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Riprendo l’idea espressa da Vita Cosentino, e cioè che c’è un difetto del senso di differenza. E specifico che io registro un difetto del senso della differenza sessuale che non sia ridotto a un pensiero dicotomico. 

Come ha fatto notare Chiara Zamboni nel suo libro Parole non consumate (Liguori 2001), molte culture, tra cui la nostra occidentale, si fondano su simmetrie e opposizioni: alto-basso, chiaro-oscuro, vero-falso. Il linguaggio dominante, come spiega Zamboni, descrive anche «le posizioni simboliche delle donne e degli uomini come parallele, simmetriche e oppositive», in realtà invece sono caratterizzate da uno squilibrio, da un’irriducibile asimmetria. L’autrice racconta come in un incontro con uomini e donne dove tutti sembravano aver accettato come vera quell’asimmetria, nella discussione scivolavano in modo inconsapevole nelle contrapposizioni: «gli uomini…, all’opposto le donne…» Questa “dicotomizzazione del mondo” è stata ampiamente discussa anche da Ina Praetorius che ne ha tracciato la storia a partire da Platone e Aristotele dimostrando come la nostra cultura ne sia profondamente segnata ancora ai giorni nostri (Ina Praetorius, L’economia è cura. La riscoperta dell’ovvio, IOD Edizioni 2016). Maschile e femminile sono inglobati dentro uno schema che divide il mondo in alto e basso, natura e cultura, immanenza e trascendenza… 

Tutto nella logica dell’uno nella quale un’asimmetria può essere concepita al massimo come complementarità oppure come svantaggio delle donne, da riparare, per portarle alla parità.

Questa logica è stata rotta radicalmente da Carla Lonzi che ha scritto in Sputiamo su Hegel del 1970: «La donna non è in rapporto dialettico col mondo maschile. Le esigenze che essa viene chiarendo non implicano un’antitesi, ma un muoversi su un altro piano». E aggiunge: «Questo è il punto su cui difficilmente arriveremo a essere capite, ma è essenziale che non manchiamo di insistervi» (p. 42).

Anche dopo Carla Lonzi, il movimento delle donne ha prodotto testi importanti che ripropongono la questione di fondo della differenza sessuale, «come può significarsi l’essere donna, come può uscire dalla sua intimità senza parole, in un ordine simbolico che definisce il soggetto di sesso femminile per opposizione e somiglianze con il soggetto maschile, e questo per sé medesimo?» (Diotima, Il pensiero della differenza sessuale, p. 33). L’asimmetria tra i sessi è stata messa in luce da Luisa Muraro con il fatto che tutte e tutti siamo nate/i da una donna, le bambine dello stesso sesso della madre e quindi nel continuum materno, dal quale i maschi sono estromessi. Luce Irigaray ha approfondito in moltissimi testi l’idea della genealogia femminile, sviluppata poi nella pratica e nel pensiero della Libreria delle donne, e io e altre ci siamo ritrovate su questa strada della libera espressione della differenza che rompe tutti gli schemi, stereotipi e attribuzioni di ruoli e che mi ha autorizzata a essere come sono e ad amare chi voglio.

Oggi invece la logica dell’antitesi viene sempre più acutizzata, anche dai social media che non permettono posizioni differenziate creando solo opposizioni e schieramenti.

Il linguaggio che opera con il sistema oppositivo è sfociato direttamente nell’idea del binarismo che oggi per molte e molti sembra una possibile sistemazione della differenza sessuale. Di fronte a questa narrazione mi chiedo come il sistema binario, concetto che richiama il linguaggio informatico (anche se di origini più antiche), un’idea di massima astrazione, rigidissima, possa parlare di un’esperienza viva! E spesso mi trovo in difficoltà quando mi dicono che il pensiero della differenza sarebbe binario e io devo rettificare ogni volta, spiegare che non è biologismo, ma libera espressione di sé. Aveva ragione Carla Lonzi quando diceva che questo «muoversi su un altro piano è il punto su cui difficilmente arriveremo a essere capite». Mi sento intrappolata nella polarizzazione, che è una trappola per il pensiero di tutte e di tutti. Secondo me oggi il discorso politico e culturale dominante rischia di rimanere bloccato in questa gabbia, e temo che ci rimanga intrappolato anche chi vuole uscire dai percorsi prestabiliti definendosi non binary. Questo concetto è recentemente entrato anche nella cultura pop, da quando il cantante svizzero Nemo ha vinto l’Eurovision Song Contest, una specie di Sanremo europeo. Il pubblico è rimasto affascinato dalla sua estrema bravura nel canto e nello show (anch’io), ma altrettanto colpito dalla sua “identità non-binaria”, espressa non solo dai vestiti rosa ma anche dalla sua canzone che recita I broke the code, ‘ho infranto il codice’, che sarebbe quello dicotomico maschile-femminile. Ma non è depotenziante per il proprio essere, per la propria originalità, definirsi in negativo rispetto a un sistema che si reputa pienamente vigente e determinante per sé? 

Sembra che non ne usciamo più dalle opposizioni, anzi, se ne aggiungono sempre altre, sovrapponendosi a quelle esistenti e creando un disordine incredibile, una spirale micidiale. L’ultima coppia di opposti che è entrata nel discorso sulla differenza sessuale, già distorto dal pensiero binario, è quella destra-sinistra. Certo, scontiamo il fatto che la sinistra, in cui il femminismo è nato, per eccesso di ugualitarismo ha sempre avuto difficolta a concepire il pensiero della differenza come forza propulsiva per cambiare il mondo, mentre la destra nazionalista l’ha intercettato, per sfruttarlo spudoratamente a suo favore, stravolgendo il senso delle parole – come del resto fa da sempre il capitalismo. Ora, in una specie di cortocircuito mentale, chi parla di “donne” e “uomini” viene considerata/o di destra! Distorsioni su distorsioni che creano risentimenti e diffidenza anche all’interno del femminismo, bloccano il libero scambio e l’apertura verso l’altra/o e portano all’impossibilità di decifrare la realtà. 

C’è sempre più bisogno di un pensiero fuori dalla logica oppositiva. Il pensiero della differenza sessuale è quello che è a portata di mano di tutte e di tutti e che non scansa il nostro sentire e la nostra esperienza. A partire dal nostro essere sessuate/i che in ogni contesto storico si mostra in altre forme e con altri sintomi che vanno interrogati. Con il lavoro di VD3 continuiamo a riflettere su cosa ne è del desiderio femminile, della relazione tra donne e tra donne e uomini nel nostro disordinato presente post-patriarcale. Abbiamo riscontrato un forte interesse nelle persone più giovani a confrontarsi a partire da sé, invece di posizionarsi di qui o di là, sotto una bandiera o sotto l’altra. E non è un caso che oggi molti giovani donne e uomini (ri)scoprano Carla Lonzi, le cui parole trovano in loro risonanza. E io continuo a sentire il bisogno di un ulteriore lavoro di pensiero, per mettere meglio a fuoco quell’asimmetria della differenza sessuale che per me è la chiave per poter pensare altre differenze al di là o meglio al di qua delle antitesi.