muro che confisca terre e divide palestinesi da palestinesi. Continuare a tenere viva la speranza per il diritto ad uno Stato, sui confini del ’67 con Gerusalemme capitale condivisa, è sempre più difficile. Come far assumere alla Comunità Internazionale le proprie responsabilità? Come far cessar il fuoco subito? Come convincere Israele che non può continuare a violare la legalità internazionale ma che deve iniziare ad ascoltare al suo interno le voci che chiedono pace, diritti e dignità per il popolo palestinese, unica via per la propria sicurezza? L’Unione Europea deve avere il coraggio e la coerenza di fermare il potenziamento delle relazioni e cooperazione con Israele, sopratutto quella militare.
Noi parlamentari europei lo chiederemo ancora una volta, insieme al cessate il fuoco da tutte e due le parti e a forze internazionali per proteggere i civili non solo a Gaza ma anche in Cisgiordania. E mi auguro che in Italia i movimenti sappiano capire che essere uniti è importante e che non si è per Israele o per la Palestina, ma per il diritto e la giustizia. Io continuo a stare con quei palestinesi ed israeliani che dicono «ci rifiutiamo di essere nemici – fermate il massacro – basta con l’occupazione».

Siamo partiamo in quattro, sabato, per la manifestazione di Vicenza. E’ venerdì. Questa volta non ci sono treni e pullman organizzati dal Prc. Quelli dei Cobas e di Sinistra critica partiranno all’alba di sabato. Età e stanchezza (siamo reduci da Genova dove Trenitalia ci ha trattate/i da bestie) hanno la meglio e paghiamo i nostri 100 e passa euro per viaggiare su un eurostar. La sera subito al presidio No Dal Molin, dove conosciamo queste splendide persone – tante, tante donne! – che da un anno difendono strenuamente il loro territorio dall’invasione Usa e dal servilismo governativo italiano. Tanta gente, di tutte le età, anche se a un primo sguardo sembra manchino i quarantenni.
Quando ci sentono parlare capiscono che non siamo di casa e ci ringraziano per essere li con loro, dicendoci e ripetendo «siamo stati lasciati soli, ormai ci siete solo voi e i centri sociali che ci danno una mano, i partiti ci hanno abbandonati». L’impatto è commovente: la dignità di queste persone è la cosa più bella che vediamo dai tempi della preparazione di Genova 2001. Vicenza è stata presa in giro. Questa è la sensazione che ci raccontano tutte/i. Ci diranno anche della freddezza con cui metà della sala della Cosa rossa li ha accolti a Roma quando sono venuti a ricordare, a questi sinistri partiti, gli impegni presi un anno fa. E non basterà certo qualche deputato in fondo al corteo a riscattare l’assenza di oggi. Con i No dal Molin nel cuore torniamo a Roma, dove si governa alla faccia della democrazia. Buon lavoro a tutte/i quelle/i rimasti al presidio. Noi non vi dimenticheremo.
Tania La Tella, Enrica Paccoi, Teresa Gennari, Luca Nencini Roma

Olol Jackson, del Presidio No Dal Molin, è raggiante. «E’ andata benissimo», dice anche se ha appena finito una faticosa trattativa con Trenitalia che aveva bloccato i manifestanti in stazione. «L’ennesima dimostrazione – dice Jackson – di come sia incredibilmente difficile ormai muoversi per andare a manifestare». Al presidio permanente è cominciata la festa del dopo manifestazione. Jackson è tra le anime del movimento contro il Dal Molin. Consigliere comunale a Vicenza per i verdi si è autosospeso, ormai un anno fa, proprio sulla questione della costruzione della nuova base Usa. Lui che è per metà americano. Suo padre un veterano della guerra del Vietnam. «Purtroppo – spiega – gli effetti della guerra li ho vissuti sulla mia pelle, nella mia famiglia».

 

Un’altra giornata importante per il movimento contro il Dal Molin. Un’altra tappa nella battaglia contro la nuova base.
E’ stata una giornata straordinaria. Nonostante il boicottaggio totale dell’informazione nazionale e nonostante le difficoltà per raggiungere e come abbiamo visto anche per lasciare la città, la risposta della gente è stata incredibile. Ottantamila persone. Un successo straordinario, un dato che deve far riflettere e che dimostra che questa lotta è sentita non solo qui a Vicenza ma ovunque. Abbiamo sconfitto il silenzio che ha circondato questa manifestazione. Il silenzio come strategia, nella speranza di scoraggiare la gente a partecipare. Ma per fortuna non ha funzionato.

 

A riflettere dovrà essere chi c’era ma forse soprattutto chi non c’era…
Questa è stata una grande giornata. Una mobilitazione incredibile. Migliaia e migliaia di persone che hanno voluto sfilare in questa città. Tantissimi i vicentini. Alla faccia di chi diceva che la città era assente e che non è coinvolta in questa battaglia. Ottantamila persone, invece, sono scese in piazza senza l’organizzazione dei partiti e delle organizzazioni, arrivati da tutta Italia. Per quanti, e in queste settimane sono stati tanti, dicevano che il movimento no Dal Molin ormai era finito, ecco la risposta. Non poteva essere migliore.

