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Milano, 19 settembre 2025. Nella cornice simbolica delle iniziative e dei festeggiamenti per i cinquant’anni di vita della Libreria delle donne di Milano (1975-2025), in un clima di riconoscenza e condivisione, si è tenuto l’incontro pubblico La Storia Sottosopra, la novità della pratica di Storia Vivente. Nello spazio di invenzione femminile quale è la Libreria delle donne, le appartenenti alle diverse comunità di Storia Vivente hanno ripercorso il cammino che ha portato alla rivoluzione storiografica e politica della Storia Vivente, raccontandone i guadagni, le scoperte, le invenzioni.

Lo ha messo in chiaro sin da subito Laura Minguzzi: in un presente assediato da un simbolico maschile di guerra e di dominio, il pensiero delle donne, con la sua capacità generativa, non solo è necessario, ma è una forza politica che rompe la normalizzazione del passato e «mette la storia sottosopra». Riprendendo le parole di Luisa Muraro, Laura ha detto che la storia ufficiale ha l’abitudine di dimenticare o rimpicciolire le imprese femminili per mantenere le donne ai margini. Ma la rivolta delle donne reali ha cambiato «certi criteri di giudizio e l’idea stessa di criteri presuntamente neutri e oggettivi» trasformando lo sguardo sul mondo e sulla storia di tradizione maschile.

La Storia Vivente è un’invenzione di Marirì Martinengo che nel 2006 pubblica un libro intitolato La Voce del silenzio, dedicato alla nonna paterna, scomparsa dalla memoria familiare perché, dopo essere caduta in depressione per le cinque gravidanze ravvicinate, ancora giovane era stata rinchiusa dal marito in una clinica psichiatrica dove rimase per tutta la vita. Marirì le ha ridato voce facendo rivivere in sé l’impronta della relazione con lei. La storica spagnola María Milagros Rivera Garretas, fondatrice di Duoda, Centro di ricerca di donne dell’Università di Barcellona, per prima ha riconosciuto nella pratica della storia vivente una grande novità.

Il manifesto di Marirì è potente: una storia vivente si annida in ciascuna e ciascuno di noi. Trasformare l’esperienza viva in un documento storico e la scrittura in un linguaggio che non teme l’inconscio, in un processo lento, di parola e scrittura, per sciogliere i nodi irrisolti del passato personale e collettivo. Non si tratta di semplice rievocazione, è una «battaglia di interpretazione» per dire la verità delle donne, occultata dalla storiografia tradizionale. Laura ha concluso affermando che l’invenzione di questa pratica trasformativa è «un evento memorabile da iscrivere nella storia».

Trasmettere un sapere vivo

La possibilità di trasmettere il sapere vivo di questa pratica è stata al centro delle riflessioni di Luciana Tavernini e Marina Santini che hanno raccontato la loro esperienza di docenti del Master internazionale di Duoda (Università di Barcellona). Prima di accettare questo impegno, spinte dal desiderio che i testi scritti dalle donne della comunità di Milano assumessero una forma in cui altre potessero riconoscersi, si sono impegnate nella pratica della “scrittura relazionale generativa”: una pratica fondamentale per le donne che cercano di dire il mai detto dell’esperienza femminile, un lavoro a due dove l’ascolto “amoroso” e l’attenzione alla scrittura dell’altra permette all’autrice di liberare il suo sentire originario dagli strati del sapere patriarcale.

Il Master a distanza aveva il duplice obiettivo di rendere trasmissibile la pratica e verificare l’universalità di un sapere che nasce dalla relazione privilegiata tra donne e mette in gioco l’esperienza soggettiva. Attraverso la proposta di letture ed esercizi di scrittura relazionale, il progetto ha innescato profonde trasformazioni simboliche nelle allieve fornendo nuove chiavi interpretative della storia. Ne accenno solo alcune: la ricostruzione della propria genealogia, superando «la vergogna delle origini»; il riconoscimento dell’importanza della relazione materna e della preferenza nei rapporti tra donne; la rielaborazione delle forme di violenza maschile subita, ritrovando la capacità di sentire nell’integrità della propria “animacorporea” (Antonietta Potente); la riflessione sulle caratteristiche corporee considerate fuori modello, liberandosi così dal giudizio patriarcale interiorizzato. Il Master ha rafforzato una vasta rete relazionale, dimostrandosi un acceleratore per un sapere femminile capace di scardinare il simbolico dominante, un percorso che ha dimostrato l’efficacia liberatoria della Storia Vivente.

Il guadagno trasformativo: le voci della pratica

Giovanna Palmeto ha raccontato come è nata nel 2019 la Comunità SAMI (Savona-Milano), fondata da Luciana Tavernini, Marina Santini, Laura Modini e da lei che prima facevano parte della Comunità di Milano.

La comunità SAMI continuando a lavorare intensamente per dipanare i nodi irrisolti dell’esperienza di ciascuna di loro è giunta ad alcune scoperte: il territorio materno, definito come lo spazio fisico, relazionale e trascendente legato alla madre che autorizza ad agire secondo il proprio sentire; i luoghi parlanticome potenti connettori con una genealogia femminile interrotta; l’esperienza concreta di giungere alla soglia di un altrove che fa nascere la ricerca del divino materno; l’aspetto distruttivo della riservatezza femminile.

