Appunti
Liliana Rampello
7 Dicembre 2016
Quando Luisa Muraro dice che lavorare perché esista il senso libero della differenza sessuale significa aver chiaro che non si tratta di stabilire una classificazione definitiva per cui ci sono gli uomini e le donne, ma che queste classificazioni sono categorie storicamente determinate, e dunque sono un’approssimazione, indica l’apertura all’ascolto di tutto il portato esperienziale e teorico dei movimenti LGBT. Avverte però di non cedere alla separazione tra natura e cultura che lì viene operata. Su questo punto farei una precisazione. Non di rapporto fra natura e cultura si tratta in quei movimenti, a mio avviso, ma di un corpo che è del tutto assimilato e assunto dalla sua interpretazione culturale e quindi disponibile alle contingenze di ogni desiderio e all’intervento di qualsiasi forma di tecnologia. È l’uso del termine “natura” che ha fatto scambiare (spesso strumentalmente) un pensiero radicato nel corpo vivente per essenzialismo. Per questo mi sembra più appropriato rimettere al centro il termine “corpo”.
Non vedo oggi, un’egemonia del femminismo della differenza rispetto ad altri femminismi, i neofemminismi delle ragazze più giovani ad esempio hanno alle spalle esperienze di sessualità profondamente diverse dalle nostre, esperienze che non conosciamo, di cui qui nessuna di noi parla, benché molte abbiano figlie e figli, nipoti e amiche… non prendiamo atto nemmeno che molte delle nuove generazioni non riconoscono come decisiva la differenza sessuale. Capire perché, quali vantaggi hanno da questa posizione è un lavoro tutto da fare: ci sono i racconti delle esperienze, ci sono teorie, riflessioni spesso da noi del tutto ignorate, forse perché fa comodo starsene nella rassicurazione del bel tempo che fu e perché il femminismo può a sua volta diventare e spesso diventa un nuovo conformismo (fatto di ripetizione e vuota liturgia).
Le donne sono dappertutto, dice Lia Cigarini, con molti esempi, ma non sono dove sono in ragione diretta del portato del femminismo, sono molte le ragioni e le cause, e in quella scena pubblica ci stanno spesso proprio per aver reciso o taciuto o considerato irrilevante la loro differenza. Il suo richiamo alle origini quindi ha senso solo se siamo consapevoli dell’assenza di nuove invenzioni di pratica politica. Le radici del partire da sé e della relazione vanno completamente rivisitate e torna una vexata quaestio: il rapporto tra politica prima e seconda (se vogliamo usare vecchi termini che non dicono più la nuova realtà) o più propriamente (il problema lo ha posto bene Laura Colombo) il rapporto tra pratiche politiche radicali (nel senso della radice e del portato di cambiamento) e potere. Questo nodo non è eludibile, né è sufficiente opporvi l’autorità, se non si aprono spazi di praticabilità riconosciuta da uomini e donne. Come farlo è il punto, e non ho risposte, perché non è solo “la riflessione che latita”, ma con lei le pratiche necessarie. E questo vale anche per il richiamo alla radicalizzazione (o alla ri-radicalizzazione).
Non vedo il desiderio maschile pietrificato: nulla sta fermo e lo sappiamo. Oggi siamo, in America e non solo, di fronte a un revanchismo molto pericoloso, che è meglio non ignorare o sottovalutare. Obama non è Trump, il suo sguardo su Michelle durante il discorso per l’insediamento aveva fatto sperare nella capacità maschile di riconoscere il proprio debito a una donna (e lui non è il solo caso, per fortuna); quell’era sembra trascorsa già da un secolo e al suo posto c’è oggi un uomo che si fa forza dell’offesa violenta alle donne (e non solo) e ha al fianco una moglie che tace (lei sì pietrificata).