 

La città è stata molto presente.
C’è stato qualcosa di straordinario. Siamo di fronte a un grande dato di movimento e francamente credo di poter dire di non aver sentito il peso dell’assenza di quanti non hanno voluto essere al fianco del movimento. Della gente. Un’assenza che conferma la distanza sempre più ampia che c’è tra la società civile, i movimenti e le istituzioni. Del resto lo si era già visto in precedenza. Credo che questa manifestazione abbia sancito ulteriormente quanto già era stato sancito a Genova il 17 novembre scorso e quindi a Roma nella manifestazione autorganizzata delle donne.

 

E adesso?
Per essere sincero credo che ci prenderemo dieci minuti di respiro. Ma davvero solo dieci. Perché adesso di tratterà di verificare come ripartire. Questa manifestazione ha segnato un nuovo punto di partenza. Una nuova tappa nella lotta contro la costruzione della base americana ma anche un nuovo inizio. Discuteremo insieme come sempre abbiamo fatto di come ripartire. La determinazione della città c’è. Quella del movimento più in generale anche.


[…]

Cinzia Bottene, del presidio permanente accusa: «Ora media e politici tentano di oscurarci, ma sarà un grande corteo. Il governo è avvisato»


Alla vigilia della tre giorni europea Cinzia Bottene del presidio permanente traccia un parallelo tra la vigilia della grande manifestazione del 17 febbraio scorso e questa. «Allora – dice – c’era stata una campagna terroristica, la stampa aveva addirittura ventilato ipotetitici collegamenti tra le nuove Br e il popolo del no Dal Molin». Questa però è una vigilia diversa.

 

In che senso?
Se prima del 17 febbraio il clima era quello della caccia alle streghe e dei tentativi di disincentivare la partecipazione popolare con la paura, oggi ci troviamo a dover fronteggiare una tattica molto diversa, quella del silenzio. Una tattica per certi versi molto più subdola e pericolosa. Si tace, si punta sul silenzio per disincentivare la partecipazione. E non parlare è molto pericoloso. Nonostante il silenzio le adesioni continuano a moltiplicarsi e la partecipazione alla manifestazione di sabato si prevede molto ampia. I segnali sono questi. Spero davvero che sia così perché sarebbe la più bella dimostrazione di un’altra vittoria della gente. E quindi delle pratiche democratiche.

 

Come vanno i preparativi?
Ero di turno al presidio l’altra sera e seduta attorno al fuoco mi guardavo intorno. L’allestimento del secondo presidio è quasi completato. Si lavora senza sosta per rendere i due presidi ospitali e attrezzati. Mi è venuto un po’ un nodo alla gola perché ho pensato che come al solito siamo al lavoro fino all’ultimo. Ma penso che anche questa volta ce la faremo. Grazie al lavoro di tanti volontari, uomini e donne di questa città che non hanno intenzione di mollare. Lunedì sera c’è stata la protesta all’inaugurazione del nuovo teatro cittadino. Un’altra tappa nella battaglia contro la costruzione della nuova base. Non a caso lo striscione che è stato esposto, assieme alle cento croci di legno bianche, diceva «un teatro per pochi, una base di guerra per tutti». La protesta è stata una vittoria. Abbiamo costretto ad una prima teatrale blindata. Abbiamo scelto una forma soft per dire la nostra perché non contestavamo l’apertura del teatro, che anzi questa città aspettava da sessant’anni. Credo che se siamo arrivati al punto di trovarci di fronte alla prospettiva della costruzione di una nuova base militare è anche per l’assenza di questo teatro. Voglio dire che per sessant’anni questa città non ha avuto un luogo dove fare cultura. Due generazioni in questa città sono cresciute senza un teatro, quindi senza un luogo dove produrre una cultura altra. L’immagine che più mi ha rattristato, che più ho trovato stonata è stata quella del vescovo di questa città. Un pastore che dovrebbe essere fuori, tra la gente in lotta per la pace e che invece brilla per il suo silenzio totale sulla nuova base al Dal Molin. Si è fatto fotografare non tra la gente che chiede pace ma tra signore in pelliccia e gioielli.

 

Siete reduci dalla trasferta romana dove avete portato le vostre richieste alla convention della cosa rossa. Qualche risposta?
Anche qui, silenzio totale. Nessuno si è fatto vivo. Non i ministri, non i parlamentari del centro sinistra che pure sul palco a Roma sono saliti. Sono pronti a farsi riprendere sotto le luci dei riflettori ma spariscono appena le luci si spengono. Speriamo almeno di ottenere un risultato sulla questione dei treni che è una questione di democrazia. Finora nemmeno su questo abbiamo avuto garanzie o contatti, ma credo che sia il minimo consentire alla gente di partecipare alla manifestazione di sabato. Come ho detto anche a Roma nel mio intervento, spero davvero che il governo si accorga che questo è l’ultimo momento utile per intervenire sul Dal Molin. Ho chiesto ai parlamentari di rialzare la testa, di ricominciare a battersi per i loro ideali che sono i nostri e quelli di tanta gente in questo paese.


SEGUENDO UN FILO MAI SMARRITO, CHE UNISCE LE DONNE DA SECOLI SUI VALORI DELLA DIGNITA’, DELLA PARITA’, DELLA LIBERTA’ E RISPETTO DELLA PERSONA E DEI DIRITTI, VENIAMO QUI OGGI 8 MARZO 2007 CON UNA RIFLESSIONE IN PIU’, QUELLA SULLA PACE.

