Che parola e che immagine metteresti in copertina? Omosessualità femminile e donne felici!
Paola Mammani
23 Settembre 2015
La risposta alla domanda posta in preparazione della riunione di Via Dogana 3, del 13 settembre 2015, mi è arrivata immediata la sera prima dell’incontro, davanti alla TV: avrei scelto un’istantanea del lungo abbraccio tra Flavia Pennetta e Roberta Vinci a conclusione della partita finale degli US open, e sotto vi avrei scritto “omosessualità”. Due donne giovani, della bellezza comune a milioni di altre, abbracciate strette, sorridenti e felici. Per la loro straordinaria vicenda, una vita di amicizia e di gioco in comune, arrivate a misurarsi l’una di fronte all’altra nella finale della gara più importante del mondo, la vittoria di entrambe. E avrei affiancato a questa, un’altra istantanea, quella della vincitrice dell’incontro, Flavia Pennetta, mentre in un angolo del campo si tende verso la balaustra che limita lo spazio riservato al pubblico, per scambiare un bacio con il fidanzato che si sporge verso di lei. Sotto vi avrei scritto “eterosessualità”.
Mi sembrano due immagini capaci di trasmettere una verità elementare che pure può sfuggire: che l’omosessualità è fatto di donne che provano affetto, amore, stima l’una per l’altra, e che l’eterosessualità è legame simile che una donna coltiva con un uomo. Che l’omosessualità femminile è lì, alla portata di tutte, un di più per ogni donna che voglia cominciare a vederla, a percepirla, a coltivarla.
So che questa visione dell’omosessualità femminile non ha quella particolare coloritura, quella tensione, a volte dolorosa, che si avverte nei racconti e nelle vicende di donne che si definiscono lesbiche e che ascolto con attenzione e rispetto. Ma quella tonalità non mi corrisponde. Nella mia storia passata ho rischiato, al contrario, di vivere legami di intensa amicizia, sentimenti amorosi, attrazione nei riguardi di donne, senza dare loro un particolare significato. A vent’anni, agli inizi degli anni settanta, l’ombrello della liberazione sessuale pareva più che sufficiente a spiegare e nominare quanto mi accadeva. Adesso direi che quell’ombrello era sufficiente a disinnescarne il valore, ad offuscarne il significato. Solo con la scoperta e la comprensione del pensiero che circolava intorno alla Libreria delle donne, quei legami hanno assunto per me un significato fino ad allora inimmaginabile, sono diventati dei segni, fra i tanti disseminati nella mia vita, che imparavo a riconoscere, a connettere in una lettura che avesse un senso proprio. Questa è storia nota, ben raccontata da tante donne. Ed è storia diventata vincente, che ha già cambiato la vita di moltissime che si muovono in un mondo ricco di relazioni femminili significative. Ne sono pieni la cronaca, i giornali. È la visione che i luoghi pubblici o i luoghi di lavoro ci offrono tutti i giorni: donne insieme, che si parlano fitto, che si abbracciano strette, che discutono animatamente a due, a tre, a quattro. Insomma, aperta omosessualità femminile. Un sesso che si riconosce nella propria differenza e che a partire da tale riconoscimento intesse relazioni che coprono l’infinita varietà delle attività umane, dei sentimenti, degli interessi, dei giochi che la vita propone.
Per questo l’immagine di due donne abbracciate, felici per una vittoria che sembrano sentire comune, davanti a un grande pubblico ammirato, mi pare oggi adeguata a rappresentare l’omosessualità femminile. Certo è un processo che non arriva ancora a incidere in molti ambiti della vita pubblica, ma è in atto.
E infine, per riderci un po’ su (e forse non tanto): fu vero sesso? Ma di fronte a quelle due che si stringevano per un tempo che credo sia parso a tutti lunghissimo, che si parlavano all’orecchio, si accarezzavano davanti agli occhi del mondo, a chi importerebbe sapere se ve ne fu? chi oserebbe pretendere che non ve ne sia?