dal 19 novembre 2015 al 30 gennaio 2016
Giovedì 19 novembre 2015 alle 18.30 inaugura presso Forma Meravigli la mostra
Vivian Maier. Una fotografa ritrovata
Il caso fotografico che ha conquistato il mondo arriva per la prima volta a Milano.
La mostra, a cura di Anne Morin e Alessandra Mauro, è realizzata in collaborazione con diChroma Photography e promossa da Forma Meravigli, un’iniziativa di Fondazione Forma per la Fotografia in collaborazione con la Camera di Commercio di Milano e Contrasto.
La vita e l’opera di Vivian Maier sono circondate da un alone di mistero che ha contribuito ad accrescerne il fascino. Tata di mestiere, fotografa per vocazione, non abbandonava mai la macchina fotografica, scattando compulsivamente con la sua Rolleiflex. È il 2007 quando John Maloof, all’epoca agente immobiliare, acquista durante un’asta parte dell’archivio della Maier confiscato per un mancato pagamento. Capisce subito di aver trovato un tesoro prezioso e da quel momento non smetterà di cercare materiale riguardante questa misteriosa fotografa, arrivando ad archiviare oltre 150.000 negativi e 3.000 stampe.
La mostra presentata da Forma Meravigli raccoglie 120 fotografie in bianco e nero realizzate tra gli anni Cinquanta e Sessanta insieme a una selezione di immagini a colori scattate negli anni Settanta, oltre ad alcuni filmati in super 8 che mostrano come Vivian Maier si avvicinasse ai suoi soggetti.
Figura imponente ma discreta, decisa e intransigente nei modi, Vivian Maier ritraeva le città dove aveva vissuto – New York e Chicago – con uno sguardo curioso, attratto da piccoli dettagli, dai particolari, dalle imperfezioni ma anche dai bambini, dagli anziani, dalla vita che le scorreva davanti agli occhi per strada, dalla città e i suoi abitanti in un momento di fervido cambiamento sociale e culturale. Immagini potenti, di una folgorante bellezza che rivelano una grande fotografa.
Le sue fotografie non sono mai state esposte né pubblicate mentre lei era in vita, la maggior parte dei suoi rullini non sono stati sviluppati, Vivian Maier sembrava fotografare per se stessa.
Osservando il suo corpus fotografico spicca la presenza di numerosi autoritratti, quasi un possibile lascito nei confronti di un pubblico con cui non ha mai voluto o potuto avere a che fare. Il suo sguardo austero, riflesso nelle vetrine, nelle pozzanghere, la sua lunga ombra che incombe sul soggetto della fotografia diventano un tramite per avvicinarsi a questa misteriosa fotografa.
Vivian Maier. Una fotografa ritrovata presenta al pubblico l’enigma di un’artista che in vita realizzò un enorme numero di immagini senza mai mostrarle a nessuno e che ha tentato di conservare come il bene più prezioso.
Come scrive Marvin Heifermann nell’introduzione al catalogo, “Seppur scattate decenni or sono, le fotografie di Vivian Maier hanno molto da dire sul nostro presente. E in maniera profonda e inaspettata… Maier si dedicò alla fotografia anima e corpo, la praticò con disciplina e usò questo linguaggio per dare struttura e senso alla propria vita conservando però gelosamente le immagini che realizzava senza parlarne, condividerle o utilizzarle per comunicare con il prossimo. Proprio come Maier, noi oggi non stiamo semplicemente esplorando il nostro rapporto col produrre immagini ma, attraverso la fotografia, definiamo noi stessi”.
Il libro Vivian Maier. Una fotografa ritrovata edito da Contrasto accompagna la mostra.
http://www.formafoto.it/2015/09/prossimamente-vivian-maier-street-photographer-dal-19-novembre/
DAL 19 NOVEMBRE 2015 AL 12 GENNAIO 2016
Due giovani artiste in mostra che vale la pena andare a conoscere. Zina Borgini.
STUDIO D’ARTE CANNAVIELLO
Via Stoppani 15, 20129 Milano Tel 02 87213215
Irene Balia è nata a Iglesias (CI) nel 1985. Oggi vive e lavora a Milano.
Osservando le tele di Irene vi sono due possibilità: dare uno sguardo rapido e rimanere abbagliati dalla leggiadra vivacità dei colori oppure osservarle con attenzione e rimanerne pietrificati, trasportati in una dimensione altra dove regna il silenzio, la stasi, l’irremovibilità. Da qualche tempo l’artista si è avvicinata al genere della natura morta. I soggetti sono per lo più pesci, che aleggiano con grazia in una fastosa decorazione, ispirata alle fantasie ricamate su tappeti sardi.
Altre nature morte di formato più grande ospitano invece ambienti familiari dove la consuetudine dei gesti quotidiani assume un aspetto di intima ritualità.
Elena Vavaro è nata a Castelvetrano (TP) nel 1988. Oggi vive e lavora a Milano.
Il volto e la sua introspezione psicologica sono il fulcro della ricerca della giovane artista siciliana.
I ritratti dipinti da Elena Vavaro sono liquidi, ma allo stesso tempo solidi. Sono liquidi nella stesura acquarellata che fa trasparire le venature più profonde, sono solidi nelle espressioni decise, ferme, serie.
I volti non sorridono mai e ci osservano senza paura, senza vergogna. Ci comunicano il loro vissuto interrogandoci sul nostro.
L’ultima produzione dell’artista è arricchita dall’applicazione sull’opera di elementi vegetali o stoffe che disegnano forme e rendono ancora più materici i colori sul supporto cartaceo.
dal 21-11-2015 al 08-03-2016
Altra misura.
Arte, fotografia e femminismo in Italia negli anni Settanta
Frittelli arte contemporanea, Firenze
a cura di Raffaella Perna
inaugurazione: sabato 21 novembre ore 18
apertura della mostra: dal 21 novembre 2015 all’8 marzo 2016
orario: lun-ven 10-13 15.30-19.30 | sab, dom e festivi su appuntamento
www.frittelliarte.it info@frittelliarte.it
telefono + 39 055 410153 fax + 39 055 4377359
Frittelli Arte Contemporanea presenta la mostra “Altra misura. Arte, fotografia e femminismo in Italia
negli anni Settanta”, a cura di Raffaella Perna, che inaugura sabato 21 novembre 2015 e rimarrà aperta sino
all’8 marzo 2016.