 

 

DESIDERIAMO SPIEGARE, NOI DONNE VICENTINE A VOI DONNE AMERICANE – RESIDENTI DENTRO UNA BASE MILITARE, LA EDERLE, PERCHE’ SIAMO IMPEGNATE CON TANTA DETERMINAZIONE E PASSIONE IN QUESTA BATTAGLIA DI RIPUDIO ALLE GUERRE E DI ANELITO ALLA PACE.

 

 

PERTANTO NOI ESPRIMIAMO CON CONVINZIONE, PACIFICAMENTE, LA NOSTRA CONTRARIETA’ ALL’INSEDIAMENTO DI UN’ALTRA BASE MILITARE AL DAL MOLIN IN VICENZAA, PENSATA NEL BEL MEZZO DEL VERDE DELLA NOSTRA BELLISSIMA CITTA’ PALLADIANA, CHE ANDREBBE AD AGGIUNGERSI ALLA GIA’ ESISTENTE EDERLE, PLUTO A LONGARE, AI TUNNEL ALLA FONTEGA E QUANT’ALTRO. RAPPRESENTIAMO COSI’ IL DISSENSO DEI CITTADINI E DELLE CITTADINE DI VICENZA AD UN PROGETTO DEVASTANTE SUL PIANO URBANISTICO E DI IMPATTO AMBIENTALE, A RISCHIO SUL PIANO STRATEGICO DI SICUREZZA, POICHE’, OSPITANDO LA 173^ BRIGATA D’ATTACCO, INTUIAMO TROVARCI DENTRO UNO SCENARIO INTERNAZIONALE DI GUERRE GIA’ ESISTENTI E FUTURE.

 

 

GUERRE CHE, A DETTA DI LARGA PARTE DELL’AMERICA ODIERNA, SONO INGIUSTE, INUTILI, PORTANO SOLO DISTRUZIONE E MORTE.. E’ COMPRENSIBILE PERCIO’ LA NOSTRA GRANDE PREOCCUPAZIONE E SOSTENIAMO CHE NON TROVIAMO RISOLVIBILE IL PROBLEMA NEPPURE CON LA PROPOSTA DELLA RIDUZIONE DEL DANNO.

 

 

VOGLIAMO RIBADIRE UN VALORE ASSOLUTO CHE E’ LA VITA DI CIASCUNO DI NOI. SE NOI DONNE SIAMO PORTATICI DI VITA E GARANTI DEI DESTINI DEI NOSTRI FIGLI, COSI’ DOBBIAMO, PER NOSTRA NATURA, GELOSAMENTE CUSTODIRE IL LORO CAMMINO DENTRO SENTIERI DI PACE, CUSTODIRE LA TERRA SU CUI PORTANO I LORO PASSI, COSTRUENDO PER LORO UN MONDO POSSIBILE CON UN PROGETTO DI VITA, DEGNA, SOSTENIBILE, PROSPERA, DURATURA , CHE SIA FATTA DI ALLEANZE LEALI BASATE SUL RISPETTO DELLE RECIPROCHE SOVRANITA’ NAZIONALI , NELLA RICCHEZZA DELLE DIVERSITA’ E DEI DIVERSI SAPERI.

 

 

CHIEDIAMO A VOI MADRI, MOGLI, FIGLIE, SORELLE, AMICHE E COMPAGNE CHE IN QUESTE GUERRE INGIUSTE AVETE GIA’ PERSO IL VOSTRO SOLDATO, SE POTRA’ MAI ESSERE COLMATO IL VUOTO CHE LASCIA LA SUA ASSENZA. PER L’AMORE PERSO , NEL CUORE DI UNA DONNA NON CI SONO EROI O MEDAGLIE, SOLO RICORDI E LACRIME. NON VOGLIAMO ENTRARE NELLE LOGICHE DI POLITICHE E STRATEGIE, VOLUTAMENTE VI CHIEDIAMO DI VOLARE ALTO CON NOI, AL DI SOPRA DI ALAMBICCHI TRA STATI, PER SEMINARE NELLE ZOLLE DEL SAPERE, DELLA SCIENZA, DELL’ARTE, DELLA TECNOLOGIA, DELLA RICERCA E PORRE LE “BASI”, QUESTE SI, PER UN MODELLO DI SVILUPPO GLOBALE EQUOSOSTENIBILE, PER L’UTILIZZO DI ENERGIE RINNOVABILI, AL FINE DI SALVARE QUESTO NOSTRO PIANETA CHE STA SOFFOCANDO NELL’INQUINAMENTO, NELL’EFFETTO SERRA, NELLA CEMENTIFICAZIONE E ANNUNCIA L’INCUBO FUTURO DI POVERTA’ ENERGETICA E D’ACQUA. ATTIVARCI CIOE’ CON LA SAGGEZZA , L’UMILTA’, IL BUON SENSO, MEDIANDO SITUAZIONI ANCHE DIFFICILI COME FACCIAMO QUOTIDIANAMENTE NEL NOSTRO RUOLO DENTRO LE NOSTRE FAMIGLIE. A QUELLE TRA NOI CHE CREDONO NEL DIALOGO, NELLO SCAMBIO DI CONOSCENZE E CULTURE.

 

 

A QUELLE CHE SENTONO CHE I CONFLITTI SI POSSONO SUPERARE SENZA L’USO DELLE ARMI, VA QUESTO APPELLO DI ADESIONE PER PORTARE AVANTI UN SFIDA AMBIZIOSA , IN SALITA, FATICOSA, MA CHE ACCETTIAMO PER VINCERE.

