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La prima cosa che mi interessa sottolineare è la differenza che passa tra la parola ‘divieto’ e la parola ‘condanna’. Sono contraria al divieto per legge della Gpa perché penso che il proibizionismo non sia efficace, nemmeno in questo caso, e che anzi possa rivelarsi dannoso, perché può costituire nella posizione di “vittime” gli uomini e le donne che la considerano un diritto o un’occasione di libertà da rivendicare.

E veniamo ora alla condanna: mi è stato fatto notare che questa parola nel linguaggio comune è associata con punizione. Non voglio punire nessuno: sono stata punita nei primi anni della mia vita abbastanza da farmi passare la voglia di avere a che fare con qualunque forma di questa idea.

Uso quindi la parola ‘condanna’ per dire che non può esserci da parte mia né approvazione né accettazione di questa pratica. Tanti argomenti in questo senso sono già stati portati. Aggiungo che vedo un eccesso dell’io nella spinta irrinunciabile a trasmettere il proprio patrimonio genetico. Una mancanza di coscienza del limite. Un’idea cieca di progresso. E ci vedo anche da parte di alcuni uomini un desiderio di rivalsa nei confronti della “ingiustizia” costituita dall’impossibilità di portare nel proprio corpo e partorire nuove creature.

Nutro una specie di compassione – nel senso etimologico del termine – per questo aspetto della condizione maschile, che immagino possa essere – quantomeno a livello inconscio – dolorosa.

La mia speranza è che ci possa essere una discussione che non si trasformi in un muro contro muro, che mi permetta di ascoltare e di essere ascoltata.

Sono convinta che la cosa più importante nella vicenda della Gpa sia il significato simbolico; forse il conflitto ci aiuterà a discutere di molte cose finite sotto traccia.

So che la scienza ha una sua forza interna che non può essere fermata, ma mi colpisce che dopo millenni di storia segnati dall’oppressione e dallo spossessamento della capacità riproduttiva del corpo femminile, oggi che le donne hanno la possibilità di pensarsi e di dirsi da sé, emerga qualcosa che le spinge a dispossessarsi da sé, almeno apparentemente.

Per questo la discussione sulla Gpa non dovrebbe discostarsi da quella sulla maternità e la non-maternità, e anche – rispetto al potere del mercato – dalla necessità di separare la questione del lavoro al diritto alla sopravvivenza. Cosa in parte già avvenuta, ma solo in senso negativo.

C’è ancora molto da indagare sulla maternità.

Un esempio personale: ho messo al mondo un figlio e una figlia. Senza prove “scientifiche” so che ciò che è intercorso tra me e mio figlio è diverso da ciò che è intercorso – in parte indipendentemente da chi sono io e da chi è lei – tra me e mia figlia. Come lavora l’inconscio nelle generazioni femminili che vanno indietro fino all’inizio del tempo, quella linea ininterrotta che Luisa Muraro chiama “continuum materno”?

Ho trovato riflessioni molto interessanti in alcuni testi di Diotima e nel libro «L’inconscio può pensare?», curato da Chiara Zamboni. Vorrei saperne di più.

L’ultima cosa: temo che la perdita di potere sulla vita che stiamo conoscendo possa essere in qualche modo coperta con l’illusione di una presa di potere sull’esistenza, o meglio su quelle parti dell’esistenza che sono la sessualità e la riproduzione. In questo senso, tra l’altro, non mi va bene essere definita dal di fuori come una eterosessuale, non fosse altro perché quando penso a me stessa mi penso bisessuale, e a volte qualcos’altro ancora. Ho paura delle definizioni.