La mostra a cura di Raffaella Perna propone – attraverso una selezione di circa cento opere – un’ampia panoramica del lavoro di undici artiste italiane (o attive stabilmente nel nostro Paese) che negli anni Settanta hanno scelto la fotografia come medium privilegiato per esplorare i nessi tra corpo e identità femminile e per rivendicare le istanze del personale e del vissuto: Tomaso Binga, Diane Bond, Lisetta Carmi, Nicole
Gravier, Ketty La Rocca, Lucia Marcucci, Paola Mattioli, Libera Mazzoleni, Verita Monselles, Anna Oberto e Cloti Ricciardi.Queste artiste hanno condotto una critica profonda delle immagini del femminile diffuse nella cultura visiva occidentale, dove il corpo della donna è abitualmente sottoposto a un processo direificazione. Nel contestare i modelli di rappresentazione vigenti, il medium fotografico è un alleato
prezioso: la peculiare natura di indice della fotografia – la sua specifica contiguità con il reale – fa sì che l’immagine fotografica si presenti come una traccia sensibile del corpo, luogo in cui si inscrivono non soltanto i segni dell’identità biologica, ma anche quelli legati al ruolo sociale e pubblico. La fotografia consente quindi alle artiste di muoversi su un doppio binario: attraverso questo medium, da un lato, esse mettono in primo piano il corpo per sondarne potenzialità, limiti e desideri alla ricerca di una dimensione
identitaria non più alienata e libera dai canoni maschili; dall’altro, demistificano le ideologie trasmesse proprio con e nelle immagini del corpo.
Il titolo della mostra è un omaggio all’omonima esposizione curata da Romana Loda nel 1976 a Falconara:una mostra “minore”, lontana dalle capitali dell’arte, scelta per ricordare l’impegno di chi, all’epoca, ha sostenuto e promosso la sperimentazione al femminile.
Insieme a una ricca raccolta di documenti legati alla storia del femminismo (libri, riviste, manifesti ecc.), inmostra sono esposte per la prima volta le maquette originali di Ci vediamo mercoledì. Gli altri giorni ci
immaginiamo – Bundi Alberti, Diane Bond, Mercedes Cuman, Paola Mattioli, Adriana Monti, Silvia Truppi – libro fotografico pubblicato da Mazzotta nel 1978, che comprende materiali individuali ed esperienze collettive dedicate all’immagine femminile e al rapporto tra donne.
In occasione dell’inaugurazione si terranno le performance di Tomaso Binga e Libera Mazzoleni.
Durante la mostra si terrà inoltre un ciclo di cinque incontri dedicati ad approfondire i rapporti tra arte e femminismo in Italia attraverso le testimonianze di artiste, storiche dell’arte galleriste, curatrici e collezioniste, invitate a rifleAltra misura.
Alla Libreria delle donne nove mesi di mostre e incontri per festeggiare i primi 40 anni
di Francesca Bonazzoli
Da oggi fino a luglio. Tanto durerà il ciclo di mini-mostre e incontri d’arte organizzato dalla critica Francesca Pasini per festeggiare i primi quarant’anni della Libreria delle Donne, in via Pietro Calvi 29. Ogni mese un’opera di un’artista donna verrà esposta in una delle quattro vetrine (da qui il titolo dell’iniziativa: «La quarta vetrina») che affacciano sulla strada e che resterà illuminata anche di notte. Si comincia questa sera alle 18.30 con la «Cariatidi» di Marta Dell’Angelo, un collage di foto scattate a donne di età e nazionalità diverse, elaborate al computer, stampate, ritagliate e rifotografate. Di mese in mese, l’inaugurazione di ogni nuova vetrina sarà l’occasione per ritrovarsi a riflettere sull’arte al femminile e i cambiamenti avvenuti […]
Insomma un passaggio di testimone fra gli anni Settanta e oggi. «Ci ritroviamo a fare il punto. Anche solo rispetto a venti anni fa, la situazione si è ribaltata: oggi le artiste sono numerose quanto gli uomini. Ma proprio per questo è interessante individuare le contraddizioni di un sostantivo, “artista”, rimasto di genere neutro. Oggi ci si limita a guardare solo l’opera, nella convinzione che il sesso del suo autore sia indifferente, e le stesse donne hanno spesso voluto mimetizzarsi rinunciando a partecipare a mostre al femminile per paura di essere ghettizzate», dice Francesca Pasini. «Di questi nodi parleremo con le artiste e il pubblico». E, come sempre, per chi vuole le discussioni possono continuare durante la cena con la Cucina di Estia (la conferma è gradita). Le prossime artiste invitate saranno Alice Cattaneo, il 9 dicembre, cui seguirà Concetta Modica. A luglio sarà stampata una cartella in piccola tiratura con le otto opere esposte e si sta pensando anche ad una mostra al femminile. Tanti auguri donne!
(Corriere della sera, 28/10/2015)
di Mariella Pasinati
«Non ho avuto maestri pittori, il senso del peccato è il mio maestro» raccontava Carol Rama durante un incontro alla facoltà di architettura di Milano nel 1981, svelando così la peculiarità di un’esperienza estetica singolare ed eccentrica, difficilmente assimilabile ad altre espressioni artistiche del suo tempo ma straordinariamente vicina alla sensibilità contemporanea.
L’artista, nata a Torino nel 1918 è scomparsa il 24 settembre, all’età di 97 anni. Per circa settant’anni è passata attraverso movimenti, linguaggi, mode, ma ai margini della scena illuminata dell’arte. Il riconoscimento del suo straordinario lavoro, infatti, è arrivato molto tardi e la sua vicenda artistica rappresenta il caso esemplare di una poetica e di un’estetica così indipendenti ed originali da essere costantemente fuori dalle regole e incompatibili con i meccanismi del discorso storico-critico e sessuale dominante.
Le tappe di questo tardivo riconoscimento muovono dagli anni ’80, dall’ormai leggendaria mostra curata da Lea Vergine “L’Altra Meta dell’Avanguardia: 1910-1940”, cui faranno seguito, nel 1985, una prima antologica, voluta dalla stessa curatrice, nonché la sala personale alla 45ma Biennale di Venezia nel 1993, l’antologica allo Stedelijk Museum di Amsterdam nel 1998 (esposta anche all’ICA di Boston), il Leone d’oro alla 50ma Biennale veneziana nel 2003 dopo il quale, intorno al suo lavoro si è progressivamente consolidata un’attenzione internazionale culminata nella grande mostra al Museo d’Arte Contemporanea di Barcellona conclusasi lo scorso febbraio, ora in transito per altri musei europei e che arriverà alla GAM di Torino nell’autunno prossimo.