 

LE DONNE DEL NO AL DAL MOLIN

 

 

 

Throughout the ages women have always been united by the common threads of freedom, dignity, equality and respect for people’s rights.

 

 

We are here, today, on the 8th of March 2007, to add a new common thread: peace.

 

 

As women citizens of Vicenza, we wish to explain to you, American women living inside the American military base of Camp Ederle, why we are so determined and passionate in our fight against war (as declared in the art. 11 of the Italian Constitution) and in our longing for peace.

 

 

We want to express firmly, but peacefully, our opposition to the settlement of a new military base at the airport Dal Molin, a green area right in the middle of our beautiful town, architecturally enriched by Andrea Palladio’s genius.

 

 

The project of a new base would be the umpteenth military installation after the already existing Ederle, Pluto in Longare, the tunnel in Fontega and we don’t know what else…

 

 

Therefore, in the expression of our opposition, we give voice to the disagreement of the entire population of our town against a project which could be really devastating as for town planning and environment impact on Vicenza.

 

 

Last, but not least, this still hypothetical base could be a serious risk from the point of view of a security strategical plan since it would accommodate the 173° Brigade, a military forc e already operating in the major battlefields.

 

 

In accepting this, we could be a party to an international war scenery that we consider unfair, unnecessary and destructive for it brings pain, poverty and death. And we know that a major part of the American population shares this opinion.

 

 

Therefore, we think that our concern is all the more justified, to the point that we cannot consider as feasible the so-called ‘damage reduction’, a proposal that someone has tried to present as the ‘solution’ to the problem.

 

 

We want once more to assert life as the absolute and fundamental human value. Since we, as women, are the creators of our children’s life and since during all their life we are responsible for their destiny, how couldn’t we show them the way without believing in peace, without building for them the best possible world, without laying the bases for a worthy and sustainable life, made of fair alliances in the respect of one another’s sovereignty and cultural differences?

 

 

We want to ask you, who are mothers, sisters, daughters, friends, like us, To you, that in these unfair wars might have lost your partner, Could you tell us if the gap of his absence will ever be filled again? Once she has lost her love, In a woman’s heart there’s no place for heroes nor for medals, but only for memories and tears.

 

 

We’re here to ask you to fly high with us over and beyond politics and strategies between states in order to sow new seeds in the fields of knowledge, science, art, technology and scientific research and laying the bases (and only this kind of bases!) for a pattern of fair and sustainable global development and for the use of alternative energy sources in order to preserve our world from dying for pollution, greenhouse effect, overbuilding and lack of water and energy.

 

 

We’re here to ask you to engage yourselves in a role of a gobetween, like we are doing, since this is our innate role in life. Every day we’re asked to play this role inside our families, even in the most difficult situations, and we play it with modesty, common sense and wisdom.

 

 

We address our appeal to those among you who believe in the possibility of communicating and exchanging culture and knowledge, to those who are certain that conflicts can be solved without physically fighting and destroying other people, to those who want to accept this difficult challenge but only in order to win.

 

 

Women for NO DAL MOLIN

Cara Silvia,
ti scriviamo per invitarti alla manifestazione che stiamo organizzando per il 15 dicembre. Per la verità si sta lavorando per la costruzione di più iniziative, che dovrebbero tenersi nelle giornate del 14, 15, 16 dicembre, ma il calendario ancora non è pronto.
Il periodo appena trascorso è stato tumultuoso. Come forse avrai sentito a Vicenza nella seconda settimana di novembre il presidio ha attuato il blocco dei due ingressi dell’aeroporto per tre giorni e tre notti per protestare contro i lavori di bonifica dell’area che erano iniziati in sordina, facendo entrare i mezzi nottetempo.
La bonifica consiste nella rilevazione e disinnesco delle bombe che gli USA stessi lanciarono nel novembre del 1944 su questo territorio, operazione prelimilare all’avvio dei lavori per la costruizione della base che avrà poi il compito di portare
bombe su altri Paesi.
Ci siamo avvicendati/e, dal 6 al 9 novembre, sera, giorno e notte – un freddo! – per
impedire che entrassero gli addetti alla bonifica; si è temuto lo sgombero, specie durante la prima notte e all’alba del secondo giorno.
La prima sera era iniziata con un grave incidente: un militare italiano ha deliberatamente investito un manifestante, Francesco Pavin, che si stava dirigendo all’ingresso destinato ai militari ed è poi fuggito dentro l’aeroporto. Questo incidente, di cui si stanno accertando le responsabilità, ha causato problemi al questore e probabilmente ha pesato sulla decisione di non procedere allo sgombero così come era stato richiesto dal sindaco e dall’assessore Sorrentino di AN. Infatti non sarebbero stati sgomberati solo i disobbedienti, ma anche gente comune, tante donne, uomini, pensionati che sono convenuti ai due ingressi dandosi il cambio: non sarebbe stata una bella immagine da mandare in onda e noi eravamo decisi alla
resistenza non violenta.
La ditta ABC di Firenze ha sospeso per qualche giorno i lavori. C’è stata una fiaccolata il 18 novembre per ricordare le vittime civili dei bombardamenti del 1944. Una parte del gruppo donne è andata venerdì scorso a Firenze per manfestare davanti ai cancelli della ditta e ha impedito ai dipendenti di entrare. Ti alleghiamo il volantino con le motivazioni dell’iniziativa. E’ stata una bella avventura, anche se non è arrivata alla stampa nazionale. Il Giornale di Vicenza, una testata locale, ha pubblicato l’articolo che ti mandiamo per conoscenza, mettendo in evidenza la denucia – in realtà non è chiaro se sia stata effettivamente presentata – piuttosto che il significato dell’azione.
Ora stiamo lavorando per preparare le iniziative di dicembre. Ci piacerebbe che partecipassi, magari con altre amiche della Libreria che ospiteremmo volentieri.
…Insomma, venite?

