Un femminismo indispensabile e insostenibile
Laura Colombo
29 Novembre 2025
Nel suo testo “Il femminismo ha cambiato le donne ma non ancora il mondo intorno” Sara Campeggi mette in parole con grande lucidità una sofferenza che molte di noi conoscono: l’asimmetria fra la trasformazione che il femminismo produce in chi lo incontra e l’inerzia del mondo, dei contesti di lavoro, delle relazioni amorose e familiari. Questa asimmetria è il nodo politico che il testo porta allo scoperto, una questione non differibile perché mostra quanto la rivoluzione femminista abbia inciso in profondità nelle vite e nel simbolico delle donne, mentre assetti sociali, linguaggi e istituzioni restano in larga parte impermeabili.
Sara scrive che il femminismo ha cambiato lei, ma i contesti di lavoro, le relazioni, i linguaggi sembrano continuare a funzionare secondo logiche immutate, quando non addirittura ostili. La sua coerenza si gioca in questo confronto. Quando racconta il rischio di perdere relazioni sentimentali, opportunità lavorative, rapporti con la famiglia e con la propria rete sociale pur di restare fedele a sé, rende visibile la distanza tra ciò che il femminismo le ha reso possibile sentire e nominare e la realtà in cui quella libertà deve farsi strada. E allora diventa chiaro che non si tratta solo della vicenda di una giovane donna troppo esigente verso se stessa. Qui si intrecciano i due piani: da un lato ciò che il femminismo ha effettivamente trasformato nelle soggettività delle donne, dall’altro ciò che resiste al cambiamento e restituisce quella trasformazione sotto forma di costo individuale. È questo scarto, questo essere costrette a misurarsi con un mondo ancora poco toccato dalla rivoluzione femminista, che ci arriva come questione politica e ci interroga direttamente.
Mi chiedo: che immagine del femminismo circola, se la pratica appare come una serie interminabile di prezzi da pagare e manca totalmente la dimensione del desiderio? Se il femminismo arriva soprattutto come dover essere, come richiesta di coerenza solitaria di fronte a un mondo ostile, c’è qualcosa che non funziona nella trasmissione: dove sono la gioia, l’autorizzazione a essere, il guadagno delle relazioni tra donne che tante di noi hanno conosciuto?
Nel testo di Sara la parola “coerenza” torna come un perno. Non la prendo alla leggera, perché capisco il bisogno di non tradirsi, di non tornare indietro una volta che si è visto qualcosa. Tuttavia in queste righe sento anche una scivolata: la libertà finisce per dipendere dalla capacità di “mantenere la linea” in ogni situazione, e pagare senza esitazioni il prezzo di tutto ciò che non regge il cambiamento. Così, la coerenza diventa un criterio morale severo, un metro con cui misurarsi continuamente in modo solipsistico. E questo accade, mi pare, proprio perché la sproporzione tra donne cambiate e mondo non cambiato scarica sulle singole il peso di tenere insieme da sole la propria libertà in contesti alieni.
Quando scrive che oggi “siamo libere come mai storicamente prima” e insieme che questa libertà “continua ad avere un costo” ed è “relegata all’individualità della singola donna che decide per sé”, sento una domanda rivolta anche a me. Se il femminismo che lei incontra si presenta soprattutto come questo esporsi una per una, dove sono le relazioni, i legami, le mediazioni che potrebbero condividere quel costo? E come le facciamo esistere? Qui, secondo me, lei tocca un altro punto politico importante: il paradosso di un femminismo che sembra essersi inceppato nell’individualismo, in una somma di scelte personali più che in una trasformazione condivisa del mondo. È vero che l’individualismo fagocita tutto, anche movimenti che nascono per spezzarlo. Ma proprio perché la sua analisi è così precisa, non possiamo leggerla come un lamento personale: è piuttosto qualcosa che riguarda molte, e che ci chiama in causa rispetto a ciò che non è ancora cambiato nel sociale.
Per questo, più che discutere il testo di Sara sul piano delle idee, mi viene da leggerlo come il segno di una grande solitudine politica, come un racconto in cui il femminismo appare insieme indispensabile e insostenibile: apre possibilità di libertà prima impensabili, ma queste si scontrano con l’ostinata resistenza dei contesti. Non possiamo archiviare questa solitudine come fatto privato, facciamone materia viva di pensiero lasciandoci toccare dalla sproporzione che descrive.
Foto di copertina di Tea Romano, per gentile concessione dell’artista.