Era un’autodidatta Olga Carol Rama, approdata alla pittura giovanissima, nel 1936, quando inizia a prendere vita quel repertorio di forme destinato a costituire il cardine di un discorso poetico che rimarrà contemporaneamente oltre e fuori dal suo tempo, forse per l’assenza di strutture concettuali capaci di leggere ed interpretare una rappresentazione tanto potente, esplicita e sgarbata del corpo, del desiderio, della sessualità femminili, rude ed elegante insieme nella libertà istintiva del suo segno grafico.
A dispetto delle provocazioni delle avanguardie, infatti, e non solo a causa del fascismo (sembra che la prima mostra sia stata censurata ancor prima dell’apertura), la natura problematica della figurazione di Carol Rama si rivela subito, a causa di un immaginario inquietante, erotico e sfrontato, composto dai segni di “un’autobiografia panica”, come li ha definiti la stessa artista. Nascono, così, i suoi “oggetti-memoria-feticci”: le dentiere e le protesi ortopediche, i pennelli da barba e gli orinatoi, le pelli di volpe, le scarpe femminili -talora abitate da peni – e le lingue beffarde, sigla di una “testimone-ragazza” che è poi la stessa Carol (Opera n. 54, 1941).
Sempre negli stessi anni ’30 e ’40, prendono forma i nudi di due serie: le Dorine, di un erotismo prepotente e disperato in cui i corpi sono esposti, con disinibita sovranità, in una dimensione esplicita e perturbante (Dorina, 1940); e quelli dell’Appassionata dove nell’elaborazione dei temi sessuali, il piacere lascia trasparire anche una vena di sofferenza, combinandosi con l’esperienza della malattia mentale e del confinamento.
Un ruolo importante lo gioca, infatti, l’esperienza personale dell’artista, segnata, quando era ancora bambina, dal suicidio del padre e dalla malattia mentale della madre che Carol andava a visitare in casa di cura. Ecco allora i corpi nudi sui letti di contenzione con le cinghie per legarli o sulle sedie a rotelle. Sono temi forti, anche violenti che, tuttavia, Rama affronta con attenzione costante alla bellezza, ma senza che l’eleganza della forma e le trasparenze cromatiche della soffusa carnalità dei rosa concedano nulla al sentimentalismo o facciano perdere di vigore all’immagine.
A volte si tratta di corpi amputati, come nell’Appassionata del 1940 dove organico e meccanico sembrano fondersi, secondo una visione frontale impostata in verticale, in cui l’artista incorpora un tronco senza arti nella struttura della sedia, dominata visivamente dalla forma delle ruote rese da più punti di vista. Ma la vivacità cromatica di un corpo, nonostante tutto, vitale e che esibisce sfrontatamente i suoi attributi caratteristici, la lingua, la vulva, la corona fiorita intorno al capo, dona all’immagine una cruda piacevolezza.
Siamo di fronte ad una produzione che appare impensabile per un’artista così giovane eppure, come ha notato Lea Vergine, già cosciente dei “valori della perdita, di fallimento e solitudine, dei massimi conflitti”.
È già evidente cioè fin dagli anni ’40 una complessità e una maturità che va oltre la mera elaborazione del trauma e l’autobiografismo che, sebbene importanti nel lavoro di Rama, non lo esauriscono né lo risolvono. Le stesse parole tanto citate: «io dipingo prima di tutto per guarirmi», pronunciate durante l’incontro alla facoltà di architettura di Milano, indicano l’elaborazione di un desiderio dissenziente, di una strategia di resistenza alla normalizzazione poiché per Rama «lo statuto, il codice, le regole» sono la malattia e l’arte, di cui ha necessità, è ciò che le consente di trovare risposta per i quotidiani «desideri non realizzati o realizzati molto male»: non si tratta perciò di «guarire togliendo i desideri, quelli io me li tengo ben stretti» diceva l’artista.
Intorno agli anni ’50, tuttavia, la ricerca di un “ordine” che la faccia uscire dall’“eccesso di libertà” porta l’artista ad abbandonare la figurazione per avvicinarsi, unico episodio di un percorso assolutamente solitario, al Movimento dell’Arte Concreta di Torino. Autonomia e fedeltà a sé segnano, però, anche questa esperienza che la porterà alle prime partecipazioni alla Biennale di Venezia, nel 1948 e nel 1950.
La svolta successiva, forse ancor più significativa, avviene intorno alla metà degli anni ’60 quando l’artista inizia ad inserire fisicamente nella tela l’oggetto, usato come forma e colore. È la fase della serie dei Bricolage, di cui Edoardo Sanguineti, amico e sostenitore di Carol Rama (come del resto altri intellettuali da Massimo Mila a Carlo Mollino e Paolo Fossati, per citarne solo alcuni) è stato straordinario interprete. Ad una pittura densa e materica, sulle “macchie” (Sanguineti) di colore, l’artista inizia ad inserire e collegare in fitte trame che comprendono lettere e segni matematici, gli occhi di porcellana delle bambole o degli animali impagliati, ma anche unghie, fili metallici e altri materiali eterogenei, compresi quelli biologici connessi al corpo, in organismi insieme astratti e organici (L’isola degli occhi, 1966 ).
Gli anni ’70 segnano un nuovo incontro con la materia, in una ricerca che richiama all’uso dei materiali dell’Arte Povera che andava affermandosi in quegli anni a Torino, sebbene la sua interpretazione sia ancora una volta personalissima. Adesso, infatti, Rama adotta copertoni e camere d’aria usati, che applica sulla tela e reinventa nella loro qualità pittorica e insieme intensamente materica, a richiamare l’effetto della pelle e della carne. Abbandonata la macchia, i toni del rosa e dell’ocra, i rossi e i grigi si dispongono su fondi prevalentemente neri dando vita alle serie Arsenali, Spazio anche più che tempo, Luogo e segno, fino a Movimento e immobilità di Birnam (1977-78) dove le camere d’aria non sono appiattite sulla tela ma pendono come viscere da un gancio metallico, mobili e minacciose come nella foresta shakespeariana.