Nell’attesa, un caro saluto da parte di tutto il gruppo e un abbraccio!

Gruppo donne No Dal Molin

P.S. Se guardi in www.altravicenza.it trovi altre notizie degli eventi

 

COMUNICATO STAMPA

 


Se ricominciano le bonifica, nuovi blocchi

 

 

Se i lavoratori dell’aziende incaricate della bonifica torneranno al Dal Molin, noi torneremo a presidiare gli ingressi dell’aeroporto e a impedir loro l’ingresso.

 

 

I primi tre giorni di blocco sono stati molto positivi; la bonifica è stata sospesa e i lavoratori sono stati richiamati dall’azienda che ora dichiara di non voler continuare il lavoro in quando non vi sono le condizioni necessarie. Noi non siamo contrari alla bonifica in sé, bensì alla nuova base militare che si vuole realizzare e per la quale è in corso la bonifica.

 

 

Abbiamo scritto una lettera aperta al titolare dell’ABC di Firenze, azienda che stava svolgendo le bonifiche, per spiegare le nostre ragioni e motivare le nostre iniziative. Ci auguriamo che il titolare dell’azienda specializzata voglia confermare la propria determinazione a non proseguire nei lavori di bonifica per non rendersi complice della costruzione di un’opera devastante imposta alla comunità  locale.

 

 

Alleghiamo di seguito il testo della lettera.

 

 

Presidio Permanente, Vicenza, 9 novembre 2007

 

 

Alla c.a. sig.
MELA GIANFRANCO
Abc S.a.s
Piazza Donatello 4
50132
Firenze

 

 

Egregio Signor Mela,
siamo le donne e gli uomini del Presidio Permanente No Dal Molin di Vicenza.
Come sa, in questi giorni abbiamo presidiato gli ingressi dell’aeroporto Dal Molin per impedire ai lavoratori della Sua azienda di accedere e proseguire nel lavoro di bonifica iniziato lo scorso 17 ottobre. Con queste righe vogliamo spiegarle le ragioni della nostra iniziativa.

 

 

Naturalmente noi non abbiamo nulla in contrario allo svolgimento di una bonifica bellica; purtroppo, come lei sottolinea nella Sua intervista a Il Sole 24 Ore, il mondo è pieno di ordigni, tra cui le mine antiuomo, che quotidianamente mietono decine di vittime.

 

 

La bonifica in corso all’interno dell’aeroporto della nostra città , però, ha uno scopo ben preciso: quello di permettere l’edificazione di una nuova installazione militare statunitense per ospitare la 173° Brigata Aerotrasportata. Da più di un anno ci battiamo per impedire la realizzazione di questo progetto che farebbe di Vicenza un avamposto di guerra e che sarebbe devastante dal punto di vista ambientale ed urbanistico.
Non vogliamo che la nostra città
diventi il punto di partenza delle future guerre che porteranno morte e distruzione nel mondo, così come non vogliamo che l’equilibrio idrogeologico del nostro territorio venga compromesso irrimediabilmente. Lei certamente sa che, sotto l’aeroporto Dal Molin, c’è la più grande falda acquifera del nord Italia e che l’area è l’ultimo grande polmone verde della città; d’altra parte, è sicuramente a conoscenza del fatto che la nuova base sarebbe edificata ad appena 1.500 m in linea d’aria dal centro cittadino di Vicenza, patrimonio Unesco, con tutte le conseguenze che ne derivano.

 

 

Non avremmo mai pensato di interrompere una bonifica bellica se ciò fosse stato il preludio per un utilizzo a soli scopi civili del territorio; ma la bonifica che la Sua azienda sta svolgendo è funzionale alla realizzazione del progetto statunitense di militarizzazione della nostra città.

 

 

Noi continueremo a batterci perché la nuova base Usa non venga realizzata; abbiamo apprezzato le Sue parole su Il Sole 24 Ore e ci auguriamo che Lei voglia confermare la determinazione a non proseguire i lavori per non rendersi complice della realizzazione di un’opera che è stata imposta alla comunità  locale.

 

 

D’altra parte, pur portando grande rispetto per coloro che lavorano, vogliamo ribadirle la nostra intenzione di continuare a mettere in campo iniziative di blocco e boicottaggio dei lavori di bonifica, fino a quando questi saranno utili alla realizzazione di un’installazione militare. Continueremo, inoltre, a sensibilizzare le tante realtà che, in tutta Italia, ci sostengono e che in questi giorni hanno organizzato iniziative di solidarietà e appoggio.

