Bellucci, Butler e Cigarini
Luisa Muraro
23 Marzo 2017
“È la donna che fa l’attrice” ha detto Monica Bellucci, e io traduco: è la donna che fa la femminista. Ragionando con altre su L’alleanza dei corpi di Judith Butler ho capito meglio perché Lia Cigarini, recentemente, ha sottolineato che a volte, invece di dire femministe o femminismo, è meglio, anzi si deve dire: ”donne” e “movimento delle donne”.
Questa variazione del linguaggio non sarebbe una novità, spesso si fa spontaneamente. La novità sta nel fatto che Lia la considera una cosa che bisogna fare, non necessariamente sempre, ma necessaria come prospettiva da non perdere di vista mai.
In effetti, che cosa vien fuori da certi passi del libro di Butler? L’importanza di combattere la politica identitaria e la mentalità che le corrisponde. Penso, per esempio, al famoso “noi della Libreria” che, in certi casi è giusto dire e spesso risulta quasi inevitabile, d’accordo, ma che più spesso ancora è comodo, troppo comodo da dire. Il “noi” apre la porta a una mentalità settaria, ecc. Non mi dilungo, sono cose di cui abbiamo ragionato e continueremo a farlo.
Ma l’avvertimento di Lia ha un significato politico che va oltre il settarismo. Lei vuol dire, per quello che ho capito io, che il femminismo ci fa interpreti delle esperienze, degli interessi e dei desideri delle donne in generale, ma che ci sono dei limiti alla pretesa di essere interpreti.
Non parlo della possibilità di sbagliarsi: questo càpita e la possibilità che ricapiti va messa in conto, ma non è un limite, è un rischio che bisogna affrontare. Altrimenti una non parla più, come una volta. Oppure ripiega sul comodo pluralismo per cui tutte la pensano così o colà da irresponsabili. La possibilità di sbagliare non si contrasta con il silenzio o con il pluralismo. Si contrasta con il confronto e il conflitto aperti, in un contesto di responsabilità personale accettata.
Non cadete nella trappola di alcuni che accusano le femministe di prevaricare sulle altre quando esprimono una posizione critica, per esempio, sulla prostituzione o sulla maternità surrogata. Questi alcuni cercano di spingervi al silenzio o al pluralismo irresponsabile.
Il limite intrinseco del mio, tuo essere femminista è un altro, a suo tempo qualcuna lo ha espresso con queste parole: più donne che femministe. È un modo di dire, ma dice abbastanza chiaramente che l’orizzonte di valore del femminismo sono le donne, è l’umanità femminile. Da lì la forza, da lì la misura, da lì il senso.
Ma come devo regolarmi con il linguaggio per dire ora “sono una donna”, ora “sono una femminista”? Secondo me, non ci sono regole come quelle della grammatica, ma c’è il contesto a guidarci, insieme a un certo orecchio politico, quello di Lia Cigarini è sicuramente buono.
Mi pare tuttavia d’aver trovato una mezza regola: quando ti viene da dire “io”, prova a pensare “noi” e quando ti viene da dire “noi”, pensa che “c’è altro”.