Il ritorno ad una figurazione di immagini che provengono dall’inconscio porta l’artista, negli anni ’80, verso una rielaborazione dei materiali incandescenti degli anni ’40. La pittura è stesa su fogli già stampati, disegni tecnici e carte catastali che l’artista a volte usa al contrario, come supporto che lascia intravvedere una trama lineare e definita contro cui contrasta il segno deciso e vitalistico di Rama, il colore denso che ripropone lingue impudenti e pungenti, esplicite allusioni sessuali, quasi un bestiario di figure animali e di un mondo dove desiderio, emozioni passione e sofferenza si incontrano e si disfano con poetica intensità e finezza.
Nell’ultima serie sulla Mucca pazza (2001), ironicamente l’artista si identifica con l’animale: «La mucca pazza sono io. Mi piace perché è pazza, perché ha gesti erotici da pazza», ma le dentature schematizzate che fluttuano nello spazio sembrano rincorrere le mammelle, pronte a colpirle in una danza folle verso un auto annientamento che richiama quella di un’umanità che sta cannibalizzando se stessa.
Carol Rama ha continuato a lavorare fino al 2007, le sue opere che hanno anticipato linguaggi e tematiche del nostro tempo ci parlano ancora oggi con straordinaria, immutata forza, modello esemplare di un discorso poetico che ha rappresentato l’espressione costante di una soggettività libera e differente.
(www.societadelleletterate.it, 16/10/2015)
Sabato 17 ottobre ore 16,30 – 18,30
MAT/tam Il Cubo – via XX settembre 31 – Mantova
CLELIA MORI
Sberleffo all’autore e lavori in b/n
Sabato 17 ottobre 2015
ore 16,30 – 18,30 esatte
SI PREGA DI ESSERE PUNTUALI ALL’APERTURA. L’OPERA E’ UNA CERIMONIA
A Parigi, nel 2006, vedo Ingres in una sua mostra al Louvre. Mi torna in mente la foto di Man Ray di Kiki di Montparnasse con le due aperture da violino appiccicate alla schiena: mi piace da sempre la sensualità di quell’immagine. La ricerco e leggo finalmente il titolo, mai letto prima: Le violon d’Ingres. Il violino di Ingres, titolo non solo ironico, mi irrita e ripenso la sensualità. Quel violino molto invitante e musicale, una volta suonato si può mettere in un angolo fino al prossimo uso: come un oggetto. Comincio a dipingerla!
Comincio a dipingerla a olio togliendogli un’apertura, per vedere come suona così e continuo per quaranta tele, tutte uguali e tutte diverse. Indago la sensualità maschile e femminile su un corpo unico. Su alcune schiene scrivo la sensualissima estasi di Teresa D’Avila.
Cerco di capire quale delle due donne ha avuto di più dall’amore. E dipingo anche Le violon mancante a Man Ray.
I lavori in bianco e nero a china del 1993 sul segno, la sua sintesi, la sua espressività e la sua capacità di equilibrio cercano la mia relazione tra spazio segno e materia. Fino al loro limite: uno a uno a uno. Uno studio sul potere che mi porta a un percorso iconico: al mio alfabeto.
Donna di fiume, nasco a Boretto nel cinquanta. Per amore del segno, del colore e dell’immagine voglio fare solo l’Istituto d’ Arte, vinco e sarà a Parma. A 19 anni sono abilitata a insegnare alle medie inferiori e superiori. Comincio a esporre, ma soprattutto a dipingere: la mia passione.Insegno per diversi anni e poi mi stanco e faccio la bibliotecaria e l’operatore culturale a Poviglio (R.E.), dove vivo e ho il mio studio tra la cucina e il pranzo: il cavalletto. Al bisogno uso il grande vecchio tavolo da pranzo, il pavimento, il portico o le pareti interne o esterne. Servo cibo per il corpo e per la mente a casa mia, dice Donatella Franchi e che ho cresciuto un figlio artista. Recentemente ho esposto a Milano, Firenze, Porto Sant ‘Elpidio, Gualtieri, Collecchio, Poviglio, Reggio Emilia. Oggi a Parma. Ho parlato del mio lavoro al Master di Alta Formazione della Facoltà di Filosofia all’Università di Verona e nel ciclo Non a voce sola delle Marche.
Morta di recente a Torino a 96 anni, Carol Rama lascia una traccia fondamentale nell’arte contemporanea e nello stile di vita.
Si tenne a lato dei “movimenti” ufficiali dell’arte pur assorbendone alcune caratteristiche e questo fece sì che fino a tarda età non fosse considerata adeguatamente, a volte dimenticata, dalla cultura ufficiale dell’arte. Invece fu assai stimata ed aiutata da intellettuali di valore, primo nel tempo Edoardo Sanguineti, Lea Vergine la fece conoscere al mondo con la mostra «L’altra metà dell’avanguardia», Paolo Fossati, Carlo Mollino, Giorgio Manganelli che le dedicò due articoli, nonché alcuni – pochi – galleristi e amici fedeli.
Nella vita e nell’arte fu molto coraggiosa incentrando, già da ventenne negli anni ’30, il suo lavoro sul desiderio fisico ed erotico, affrontato con verità puntuale quindi mai pornografica, mantenendo intatta la dirompenza.
Si dava molto nei rapporti, come se lei stessa, vita ed essere, trasmettesse naturalmente, avviene per poche persone, la sua dirompenza. Indimenticabile il lungo monologo tenuto anni fa al Circolo della Rosa.
Venne in Facoltà di Architettura a parlare agli studenti, tutti dissero che l’incontro con lei aveva dato loro forza nel guardare le cose con libero coraggio. Carol ha spostato i limiti senza romperli, nella morale, nel linguaggio artistico, nel linguaggio corrente. Lo spostare i limiti senza romperli è uno dei suoi insegnamenti.
Ci lascia un monumento in lavori d’arte che esprimono tutto ciò.
Il Circolo le dedicherà un incontro con proiezioni il 10 ottobre 2015 alle 18.00
(www.libreriadelledonne.it, 2 ottobre 2015)
di Luciana Tavernini
Al Circolo della rosa –Libreria delle donne Mercoledì 7 ottobre 2015 si è svolto un incontro dal titolo Il mal sottile in cui Marina Corona, autrice del romanzo La storia di Mario (Robin Edizioni 2013) ha dialogato con Luciana Tavernini.