 

 

Vicenza, 9 novembre 2007

 

 

Cordiali saluti,
Il Presidio Permanente No Dal Molin

 

 

Per informazioni e comunicazioni: comunicazione@nodalmolin.it

Lettera di Thea Valentina Gardellin

Presidenti della Camera e del Senato,
Parlamentari e Senatori tutti,
Sindaco Hullweck,
Ahimé, nonostante siano trascorsi diversi mesi, ancora una volta mi trovo nella condizione di dovervi scrivere. Alcuni di voi già in passato hanno ricevuto e-mail da me firmate, per alcuni questa sarà la prima che v’invio……nulla toglie però che non v’abbia pensato prima.
Sapete, è molto difficile per una cittadina che ha dato a voi (non a voi nello specifico ma a voi che attualmente siete al governo come unione) il proprio voto, che ha posto in voi la propria fiducia ritenendo che le parole, le tante parole che avete detto prima, anche molto prima delle elezioni, mentre eravate all’opposizione e prima ancora…..una cittadina che ha creduto alla parole che voi avete speso pur di arrivare al governo si debba ora avvalere di internet per potervi volgere la sua indignazione.
Sì, avete detto molto durante le vostre campagne elettorali, avete speso migliaia di parole per tutti; per i giovani contro il precariato, per gli anziani in merito alle pensioni, per i precari in merito a nuovi posto di lavoro, per gli impiegati e gli operai in merito alle migliorie nelle buste paga, per gli infermi in merito alla sanità, per i sani in merito ad una migliore sanità, per le mamme in merito alle scuole, per i papà in merito a delle scuole ancora migliori, per le persone libere che avrebbero goduto di una migliore libertà, per le persone in carcere che sarebbe stata data loro una giustizia migliore…avete speso così tante parole che nemmeno il vento le poteva più contenere….tanto erano rassicuranti, tanto sembravano le parole che molti di noi aspettavano di sentire……e tra queste parole…..una in particolare…..PACE!
Ora, se avete sostenuto le vostre campagne elettorali parlando e scrivendo anche di PACE, come mai noi a Vicenza non ne abbiamo ancora conosciuto il significato? Come mai, nonostante anche il mio personale viaggio a Washington soltanto qualche mese fa per cercare la PACE attraverso il colloqui ed i dialoghi sostenuti al Congresso là…..come mai qui in Italia voi invece non lottate per questa nostra libertà? Come mai il nostro governo, il governo che ahimé, anch’io ho votato, non sa sostenere questa battaglia?
Ricordo alcuni di voi, prima, prima di arrivare a Roma…com’eravate. Le vostre battaglie, le cause che avevate sostenuto, le cause per le quali avevate lottato…alcuni di voi sono anche stati in carcere per non voltare le spalle ai propri principi di etica, per non voltare le spalle ai fratelli ed alle sorelle che condividevano un percorso di giustizia…ed ora invece? Dove siete? Dov’è quella fiamma di libertà che bruciava nei vostri cuori? Dov’è quel principio di libertà per il quale vi siete fatti arrestare? Dove sono tutte quelle parole che avete speso per poterci governare, per poterci rappresentare? Dov’è quella dignità? L’etica nell’essere coerenti? Dove sono tutte le parole spese per la PACE?
Domenica prossima alcuni di voi parteciperanno alla Marcia Perugia-Assisi…..un tempo si chiamava Marcia per la Pace…oggi come la potremo chiamare? Un tempo ci andavo anch’io perchè ritenevo fosse giusto, ritenevo fosse etico, ritenevo di fare la cosa migliore….non solo per me ma anche per tutti i miei fratelli e le mie sorelle nel mondo…coloro che la pace non l’hanno forse mai conosciuta, coloro che sono nati sotto ai bombardamenti, che vi crescono e che forse vi moriranno. Anche per loro ho marciato, con la testa alta e sicura di ogni passo che facevo.
Oggi invece, sopratutto a causa della vostra ipocrisia…io ad Assisi non ci andrò. Non voglio marciare assieme a delle persone che hanno tradito la mia fiducia. Non intendo marciare assieme a persone che non solo non han saputo proteggere Vicenza bensì che l’hanno volutamente messa in mano altrui. Ai figli vicentini che nasceranno cosa andremo a raccontare quando gli aerei militari sorvoleranno le loro teste? Cosa racconteremo loro sulle destinazioni di quegli aeroplani? Cosa racconteremo loro? Che le immagini del telegiornale sono anche causa nostra? Che non abbiamo saputo rispettare le nostre stesse parole o che le nostre eran solo parole?
Io resto a Vicenza, e la MIA marcia per la PACE la conseguo ogni giorno, vivendo nella consapevolezza di stare al fianco di chi, come me, crede in un futuro migliore e lotta per esso.
Cordialmente, Thea Valentina Gardellin

 

 

“La non violenza dei forti non può essere una mera politica. Deve essere un credo, o una passione… Un uomo che ha una passione la esprime fin nel più piccolo atto. Perciò chi è posseduto dalla non violenza la esprimerà nella sua cerchia familiare, nel trattare con i vicini, nel lavoro…e nei suoi rapporti con gli avversari
[Poiché nella loro vita i membri del Congresso non diedero affatto prova di questo, se ne concluse giustamente che non erano pronti per la non violenza]. Gandhi.

Da oltre un anno, uomini e donne della città di Vicenza stanno lottando contro la costruzione di una nuova, immensa struttura militare statunitense, che non vogliamo sia costruita né nella nostra città nè altrove. Una lotta che vede accomunate persone di diversi orientamenti politici, con culture, linguaggi e storie diverse tra loro. Questa battaglia affonda le proprie radici nella difesa della terra e nel no determinato alla guerra, fonte di lutti e tragedie, nella richiesta di pace. La politica “ufficiale” ha mostrato, in tutta questa vicenda, il peggio di sé, tentando d’imporre una scelta del genere ad una comunità fortemente contraria. Senza alcuna differenza, i governi italiani di centrodestra e centrosinistra hanno deciso di passare sopra le teste dei cittadini.

