La libertà di scegliere
Linda Laura Sabbadini
25 Novembre 2024
Da la Repubblica
Ha molte forme, può essere fisica, sessuale, psicologica, economica.
È trasversale ai territori, alle classi sociali, alle nazionalità e alle età. È la violenza con cui l’uomo esercita la volontà di possesso e di prevaricazione sulla donna. E non dipende solo dagli uomini che la praticano, ma anche dal contesto economico e sociale che la perpetua motu proprio da lungo tempo, durante il quale il dominio maschile si è articolato e stratificato e la discriminazione femminile non è stata sradicata. Il contesto socio-economico è rappresentato, innanzitutto, dal lavoro. La situazione di metà delle donne del nostro Paese che è senza lavoro (la peggiore in Europa) è grave. Perché significa che metà delle donne non è autonoma, non è indipendente economicamente.
E ciò rappresenta un vulnus, non solo perché è messo in discussione il diritto a un lavoro dignitoso, ma perché le donne, così, sono oggettivamente limitate nelle loro libertà. Provate a mettervi nei panni di queste donne che non lavorano. In molti casi sono obbligate a chiedere denaro al proprio partner, anche per il minimo indispensabile, non possono scegliere autonomamente come spenderlo, sono tenute sotto controllo o comunque devono giustificare, in una perenne condizione di subordinazione e dipendenza. Ciò crea un humus culturale in cui il controllo maschile sulle donne è di fatto legittimato e risulta assolutamente facilitato. E, se protratto nel tempo, cristallizza ruoli asimmetrici che favoriscono lo sviluppo di violenza nella coppia, o perlomeno l’enorme difficoltà delle donne a sottrarvisi.
La vulnerabilità socio-economica non solo espone maggiormente le donne al rischio di violenza domestica, ma ne limita anche la possibilità di allontanarsi e di rompere una storia tossica. È già difficile per una donna che dispone di reddito fare il passo di denunciare il partner violento, oppure di rivolgersi a un centro antiviolenza o a chiunque altro per chiedere aiuto. Solo il 15% delle vittime di femminicidio ha denunciato. La dipendenza economica può trasformarsi in un ostacolo insormontabile alla rottura di una relazione con un partner violento. Come ci si mantiene dopo averlo lasciato? Certo esiste un contributo economico da parte dello Stato ma l’importo è talmente basso che difficilmente può rappresentare una copertura adeguata.
La violenza contro le donne non si combatte solo con provvedimenti specifici sulla violenza. Una volta per tutte in questo Paese bisogna adottare una strategia globale che metta al centro le donne. Lo sviluppo della loro indipendenza economica, l’eliminazione dei gap e delle discriminazioni. Possibile che non si promuovano politiche per abbattere gli ostacoli alla valorizzazione delle risorse femminili, come recita l’articolo 3 della Costituzione? Possibile che si vada alla ricerca di diversivi sugli immigrati, come responsabili di violenze, e non si vedano le gravi emergenze sociali ed economiche che riguardano le donne e che determinano ruoli asimmetrici nel Paese? Abbiamo bisogno di una strategia globale per un lavoro dignitoso e di qualità per le donne, per una formazione non stereotipata, per lo sviluppo di servizi di cura e congedi parentali e di paternità adeguati, per l’abbattimento della cultura del possesso del corpo e dell’anima delle donne.
I piccoli passi e le mezze misure sono pannicelli caldi che mantengono immutata la condizione di diseguaglianza delle cittadine del nostro Paese e creano le condizioni dell’esercizio della violenza. Mai come oggi appare evidente come tale condizione sia non solo anacronistica, ma il principale ostacolo al pieno dispiegamento delle risorse umane e creative che blocca lo sviluppo
economico del Paese. Giochiamo una partita economica globale con le mani legate dietro la schiena, non potendo avvalerci appieno del fondamentale apporto femminile. C’è bisogno di un contrattacco da parte delle donne. Solo la forza e l’unità delle donne, la sorellanza, possono innescare il cambiamento epocale di cui c’è bisogno.