Sonia Grandis ha letto alcuni brani accompagnati dalla videoinstallazione di Regina Hübner.
Presentiamo la descrizione tecnica della videoinstallazione e i link ai singoli video, oltre a una scheda biografica dell’artista.
La videoinstallazione è composta dal filmato time, che accompagnerà come un filo conduttore tutta la lettura e al cui interno appariranno le quattro opere video Mensch, specials, receiving care I e journey II, rispettivamente per i quattro capitoli del romanzo, che verranno letti.
time mostra il continuo cadere di una goccia di latte e il formarsi piano piano di un laghetto, finché il processo non si inverte e le gocce risalgono una dopo l’altra, prosciugando il lago di latte. L’inversione coincide con Maria, la parte seconda del libro.
Durante la lettura si vedranno all’incirca 30 minuti da time (video digitale a colori, 1h17’58”, senza sonoro, 2005).
https://youtu.be/CQa9K0_OOWU
Per il capitolo 5 si vedrà, all’interno del flusso di time, l’opera Mensch (video digitale, b/n, 1’56”, senza sonoro, 2007).
https://youtu.be/AWuqmTP46Rg
Per il capitolo 16 si vedrà, all’interno del flusso di time, il videowork specials (video digitale a colori, 2’56”, musica registrata dal vivo, 2012).
Per il capitolo 22 si vedrà, all’interno del flusso di time, il videowork receiving care I (video digitale a colori, 2’28”, sonoro ambientale modificato e silenzio, 2015).
https://youtu.be/KFesNeGRV68
Per il capitolo 30 si vedrà, all’interno del flusso time, journey II (video digitale a colori, 1’41”, senza sonoro, 2013).
https://youtu.be/ds7GgY9ZISc
Regina Hübner, nata a Villach in Austria, vive a Roma.
Visual artist da oltre 25 anni, lavora con fotografia sperimentale, video, performance e installazioni multimediali. Nei suoi lavori recenti tratta le tematiche delle relazioni interpersonali, dei viaggi interiori, dei gesti che possono determinare cambiamenti di stato, di relazione e di riflessioni sul mondo.
Si è diplomata in Graphic-Design alla Höhere Lehranstalt für Kunst und Design HTBLVA Graz-Ortweinschule di Graz in Austria e laureata in Scultura all’Accademia di Belle Arti di Roma.
Il 10 ottobre di quest’anno presenterà in occasione della Giornata del Contemporaneo AMACI in riva al mare di Roma world I with Mare, una videoinstallazione con Mare del compositore Luca Lombardi.
Nel 2015 ha esposto l’opera video time all’EXPO Milano, padiglione del Corriere della Sera e il videowork connecting times and relationships è stato decretato tra i vincitori del Premio Biblioteca Angelica Roma, alla sua prima edizione.
Nel 2014 il suo video journey II è risultato tra i finalisti del Premio Terna 06, con mostra all’Archivio di Stato di Torino e ha presentato a Roma la mostra relationships, nel cui ambito si è svolta la videoinstallazione con performance musicale relating and extending.
(www.libreriadelledonne.it, 7 ottobre 2015)
Morta di recente a Torino a 96 anni, Carol Rama lascia una traccia fondamentale nell’arte contemporanea e nello stile di vita.
Si tenne a lato dei “movimenti” ufficiali dell’arte pur assorbendone alcune caratteristiche e questo fece sì che fino a tarda età non fosse considerata adeguatamente, a volte dimenticata, dalla cultura ufficiale dell’arte. Invece fu assai stimata ed aiutata da intellettuali di valore, primo nel tempo Edoardo Sanguineti, Lea Vergine la fece conoscere al mondo con la mostra «L’altra metà dell’avanguardia», Paolo Fossati, Carlo Mollino, Giorgio Manganelli che le dedicò due articoli, nonché alcuni – pochi – galleristi e amici fedeli.
Nella vita e nell’arte fu molto coraggiosa incentrando, già da ventenne negli anni ’30, il suo lavoro sul desiderio fisico ed erotico, affrontato con verità puntuale quindi mai pornografica, mantenendo intatta la dirompenza.
Si dava molto nei rapporti, come se lei stessa, vita ed essere, trasmettesse naturalmente, avviene per poche persone, la sua dirompenza. Indimenticabile il lungo monologo tenuto anni fa al Circolo della Rosa.
Venne in Facoltà di Architettura a parlare agli studenti, tutti dissero che l’incontro con lei aveva dato loro forza nel guardare le cose con libero coraggio. Carol ha spostato i limiti senza romperli, nella morale, nel linguaggio artistico, nel linguaggio corrente. Lo spostare i limiti senza romperli è uno dei suoi insegnamenti.
Ci lascia un monumento in lavori d’arte che esprimono tutto ciò.
dal 10/10 al 18/10 2015
OpenEnig
(disinstallazione)
happening: 10 ottobre 2015 ore 17:00
Musée de l’OHM c/o Museo Civico Medievale | Istituzione Bologna Musei
in collaborazione con AMACI
XI Giornata del Contemporaneo
In che modo le relazioni private possono sottrarsi ai limiti individuali senza perdersi?
E’ a partire da questa domanda che nel 2008 immagino Musée de l’OHM, un oggetto dallo statuto incerto – nominalmente un comò nel quale conservare una serie di oggetti d’affezione destinati ad una ricezione individuale – e di farlo funzionare come museo all’interno di un museo pubblico. Nel 2009, dopo l’inaugurazione alla galleria neon>campobase, Musée de l’OHM apre l’attività espositiva nella Sala 2 del Museo Civico Medievale di Bologna, grazie ad un rapporto di comodato. Da allora si sono svolte all’interno di OHM numerose mostre ed eventi collaterali e la collezione si è ampliata attraverso le donazioni di molti artisti. Le modalità di conduzione di OHM, articolate tramite statuto dall’associazione omonima, hanno teso a mettere in opera i problemi da esso generati e fondamentalmente legati alle dinamiche di socializzazione dell’arte contemporanea. Per questo stesso motivo, dopo 6 anni di attività “sperimentale”, ho deciso di donare l’opera che è risultata dall’insieme di questi processi, all’istituzione in seno alla quale si sono svolti. Non come gesto “oblativo” nè ignara delle intrinseche contraddizioni. Ma proprio per chiarire il fatto che queste ultime sono espressione di un processo che è necessariamente pubblico.