 

 

Difesa dei beni comuni e del territorio, no alla guerra e nuove forme di democrazia e partecipazione ai processi decisionali, piena autonomia rispetto alla “politica”: questi sono stati, per noi del Presidio Permanente contro il Dal Molin, i punti cardinali per mantenere la rotta dentro questa vicenda. Insieme a molti altri uomini e donne di tutta Italia, abbiamo dato vita a manifestazioni imponenti, a cui hanno partecipato centinaia di migliaia di persone. Eravamo partiti dai nostri quartieri, nel silenzio, con poche forze, siamo riusciti a portare la contraddizione sul piano nazionale. Abbiamo appena concluso un festival, a cui hanno partecipato almeno 30.000 persone, per rilanciare la nostra lotta contro questo progetto di guerra. Siamo convinti che si debba però andare oltre, che anche questi stretti confini vadano superati. Abbiamo conosciuto, in questo nostro percorso, realtà in tutta europa molto simili alla nostra. Abbiamo incrociato forme di resistenza e di difesa dei beni comuni, del territorio e delle risorse naturali, così come comitati, associazioni e movimenti che lottano come noi per impedire l’installazione di nuove strutture militari funzionali alla guerra permanente e contro un folle processo di riarmo, e con tutte queste esperienze abbiamo condiviso l’assoluta mancanza di democrazia nei processi decisionali. Come un copione unico, abbiamo sentito le storie di chi, da Venezia con il Mose alla Val di Susa con l’Alta Velocità, da Napoli con i rifiuti a Cameri con la costruzione degli F-35, dalla Repubblica Ceca alla Germania, dall’Olanda a Heathrow, da Varsavia a Londra, ha impattato con un potere che si allontana sempre più dai bisogni e dalle volontà dei cittadini, imponendo dall’alto scelte non condivise.

 

 

Ora vogliamo superare nuovi confini. Siamo convinti che oggi sia possibile costruire uno spazio comune dei movimenti che, nelle loro differenze e peculiarità, portano avanti istanze di democrazia reale. Non vogliamo proporre forme di sintesi o semplificazione, non vogliamo costruire un movimento europeo che annulli le specificità di ognuno. Al contrario, vogliamo ragionare sulla costruzione di una rete in grado di far risaltare la ricchezza di questi movimenti. Per quel che ci riguarda abbiamo sempre preferito lavorare per allargare la partecipazione, per costruire spazi d’inclusione.

 

 

Siamo convinti che oggi l’Europa possa essere, allo stesso tempo, uno spazio attraversabile da queste istanze e una dimensione praticabile dai movimenti, nella loro autonomia, per produrre risultati effettivi, per misurare nel concreto la forza delle lotte. Abbiamo indetto, come Presidio Permanente contro il Dal Molin, un’iniziativa europea nei giorni 14, 15 e 16 dicembre, a Vicenza, con una grande manifestazione dei cittadini europei sabato 15 dicembre contro il progetto Dal Molin. Vogliamo, in quei giorni, far convivere queste complessità, metterle in relazione, con momenti di discussione e iniziative sul terreno della pace e del no alla guerra, della difesa del territorio e dei beni comuni, per ripensare assieme alle forme di partecipazione di fronte alla crisi della democrazia rappresentativa, sempre più autoreferenziale e lontana dai bisogni e dalle istanze dei cittadini. La proposta che facciamo è quella di costruire assieme un primo momento di discussione europeo, da tenersi a fine ottobre, per preparare nel migliore dei modi la scadenza di dicembre.

 

Movimenti – In Veneto si prepara l’opposizione agli States. E arriva l’autrice di No Logo
Intervista a Naomi Klein, a Venezia per presentare un cortometraggio nato dal suo nuovo libro. “Bisogna riflettere sul perché negli Stati uniti continuano ad appoggiare un governo militarista” La base Usa è un ottimo esempio di shock su cui esercitare una pressione capitalista. Si costruisce uno spazio chiuso, militare, anzi legato alle guerre, che modifica radicalmente la vita degli abitanti di una città
Cristina Piccino

