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La discussione aperta dall’intervento di Laura Colombo e da quello di Paola Mammani e Tiziana Nasali mi riguarda e credo riguardi tutte noi.

Sono contraria alla maternità surrogata; non sottovaluto e provo rispetto per il desiderio di maternità e di paternità – di tante donne e tanti uomini – che per ragioni diverse non si può realizzare; nonostante questo non riesco a sopprimere in me il sentimento di rifiuto per la contrattualizzazione commerciale del corpo delle donne e della maternità, non riesco a non provare indignazione per la separazione programmata di una neonata o di un neonato dalla madre. Sono femminista ma sono sicura che non sia determinante essere femminista per condividere queste mie convinzioni profonde.

Io non riesco a esultare per la recente approvazione al Senato del provvedimento legislativo che interviene sulla legge 40/2004, “Norme in materia di procreazione medicalmente assistita”, che estende l’illiceità della procedura, già vietata in Italia, anche all’estero e mi ha colpito la denominazione di “reato universale” per perseguire accordi commerciali stipulati in altri luoghi del mondo – da alcune donne e alcuni uomini – per soddisfare il loro desiderio di maternità e di paternità.

In ogni famiglia c’è esperienza di creature cresciute da zie o zii o altre persone di famiglia senza figli; nei rapporti sociali è stata e, secondo me, resta la “risposta universale” al desiderio di maternità o paternità a chi non riesce, non riusciva, a realizzare il proprio desiderio e non può o non vuole ricorrere ad accordi commerciali per realizzarlo.

La legge del 2004 rispondeva al sentire di chi voleva opporsi all’introduzione in Italia della gestazione per altri (GPA), a quella commerciale e a quella cosiddetta solidale.

Quello che invece è avvenuto con il provvedimento legislativo del 16 ottobre ha, secondo me, un segno e una direzione diversa determinata dalla spinta dei movimenti pro-vita e dai partiti politici che vogliono riportare i rapporti sociali tra uomini e donne all’ordine simbolico e sociale del patriarcato. E a me poco importa che sia una donna a condurre o a intestarsi il gioco.

Ragioniamo dei rapporti di forza in campo, nel parlamento e nel paese; sostenere che in questa decisione il femminismo abbia orientato la politica è secondo me velleitario e un pericolo per l’autonomia della pratica e del pensiero politico del movimento delle donne.

Il femminismo ha modificato radicalmente i rapporti sociali, e dal pensiero politico della differenza sessuale sono nate le pratiche che hanno reso possibile questo cambiamento.

Tuttavia, persiste il rischio che parole e pratiche femministe vengano travisate dalla politica dei partiti. Dovremmo oggi interrogare il travisamento, il femminismo delle origini lo ha fatto a partire da Carla Lonzi.

Sicuramente «la presenza attiva di donne consapevoli e appassionate» ha impedito che si soffocasse il sentimento di rifiuto verso la gestazione per altri nonostante la “propaganda” di un pensiero che giustifica questa pratica con il desiderio di maternità e paternità e nega la differenza sessuale.

Ora serve esprimere la stessa autonomia – di pratica e di pensiero politico – nei confronti della “propaganda” di un pensiero che mette al centro la donna “madre” e la famiglia patriarcale e che in questo orizzonte interviene legislativamente anche sulla procreazione per altri.

In assenza di questa autonomia «ci sono tutte le premesse di una sconfitta» per il pensiero della differenza e non si troveranno parole nuove per le nostre pratiche politiche; la differenza sessuale sarà declinata nel ruolo assegnato da altri e inevitabilmente useremo le loro parole.