Ho un sogno: fare della rete una pratica politica
Massimo Lizzi
12 Ottobre 2016
La rete offusca la differenza sessuale. Anche quando sappiamo il sesso dell’altro, ne abbiamo una percezione molto più debole, perché né lo vediamo né lo sentiamo. Nei primi forum ci si presentava anonimi. Nei social media di oggi ci si presenta svelati; quel che sfugge all’evidenza si perde. Questo favorisce un pensiero neutro. Così come il continuo procedere per operazioni induce al pensiero semplificato e l’ausilio tecnologico all’idea di aver sempre meno bisogno degli altri.
Nei forum si alternavano discussioni soddisfacenti con talenti sconosciuti ad altre assurde con personaggi indegni e strampalati, comunque accettati dal gruppo. Per me, era un esercizio dialettico, migliore delle riunioni di partito, che infatti abbandonai, pur conservando l’appartenenza. Su Facebook, persi anche l’appartenenza e divenni un militante autosufficiente. In rete, i miei leader mi apparivano più modesti; tanti documenti si trovavano a portata di mouse; pubblicarsi era ormai molto semplice. Pure sul piano psicologico. Scrivere e postare mi dà molto meno disagio che prendere la parola di persona. Inoltre, è più facile condividere interessi tra le moltitudini virtuali che tra le proprie ristrette cerchie reali.
Luisa Muraro dice che Facebook è più di uno strumento, è un ambiente. In effetti, diversamente dai forum che, fuori della pubblicistica autorevole, formavano comunità isolate, su server gestiti da piccole imprese, a cui ci si connetteva da postazioni fisse per un tempo limitato, Facebook, una multinazionale che raccoglie e vende i nostri dati, è un integratore orizzontale senza un centro, a cui siamo sempre connessi da dispositivi mobili, in condizione di rapportarci con chiunque.
Oltre a essere un territorio virtuale, è una forma mentale influente su tutta la realtà. Pensiamo agli argomenti a favore delle riforme elettorali e costituzionali: conoscere subito il vincitore la sera delle elezioni, stabile per cinque anni, alla guida di un procedimento legislativo rapido, non sembra un modello di democrazia algoritmica? Un modello persuasivo per chi passa il tempo a compiere operazioni dall’esito immediato, senza perdere tempo a pensare, discutere, mediare. Vita Cosentino racconta come gli algoritmi siano ormai usati nel governo della scuola, per assegnare le cattedre e generare l’orario scolastico.
I social media comunque sono apprezzabili per le opportunità inclusive ed espressive che offrono. Qualcuno emerge come autore e si propone al pubblico, senza il filtro di editori, produttori, direttori. Tuttavia, questa possibilità, che libera dalle relazioni di potere, libera da tutte le relazioni. Gli stessi editori fanno a meno di molti autori o li pagano in visibilità. Le amicizie si rivelano spesso deludenti; negli scambi il possibile vantaggio della risposta differita è sprecato da risposte reattive, compulsive, ripetitive; talvolta pericolose, come mostra il cyberbullismo.
Tuttavia, un vantaggio è certo. La rete trasforma telespettatori passivi, già sottratti alla lettura e alla socialità, in naviganti interattivi. E navigatrici. Facebook è esploso in Italia al tempo della parola ‘femminicidio’ e delle proteste contro la rappresentazione berlusconiana della donna. Questo ha orientato il femminismo sul web, divenuto presto più visibile di quanto fosse su TV e giornali. Per converso, è divenuto visibile anche l’antifemminismo.
Luisa C. B. a Via Dogana 3 ha testimoniato uno stato d’animo comune a molte giovani femministe in quotidiano conflitto con l’antifemminismo: ragazze combattive e determinate, ma incerte sulla direzione del mondo. Negli anni ’80, si percepiva un mondo avviato all’emancipazione e si vedeva lo spazio per affermare la differenza oltre l’uguaglianza. Oggi, i temi prevalenti sono il femminicidio, la violenza, la prostituzione, la sindrome d’alienazione parentale inventata contro le madri, le discriminazioni, il sessismo. La differenza può sembrare un lusso, un’insidia, o soltanto la si ignora. In rete, il negativo prevale sul positivo.
Inoltre, nella multimedialità, il visivo prevale sugli altri sensi. Il pensiero complesso e strutturato di un saggio non può competere con il bombardamento di messaggi emozionali. Esistono siti culturali che coinvolgono nicchie e minoranze più estese di un tempo, ma di minor peso specifico a fronte di un pubblico produttore di un sovrastante rumore di fondo. Negli anni ’80, l’esperimento dei telefoni aperti di Radio Radicale diede voce ad una violenza e un razzismo che, finché sommersi, non sembravano inquinanti. La tecnologia liberatoria, libera anche loro.
La speranza in una evoluzione è contraddetta dal fatto che la tecnologia libera pure dall’uso delle facoltà mentali: calcolare, ricordare, selezionare, riflettere. Lo sviluppo degli algoritmi fa credere che sia sempre più sufficiente immettere dati e lasciarli elaborare in automatico. Analisti preoccupati ci avvertono di questi pericoli e vanno considerati. Insieme, va tenuto conto che la critica alle nuove tecnologie è spesso orientata da studiosi legati ai vecchi media accessibili a pochi in concorrenza con i nuovi media aperti a tutti.
In passato, il movimento operaio ha dato vita a riviste teoriche, organizzazioni, scuole di partito; le femministe sono diventate scrittrici, filosofe, hanno creato scuole di pensiero e di scrittura. A qualcosa del genere vorrei prendere parte oggi, per fare della presenza in rete una pratica e una teoria collettiva, oltre una presenza casuale e dilettante, per lo più individuale.
Molto ancora dipende da ciò che viene prima della rete, ma oggi in essa continua e si amplifica. Il neoliberismo è fallito, ma sopravvive in assenza di alternative. Un suo punto di forza è la declinazione libertaria e individualista della libertà che, per esempio, imposta e limita i dibattiti sulla maternità surrogata, la prostituzione, la pornografia. La malintesa liberazione sessuale della pornografia, attraverso cui fantastica il revanscismo maschile, plasma tanta parte dell’immaginario e del linguaggio fin dall’adolescenza. Il disordine postpatriarcale sfuma lo stesso metro di misura maschile. Il pensiero della differenza rifiuta l’emancipazione come adattamento della donna all’uomo, ma il parametro a cui non adattarsi è sempre più confuso. Molti uomini, e io tra loro, per rifiutare la mascolinità, o nel reagire in modo passivo-aggressivo al femminismo, evitano o rifiutano di assumere responsabilità, iniziativa, decisioni. Così, invece che maschile universalizzato, il neutro diventa indifferenziato.