Il film, un cortometraggio, si chiama The Shock Doctrine: The Rise of Disaster Capitalism, la prima immagine è presa da un archivio, una donna distesa di forza su un lettino viene sottoposta a elettroshock. Seguono immagini dall’attualità, bombe, guerre, tutte con lo stesso effetto di devastazione. Poi le catastrofi naturali, l’acqua che sommerge New Orleans, case distrutte, ambiente devastato. E di nuovo i disastri “umani”, le Twin Towers. Il corto è stato realizzato da Jonàs e Alfonso Cuaron, padre e figlio, due generazioni del nuovo cinema messicano, all’origine c’è il libro di Naomi Klein, stesso titolo in inglese che in Italia uscirà il 12 come Shock Economy. L’ascesa del capitalismo dei disastri (Rizzoli). L’idea è quella di una “grande crisi” o del “grande shock” che permette al capitalismo di sfruttare in suo favore le risorse di uno stato approfittando del disorientamento dei cittadini. Per questo si deve fare in fretta a rendere la riforma da “momentanea” a “permanente”. All’origine della riflessione di Klein c’è lo studio delle dottrine di Milton Friedman, “guru” dell’economia globale contemporanea, e in particolare l’editoriale che scrisse sul Wall Street Journal dopo l’uragano Katrina. Nel quale proponeva di non ricostruire le scuole pubbliche distrutte, frequentate da bambini le cui case erano state a loro volta distrutte, ma di dare alle famiglie dei buoni a spendere presso istituzioni private. “L’amministrazione Bush si è gettata su questa proposta trasformando dopo l’uragano le scuole di New Orleans in “scuole charter”, che sono scuole pubbliche gestite da privati secondo le loro regole. In questo modo si creano enormi disuguaglianze applicando standard educativi differenziati” spiega Naomi Klein, faccia da ragazzina, determinazione sorridente. Ma è solo uno degli esempi del libro, e anche del cortometraggio: sia guerra in Iraq sia l’uragano Katrina il risultato non cambia. Lo shock della gente è l’utile terreno d’azione per l’agire di multinazionali della ricostruzione. Il cui senso è tutto da stabilire. Friedman, ricorda Klein, è stato il consigliere favorito di Pinochet, dopo il colpo di stato, approfittando del trauma del paese, gli suggerì di applicare radicali tagli a spesa pubblica, istruzione, etc. Tutto questo entra nel corto, misto di animazione e tecniche diverse. Lo shock oggi produce Guantanamo, privazione dei diritti civili trasformata in difesa di civiltà, censura dell’informazione che diventa un modo di proteggere i cittadini.
Ieri sera, dopo la presentazione alla Mostra del corto, insieme a Cuaron Naomi Klein è partita per Vicenza, a sostenere la manifestazione contro la nuova base americana. Al mattino alcuni rappresentanti della protesta erano arrivati al Lido, sulle note dell’accordeon di Oreste Scalzone.
Perché Vicenza? Qual è la ragione che la fa partecipare alla manifestazione di oggi?
Credo che la ragione sia già nel soggetto del libro, lo abbiamo fatto anche ai tempi di No logo, andavamo laddove c’erano situazioni reali di quello che vi veniva teorizzato. E’ molto importante per me lavorare sulla teoria del contemporaneo, sistematizzarne i conflitti e dunque essere laddove si producono, viverli e non solo parlarne. La base di Vicenza è un ottimo esempio di shock su cui esercitare una pressione capitalista. Si costruisce uno spazio chiuso, militare, anzi legato alle guerre, che modifica radicalmente la vita degli abitanti di una città. Non è solo questione del paesaggio, dell’ambiente etc. Tutte queste cose sono importanti ma quello che conta è soprattutto il modo in cui questa scelta andrà a incidere sulle politiche sociali, economiche, emozionali di un luogo. Approfittando del trauma si faranno passare una serie di conseguenze che il progetto della base si porta dietro. Per questo è importante per me esserci, trovo spaventoso che si investa in basi militari calpestando i desideri delle persone.
Nel suo libro, e nel film, viene citato Martin Friedman, che è un po’ il riferimento antagonista di questo suo lavoro.
Nelle sue teorie sull’ascesa del capitalismo Friedman ignora completamente i corpi, le persone. Ci descrive le varie soluzioni del capitalismo come se fossimo in una fiaba, un mondo meraviglioso dove tutti sono liberi, e dal quale la sofferenza reale viene esclusa. Manca il dolore, che cosa significa la catastrofe, lo shock per gli esseri umani che lo subiscono. Ho studiato a lungo per scrivere questo libro, non volevo limitarmi a dire che una cosa è giusta e un’altra sbagliata. Il film è stato il passo successivo, mi sembrava che l’immagine potesse rendere l’esperienza fisica ancora più presente almeno nel sentimento di chi lo guarda.
Cosa l’ha spinta a questa riflessione?
Il disorientamento politico che viviamo dall’11 settembre in poi. Sento un grande bisogno di mettere a fuoco le cose, di confrontarmi con me stessa e con gli altri. Non credo che la soluzione oggi possa essere solo liberarci di Bush, anche se naturalmente tutti noi speriamo che i conservatori americani siano finalmente sconfitti alle prossime elezioni. Ma una cosa è il sistema economico, un’altra l’ideologia con cui hanno bombardato gli americani in questi anni. Non voglio che il libro e neppure il film siano considerati antiamericani, ci sono molte identità in America. Credo invece che sia molto più utile riflettere sul perché nel tuo paese si continua a appoggiare un governo complice nell’espansione del militarismo. In questo senso l’informazione è fondamentale. Nel film leggiamo un cartello: informare è resistere, su immagini che ricordano Guantanamo. Alcuni registi americani passati al Lido in questi giorni, come De Palma, ci hanno detto coi loro film che in questo momento negli Stati uniti è molto ristretta. Si parla dei grandi media, stampa e tv. E’ vero, ma si possono costruire delle alternative. Ho molta fiducia nella rete, che permette un processo di democratizzazione delle informazioni. Abbiamo voluto mettere il film in rete, in questo modo può arrivare direttamente a tante persone prima del libro. E’ vero che la rete ha i suoi rischi, si può manipolare, c’e di tutto ma questo vale per il sistema di informazione in genere. Credo che la scommessa pr rendere la rete ancora più solida sia combinare informazione a educazione, discriminando una serie di offerte all’interno della rete stessa. C’è bisogno di profondità, non si può cadere nello stile tabloid o nella teoria della cospirazione. Credo anche che sia importante una profondità nell’analisi, non basta seguire il trend del momento.Adoro persone come Harold Pinter, che lavorano su una visione chiara e corretta delle cose.