Chiara Pergola
Con OpenEnig – titolo derivante dal “refuso” impresso sul catalogo del Musée de l’OHM – Chiara Pergola realizza la disinstallazione di Suspense: l’uovo sospeso sopra al mobile in attesa di una risposta alla proposta di donazione finalmente precipita all’interno di ciò che rappresenta. L’happening avrà luogo il 10 ottobre alle ore 17 e segnerà l’ingresso di Musée de l’OHM all’interno della collezione dell’Istituzione Bologna Musei. Dall’11 al 18 ottobre sarà visibile una videoproiezione che documenta l’azione.
OHM è: … e tutti coloro che sono passati
da estense.com
È mancata, pochi giorni fa, Olga Carol Rama, grande artista internazionale. È morta nella sua Torino, dov’era nata nel 1918, lasciando un vuoto enorme nel mondo dell’arte italiana e non solo, che perde una delle sue personalità più originali ed intense.
Autodidatta, aveva iniziato ad esporre nell’immediato dopoguerra sotto la Mole Antonelliana.
Aveva imparato a dipingere frequentando Felice Casorati, il pittore per antonomasia nella Torino tra le due guerre, che lei definiva ‘un gran signore’ – suo amico e sodale – ma aveva dovuto aspettare l’età adulta per la sua definitiva ed artistica ‘consacrazione’, superando le accuse di oscenità degli anni ’40, per la sua opera alla galleria Faber, Appassionata.
Fu amata ed apprezzata, a vario titolo, dal poeta Edoardo Sanguineti, da Corrado Levi, da Man Ray, Andy Warhol, Carlo Mollino e da Italo Calvino.
Eclettica per eccellenza, sperimentò in lungo e in largo gli spazi dell’arte, i più vari, passando dal disegno alla pittura, all’installazione e all’uso di materiali poveri.
Varie volte fu invitata alla Biennale di Venezia, la prima dopo la guerra, nel 1948.
Vi ritornerà nel 1950 e nel ’56 e poi ancora nel ’93, invitata da Achille Bonito Oliva che le dedicò una sala personale e, infine, nel 2003, anno della 50a edizione diretta da Francesco Bonami, dove ottenne il meritatissimo Leone d’oro alla carriera.
Ma Carol Rama era ‘di casa’ anche a Ferrara: fu, infatti, la protagonista indiscussa della IX Biennale Donna, tenutasi tra maggio e luglio del 2000 presso il Padiglione d’Arte Contemporanea situato all’interno del giardino di Palazzo Massari.
In parete opere dal 1936 al 2000.
Ammirevole la sua auto definizione: «Quando dipingo non ho nessun garbo professionale, nessuna gentilezza, non ho regole – affermava – Non ho mai seguito corsi regolari di pittura, né avuto un’educazione artistica, accademica. La mia insicurezza tecnica, il mio non avere un metodo, è diventato un aspetto del mio lavoro. E questo mi ha aiutato moltissimo, perché, al di là della tecnica, l’idea è sempre molto chiara».
Una mostra monografica di 200 opere, organizzata nell’ottobre 2014 dal Macba di Barcellona, proseguita nella primavera 2015 al Mam di Parigi, sarà ad Helsinki e Dublino, per approdare, ellitticamente e ‘fatalmente’, alla Gam di Torino, sua città natale, a fine 2016: un piccolo segno del suo grande ‘immortale’ passaggio.
(www.estense.com, 2/10/2015)
dal 13 ottobre al 18 ottobre 2015
Presso Associazione APRITI CIELO! VIA L.Spallanzani 16 Milano cell.3498682453
in occasione di PHOTOFESTIVAL 2015 Dire,Fare, Mangiare, sessione autunnale diverse sedi espositive milanesi tra gallerie d’arte, musei e palazzi storici ospiteranno un centinaio di mostre fotografiche aperte gratuitamente al pubblico.
Inaugurazione della mostra martedi 13 ottobre ore 19
“In Viaggio”
di RAFFAELLA TAGLIAFERRIRaffaella Tagliaferri vieve e lavora a Brescia, ha partecipato a vari concorsi fotografici nazionali classificandosi spesso ai primi posti ed alcuni suoi scatti sono stati pubblicati sulle più importanti riviste di settore come Il Fotografo e Photoprofessional Canon Edition.Al suo attivo ha due mostre personali: Il mio obbiettivo sulla Danza (2011) e Curiosità e sacralità (2012).
dal 2 ottobre al 10 ottobre 2015
Associazione APRITI CIELO! Via L.Spallanzani 16 Milano telef 3498682453
Nadia Magnabosco e Marilde Magni con la mostra “Mettetevi nei nostri panni”
Fantasia, abilità, strumenti per costruire qualcosa che altri possano indossare, fare proprio, per il bisogno di diventare altro da sé e di raccontare il proprio tempo.”
Maria Lai
Da sempre gli abiti testimoniano il tempo e sono pertanto un osservatorio privilegiato dei mutamenti del sociale. Nel contempo l’abito è un oggetto del nostro quotidiano che in tanti modi ci identifica e con cui stabiliamo un rapporto molto personale, di apertura o di chiusura verso il mondo esterno, di espressione del sé o di appartenenza ad un gruppo.
Ma l’abito lo possiamo anche cambiare e spesso, cambiando l’abito, anche noi diventiamo altro.
Nadia Magnabosco e Marilde Magni l’hanno usato come mezzo espressivo perché ha una forte connotazione col genere femminile e per costruire piccoli racconti di metamorfosi e riflessione personale sul mondo che ci circonda.
Inaugurazione Venerdi’ 2 ottobre 2015
alle ore 18,00
LA MOSTRA RESTA APERTA SABATO 3 OTT. DALLE 18,30 ALLE 20
MARTEDI’ 6 MEROLEDI’7 VENERDI’ 9 SABATO 10 E DALLE 18,30 ALLE 20
Dal 24/10/2015 al 7/11/2015
NUOVA GALLERIA MORONE Arte Contemporanea Via Nerino 3 – 20123 Milano
Mariella bettineschi “L’era successiva”
Inaugurazione giovedi, 24 Settembre, ore 18.00
Info info@nuovagalleriamorone.com www.nuovagalleriamorone,com
L’era successiva è il titolo che accompagna uno sfaccettato insieme di fotografie di Mariella Bettineschi.
