In mezzo a tante domande e polemiche circa le sue origini, quello che sappiamo per certo è che, per venire a questo mondo, deve passare da una donna.
È bene che ci poniamo anche noi, comuni mortali, gli interrogativi che vengono da una ricerca scientifica che avanza a modo suo (umanamente limitato, oltre che squilibrato dagli enormi interessi economici che ci sono di mezzo) sui confini della vita. Bene anche che si voglia ascoltare quello che hanno da dire “le femministe”, alle quali si chiede, con un’impazienza insolita, di prendere posizione. Purchè si ascolti davvero, mi limito ad aggiungere.
Io prendo la parola per dire una cosa soltanto, che si riferisce al pensiero femminista che ha accompagnato il dibattito intorno alla legge istitutiva e al referendum abrogativo dell’aborto, negli anni Settanta. Sembra a qualcuna che fu un pensiero rozzo, giudicato alla luce della nostra odierna sensibilità, s’intende. Altre sono intervenute a precisare che non è vero e che l’unica rozzezza, semmai, è in una certa ricostruzione del passato. Sono d’accordo con queste ultime, accettando però la sfida di un confronto sul tema di fondo, che è la cultura della vita, ieri e oggi.
Su questo tema il pensiero femminista ha dato un contributo che, a mio giudizio, resta valido anche oggi e che può estendersi, con le necessarie mediazioni, anche ai temi più recenti della procreazione assistita e della ricerca scientifica sulle cellule staminali. Non si tratta di una risposta, ma di un criterio, che però nelle cose umane, sempre relative e sempre in tensione fra gli estremi assoluti, ha il valore di un principio. Dirò “noi” facendo riferimento a quelle con cui ero in contatto, che vuol dire – nel movimento in espansione del pensiero attraverso una rete vastissima di rapporti – migliaia di donne e più ancora, molte più ancora, fuori dal numerabile.
Noi dunque, in quegli anni ci siamo regolate, in primo luogo facendo tacere le ideologie e ascoltando le donne (noi stesse, in primis) in carne ed ossa, comportamenti, sentimenti, paure, desideri, vergogne, aspirazioni… Da questa pratica siamo arrivate alla conclusione che la cosa migliore sia regolarsi in tutto seguendo un semplice criterio e cioè che la vita umana, vita di un essere senziente ma anche parlante, desiderante ma anche capace di regolarsi, ecc., questa vita arriva a questo mondo passando necessariamente attraverso l’accettazione di una donna che la accoglie, la coltiva per consegnarla al resto dell’umanità, rappresentata di solito da un gruppo sociale, e in primo luogo, se in questa vicenda lei ha avuto un compagno, a lui che, nelle nostre culture, è di solito il padre della nuova creatura. Non siamo ancora nella sfera dei diritti-doveri, che viene dopo, tant’è che noi, diversamente dai radicali, non abbiamo parlato di un diritto all’aborto e che, in campo legislativo, quello che abbiamo chiesto è stata la sua depenalizzazione.
Il passaggio della libera accettazione di una donna, noi lo abbiamo sentito come un criterio regolatore che esonera da domande del tipo oggi corrente e così fuorvianti, come “ma l’embrione è vita umana?”. Ma attenzione che questo criterio vale come un principio, perché più a monte c’è altro, sì, ma non si può andare ad indagare saltando quel passaggio, pena la caduta in quella mostruosità che la cultura medico-scientifica, lasciata da sola, ha conosciuto e può tornare a conoscere, non dimentichiamolo.
Vuol dire che, stando a questo criterio, si eviteranno sbagli, disordini e sofferenze ingiuste? Oh no, ci saranno abusi, ci sono stati, non faccio l’elenco perché li conosciamo, ma due cose vorrei aggiungere: primo, che finora, da parte femminile questi abusi non sono stati molti né gravi; secondo, che i criteri umani non sono mai automatici e proprio nella loro fragilità ci invitano a prendere la strada più sicura, che non è una legislazione capillare ma una buona, sobria legislazione integrata da usi e costumi civili e da relazioni sociali non strumentali, insomma da quella che molte abbiamo imparato a chiamare politica prima. In ogni caso, la lotta contro gli abusi in questo campo, secondo me comincerà a dare risultati nel momento in cui quel criterio che è più di un criterio, quel principio che non è un principio, sarà entrato nella nostra civiltà, definitivamente. Siamo ancora molto lontani da ciò, non c’è dubbio che molta scienza resta opera di uomini che sono in concorrenza rivale con le prerogative femminili nel campo della vita.
Immagine di Bibi Tomasi, Archivio Libreria delle donne di Milano