Gestazione per altri, divieto universale
Paola Mammani, Tiziana Nasali
30 Ottobre 2024
Siamo contrarie alla gestazione per altri (GPA), sia a quella commerciale sia a quella cosiddetta solidale, per i tanti motivi che studiose e attiviste hanno analizzato approfonditamente (Danna, Gramolini, Izzo, Muraro, Niccolai, Pazé, Terragni, e la lista potrebbe continuare a lungo). Per questo accogliamo con favore il recente provvedimento legislativo che interviene sulla legge 40/2004 “Norme in materia di procreazione medicalmente assistita”, che estende l’illiceità della procedura, già vietata in Italia, anche a quella praticata all’estero.
Qualcuna obietta che il governo attualmente in carica avrebbe dovuto promuovere un ampio confronto nelle sedi internazionali e non estendere il divieto anche alle italiane e agli italiani che praticano la gravidanza per altri all’estero. Non capiamo perché le due cose debbano essere poste in alternativa. Nel 2023 la costituzionalista Silvia Niccolai osservava, «[…] il divieto universale in Italia rafforzerebbe enormemente la capacità del nostro Paese di operare in modo influente nelle sedi internazionali» (1). Fosse anche solo per questo, la legge che rende la cosiddetta gestazione per altri “reato universale” non ci sembra mera propaganda.
È vero che esponenti dell’attuale maggioranza politica hanno enfatizzato l’ovvio, e cioè che in presenza di un certificato di nascita rilasciato all’estero, che indica due uomini come genitori, è evidente il falso, non solo giuridico, della dichiarazione. Costoro sembrano dimenticare che la stragrande maggioranza di chi ricorre alla pratica della cosiddetta surrogazione di maternità, è fatta di coppie eterosessuali È probabile che vogliano assecondare sentimenti omofobi esistenti in una parte del loro elettorato. Se questo è, troviamo esecrabile l’intento, ma resta impregiudicata la verità del rilievo.
Il provvedimento è stato anche utilizzato da esponenti dell’attuale governo di destra per enfatizzare l’importanza della famiglia cosiddetta tradizionale, punto di vista opinabile e probabilmente gradito ad una parte dell’elettorato conservatore, ma fondato sul fatto incontrovertibile che una creatura, ancora oggi, nasce necessariamente da una donna, con il contributo di un uomo.
Pensiamo si debba resistere alla tentazione di valutare il singolo, concreto provvedimento e più in generale l’attività politica istituzionale, utilizzando forme del pensiero e del linguaggio che ci lasciano impigliate nel tradizionale scontro delle forze politiche di destra e di sinistra. Un esempio di questo pericolo sta proprio nell’assumere come nostra, una delle più frequenti e reciproche accuse che gli schieramenti politici rivolgono l’un l’altro, che è quella di fare propaganda.
Nel caso in questione si rischia di non vedere quanto il provvedimento sia stato assunto nella certezza di assecondare un sentimento profondo e forse anche “universale”, di repulsa per l’idea stessa di indurre una gravidanza con l’intento programmato di separare la creatura dalla madre.
Dell’esistenza diffusa di questo sentire siamo certe ma pensiamo anche che senza la presenza attiva di donne consapevoli e appassionate questo sentire avrebbe potuto, potrebbe, inabissarsi. Come abbiamo già detto, molte hanno analizzato le questioni sollevate dalla cosiddetta maternità surrogata, in tante si sono espresse pubblicamente, hanno prodotto libri, articoli di stampa, hanno riferito nelle commissioni di Camera e Senato, hanno dato cioè un grande contributo per sostenere con la forza del sapere e della consapevolezza, il “sentimento universale” di rifiuto di questa pratica. Definire questa legge un fatto di propaganda, significa anche non vedere che questo femminismo, impegnato a difendere dall’avidità del mercato la relazione che è all’origine della vita, è riuscito ad orientare la politica (2), (3).
Infine, sul piano del diritto, non si può parlare di criminalizzazione, come pure si sente dire, poiché la legge non introduce alcun nuovo reato per azioni e comportamenti ritenuti leciti fino a ieri. Anzi, pur nella parzialità e limitatezza della mossa, quest’atto di legge amplia la possibilità di «[…] spostarsi altrove rispetto al diritto praticato come strumento di lotta all’interno di relazioni di potere» (4). Infatti può aiutare le donne, tutte le donne del mondo, a riflettere ulteriormente e a lottare per non finire schiacciate nell’ennesimo, ben oliato meccanismo, anche giuridico, pensato per garantire il potere di fare commercio della maternità e dei suoi frutti.
Quanto al dibattito internazionale, il giorno dopo l’approvazione della legge il New York Times riportava la notizia in prima pagina, con disappunto. Non sarà un’organizzazione internazionale il NYT, ma quasi. Non l’ha presa bene e non è un cattivo segnale.