Come lei stessa dice: Il progetto L’era successiva è nato nel 2008, quando la crisi economica ha sconvolto tutti i parametri, i metri di giudizio, i termini di paragone, segnando un profondo e definitivo cambiamento rispetto al passato.
In questa mostra Bettineschi mette a confronto, come in una scena teatrale, immagini di boschi, di stagni, paesaggi resi evanescenti da soffi di vuoto e nebbie gassose, a ritratti di donne di Raffaello, Palma il Vecchio, Leonardo, Tiziano, Caravaggio, Bronzino.
Ispirata dalle donne rinascimentali, le ha portate nella contemporaneità attraverso un intervento linguistico preciso: il taglio dell’opera, il raffreddamento dell’immagine, lo sdoppiamento dello sguardo.
In questo dialogo tra natura e pittura si inseriscono le immagini di alcune preziose biblioteche: Casanatese di Roma, Marciana di Venezia, Trinity College di Dublino.
Tutte sono coinvolte da una dilatazione gassosa che allarga e vanifica i confini architettonici. Una metafora evidente della diffusione del sapere, ma anche del rischio della sua distruzione.
“Come nei boschi, negli stagni, nelle biblioteche il soffio di vuoto – scrive Francesca Pasini in catalogo – indica un gesto da compiere dentro di noi, così in questi occhi raddoppiati c’è la metafora di un incontro tra sé e l’altro, che riguarda sia la storia, sia il presente.
Il taglio che raddoppia i loro occhi ci avverte che l’integrità, che ha colto chi le ha dipinte, proviene soprattutto da chi si dota di un proprio sguardo. E’ un taglio che ha modificato radicalmente i rapporti sia tra i soggetti viventi, sia tra i soggetti osservati e dipinti”.
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Dal 10 al 13 settembre 2015
Camogli- Festival della Comunicazione 2^ edizione
La Fondazione Pier Luigi e Natalina Remotti parteciperà alla seconda edizione del Festival della
Comunicazione di Camogli con la mostra, Zoom – Fotografia Italiana, a cura di Francesca Pasini.
Il Festival quest’anno è dedicato al Linguaggio. La fotografia ha segnato lo sviluppo del linguaggio nella modernità, e oggi è il perno della comunicazione quotidiana. Con i cellulari ognuno memorizza eventi personali, sociali, e i selfie sono ormai il metodo più immediato per costruire un autoritratto e testimoniare la propria presenza. Potremmo dire, che la fotografia, non solo è centrale nell’epoca della società mediatica, ma è anche una nuova forma di “scrittura” per raccontare il mondo.
Ma la fotografia è ormai un linguaggio dell’arte visiva contemporanea tanto quanto pittura, scultura, video, performance.
Zoom – Fotografia Italiana inaugura venerdì 11 Settembre 2015 alle ore 11,30.
Zoom è un termine specifico che segnala una modalità per ampliare la messa a fuoco. Nel linguaggio corrente può essere sinonimo di attenzione sia su particolari specifici, sia su un insieme di immagini.
Un po’come in un album, la mostra raccoglie opere di maestri storici: Luigi Ghirri, Ugo Mulas, Gianni Berengo Gardin, Mimmo Jodice e delle generazioni successive: Maria Mulas, Marina Ballo Charmet, Olivo Barbieri, Stefano Arienti, fino ai più giovani: Paola Di Bello, Francesco Jodice, Andrea Botto, Rä Di Martino, Linda Fregni Nagler. Mentre Vanessa Beecroft, Nico Vascellari, Cesare Viel testimoniano la memoria e l’estensione visiva delle loro performance attraverso la fotografia.
Elenco Artisti In mostra
Stefano Arienti, Elizabeth Aro, Marina Ballo Charmet, Olivo Barbieri, Gabriele Basilico, Vanessa Beecroft, Carlo Benvenuto, Gianni Berengo Gardin, Mariella Bettineschi, Andrea Botto, Vincenzo Castella, Paola Di Bello, Rä Di Martino, Barbara Fassler, Linda Fregni Nagler, Luigi Ghirri, Claudio Gobbi, Francesco Jodice, Mimmo Jodice, Luisa Lambri, Armin Linke, Paola Mattioli, Maurizio Montagna, Maria Mulas, Ugo Mulas, Giovanni Ozzola, Adrian Paci, Moira Ricci, Antonio Rovaldi, Elisa Sighicelli, Alessandra Spranzi, Franco Vaccari, Nico Vascellari, Cesare Viel, Silvio Wolf.
La Fondazione Pier Luigi e Natalina Remotti ha spesso interagito con altre forme espressive come la Musica e il Teatro e il 12 Settembre presenterà, in replica unica, lo spettacolo Cosa vuoi che sia, siamo state bambine anche noi, di e con Laura Anzani, Margherita Remotti, Lisa Vampa, in
collaborazione con Fernando Coratelli e con le coreografie di Chiara Leonetti.
Lo spettacolo, che ha debuttato nel 2014 al Teatro Libero di Milano, racconta vita, passioni, drammi e la radicalità di donne comuni e di eroine della Storia, come Celia della Cerna (madre di Che Guevara), Virginia Woolf, Anna Achmatova, Filumena Marturano.
L’intero programma è realizzato col Patrocinio del Comune di Camogli.
MOSTRA
Zoom – Fotografia Italiana
Inaugurazione 11 settembre ore 11,30
Orari 11 – 13 Settembre: ore 11,30 – 23
dal 19 settembre al 1 novembre: sabato e domenica 15 – 19
Ingresso gratuito
SPETTACOLO
Cosa vuoi che sia, siamo state bambine anche noi.
12 Settembre 2015: ore 19,30
Ingresso gratuito
FondazioneZoom – Fotografia Italiana dalla Collezione Remotti a cura di Francesca Pasini
da exhibit
dal 26 agosto al 15 novembre 2015
Palazzo Reale, Milano
Comune di Milano | Cultura e Fondazione Nicola Trussardi presentano
La Grande Madrea cura di Massimiliano Gioni
Una mostra promossa da Comune di Milano | Cultura
Ideata e prodotta dalla Fondazione Nicola Trussardi insieme a Palazzo Reale per Expo in città 2015.
La Grande Madre, una mostra a cura di Massimiliano Gioni, promossa dal Comune di Milano -Cultura, ideata e prodotta dalla Fondazione Nicola Trussardi insieme a Palazzo Reale
La mostra, che aprirà al pubblico dal 261 agosto al 15 novembre 2015, è il frutto
di una collaborazione tra istituzioni pubbliche e private nella condivisione di un progetto che porta la grande arte contemporanea, anche nelle sue
dimensioni più attuali e innovatrici, nello spazio espositivo più prestigioso della città, rappresentando l’evento di punta del calendario di Expo in città nel secondo trimestre di Expo 2015.
“
Il palinsesto di Expo in città propone una mostra prestigiosa, ospitata in una delle sedi espositive più visitate d’Italia, Palazzo Reale, che chiude il cerchio di una proposta completa sull’arte, le sue stagioni e i suoi linguaggi. ha dichiarato l’Assessore alla Cultura Filippo Del Corno –
Una proposta che non solo offrirà al pubblico la possibilità di compiere un viaggio straordinario nella storia dell’arte e della cultura italiana e internazionale, ma sarà anche un’occasione speciale di approfondimento sulla figura della madre, che più di tutte incarna l’idea della nutrizione, tema centrale di Expo 2015.
Un risultato reso possibile grazie alla Fondazione Nicola Trussardi nel quadro di un ampio dialogo tra pubblico e privato, stretti in un’alleanza per la diffusione dell’arte……
http://atpdiary.com/exhibit/la-grande-madre/
di Stefano Biolchini
L’intimità a fior di pelle declinata in maniera delicata, erotica e sensuale, talvolta fastidiosa e scottante, secondo le linee intersecanti di una sintassi complessa e di una semantica fluida. La grande mostra estiva alla Fondation Beyeler è dedicata all’opera di Marlene Dumas, artista che non dipinge mai direttamente dal vivo, eppure la vita, in tutta la sua varieta, è sempre presente nelle sue opere.
La pittrice, nata nel 1953 a Citta del Capo e cresciuta in Sudafrica, vive e lavora ad Amsterdam ed è tra le personalita artistiche di maggior spicco del nostro tempo. Dumas acquista notorietàa metàdegli anni ’80 grazie alle sue serie di dipinti e disegni, tutti focalizzati sulla figura umana. Da allora ha esposto molte volte in musei europei e americani. Nel 1992 partecipa alla Documenta IX di Kassel e nel 1995 alla Biennale di Venezia. La concentrazione sulla figura umana ha condotto a ritratti singoli e di gruppo dominati da una tavolozza molto varia, ricca di toni e contrasti.
Dumas utilizza tecniche pittoriche tradizionali, di solito inchiostro di china su carta oppure olio su tela. Inginocchiata a terra, applica con cura la china, molto diluita, su grandi fogli di carta e vi aggiunge linee e tinte in maniera espressiva e mirata ma sempre lasciando al colore completa autonomia. A seconda delle aree il colore, la superficie e il materiale possono apparire polisemici o misteriosi. Colpisce subito la delicatezza pittorica degli acquerelli di Marlene Dumas, hanno la stessa densitàsuggestiva dei suoi quadri a olio. A metà degli anni 1980 Dumas ha iniziato a dipingere un gruppo di ritratti dai colori espressivi. I visi delle persone colti in primo piano sono piùgrandi del naturale, e lo sfondo non rivela nulla delle origini o dell’identita dei soggetti. Di questo gruppo fanno parte Genetic Longing (1985), Het Kwaad is Banaal (1984) e The White Disease (1984), tutti in mostra alla Fondation Beyeler.
La mostra intitolata ”The Image as Burden” èla più completa retrospettiva mai allestita finora in Europa su Marlene Dumas, della cui opera offre una visione d’insieme dalla metà degli anni 1970 a oggi. L’esposizione è stata progettata e sviluppata in stretta collaborazione con l’artista e ne tratteggia il percorso artistico seguendo un ordine approssimativamente cronologico. Sono in mostra più di cento dipinti e disegni selezionati, tra i quali alcuni precoci collage raramente esposti e diversi lavori recenti. A far da preludio alla mostra, subito intenso, la prima sala propone The Painter (1994), The Sleep of Reason (2009) e Helena’s Dream (2008), tre quadri che rivestono un carattere programmatico per l’opera di Marlene Dumas e preparano alla visita che seguira.
Parallelamente alla sua produzione di carattere figurativo Marlene Dumas ha composto una stupenda raccolta di testi, pensieri, aforismi, lunghi saggi e frammenti poetici pubblicati l’anno scorso col titolo Sweet Nothings. Notes and Texts in un’edizione ampliata e rivista. Quanto più si presta attenzione alla sua opera letteraria, tanto piùsi comprende il suo giocare con cliché e stereotipi e tanto più diviene inafferrabile e affascinante la sua pittura. Dumas stessa, a proposito delle sue creazioni pittoriche e letterarie, afferma di scrivere i suoi dipinti come fossero canzoni d’amore, mentre i suoi frammenti testuali richiamerebbero dei brani “rap”. “The Image as Burden”, il titolo scelto da Marlene Dumas per questa esposizione, è quello di un quadro del 1993, pure visibile alla Fondation Beyeler. In esso una figura porta in braccio l’altra. Il motivo è tratto da un fotogramma con Greta Garbo e Robert Taylor nel film di George Cukor “Camille” del 1936. L’atteggiamento delle due figure richiama le numerose raffigurazioni della Pietàben note in storia dell’arte. Con il titolo l’artista porta il nostro sguardo di osservatori soprattutto alla complessa relazione tra immagine e pittura, e alla forza insita nell’atto del dipingere: “Esiste l’immagine (la fotografia che fa da fonte) da cui si parte, e l’immagine (il quadro dipinto) a cui si arriva, e non sono la stessa cosa. Volevo spostare l’attenzione su quanto la pittura fa dell’immagine e non solo mettere sotto gli occhi ciò che l’immagine fa della pittura.
La mostra èa cura di Theodora Vischer, Senior Curator presso la Fondation Beyeler.
Marlene Dumas, Fondation Beyeler, fino al 6 settembre 2015.
(il sole 24 ore, 18/08/2015)