SAMI ha accolto l’idea di María-Milagros Rivera Garretas che la storia vivente è «scrittura ispirata».

La comunità SAMI in questi anni ha mantenuto e cercato di rafforzare i legami con le altre Comunità di Storia Vivente, contribuendo in modo significativo alla riflessione collettiva e alla pratica di scrittura della storia.

Franca Fortunato della Comunità di Foggia ha raccontato il faticoso lavoro a spirale durato cinque anni che l’ha portata, con l’aiuto delle amiche della sua comunità, a svelare la violenza del padre e un doloroso annichilimento subito in diversi contesti politici (CGIL e PCI). Sciogliere questi nodi, sepolti nella vergogna, ha richiesto la fiducia incondizionata nell’essere creduta. Il guadagno è stato la consapevolezza che la madre è la fonte della sua forza e del suo desiderio di giustizia sociale. Il suo racconto è diventato una storia soggettiva e collettiva che scardina la logica dell’emancipazione. Franca, da giornalista, ha compreso come questo nuovo sguardo oggi guidi il suo lavoro, trovando in autrici come Annie Ernaux un precedente di forza.

Alessandra De Perini della Comunità di Mestre ha ripercorso il passaggio che ha fatto nel corso degli ultimi trent’anni dalla storia delle donne alla storia vivente. Per lei, la storia è stata un’alleata straordinaria della politica delle donne che ha favorito percorsi di presa di coscienza e trasformazione soggettiva e restituito alle donne la consapevolezza di essere eredi di un «passato di libertà e grandezza femminili». Il “salto” per lei è avvenuto nel 2006, grazie all’incontro con Marirì Martinengo, che con il suo libro le ha mostrato una pratica che non respinge l’immaginazione e non cancella le ragioni dell’amore.

La gioia per le scoperte che si fanno insieme

Mariarosa Filippone, con i suoi ottantasette anni, ha parlato del suo innamoramento fulmineo per la storia vivente. Ha poi descritto il faticoso lavoro di scavo necessario per trasformare la sua scrittura e legare i «chicchi di un rosario» della sua vita in un unicum dal «significato collettivo». Il guadagno fondamentale è l’aver introiettato l’ordine simbolico della madre e aver sperimentato un «mettersi a nudo» con le amiche della comunità, arrivando alla consapevolezza della sua singolarità.

Anna Turri, dopo una vita di profonde sofferenze e difficoltà, ha individuato nelle esperienze concrete di libertà, vissute da giovane, l’origine della forza che le regole patriarcali hanno cercato di ingabbiare. Ma il miracolo finale è stata la riconciliazione con la madre, un rapporto complesso e sofferto. Leggendo il racconto di Alessandra De Perini che parla delle sofferenze di sua madre quando viveva isolata con cinque figlie piccole in uno sperduto paesino dell’altipiano di Asiago, ha sentito «nelle viscere» i patimenti della sua, sprigionando una «energia potente» che ha annullato ostacoli e incomprensioni in un «abbraccio agognato per tutta la vita», ritrovando «l’amore per le origini, in un respiro armonico indissolubile».

Carla Galetto ha posto l’accento sul ruolo insostituibile della Comunità come “grembo” dove la parola soggettiva si trasforma in «parola vivente». L’ascolto vivo, i suggerimenti e le critiche delle amiche sono una «ricchezza infinita». Lei si è concentrata sui passaggi di una ricerca di spiritualità non imbrigliata nella religiosità patriarcale e sulla costruzione di un rapporto con il maschile fuori dal sistema dato e dal suo «potere mortifero e violento».

La Storia Vivente, dunque, non è una nicchia accademica. È una pratica in costante arricchimento che circola, producendo sapere e trasformazione profonda della visione del mondo. Le donne che la praticano sono la prova che la storia, quando viene vissuta e riscritta partendo da sé, cessa di essere strumento di oppressione e diventa una via di liberazione per donne e uomini.

La genealogia materna: il mio viaggio interiore

Per me, Doranna Lupi, della Comunità “In faccia al Monviso” il risultato della ricerca, condiviso con le donne della mia comunità, è stato ricomporre la genealogia materna e onorare madri e nonne per la loro capacità di trasmettere la vita e l’amore, nonostante la condizione di deportazione nell’ordine simbolico maschile. Molti nodi interiori, le ombre e i conflitti irrisolti con la madre sono stati causati dai danni materiali, psicologici, relazionali inflitti dal patriarcato nel corso della storia alla vita delle donne, veri e propri furti di vita.

Nei racconti delle donne della mia comunità è emerso con chiarezza il potere pervasivo esercitato dalla Chiesa sulle loro vite e su quelle delle loro madri e sorelle. Sono venute alla luce storie di desideri repressi e di ribellione all’ordine maritale, spesso soffocate nel confessionale. Il rapporto tra donne e preti si è rivelato, in molti casi, un sistematico tradimento da parte di questi della fiducia che scaturiva da una profonda spiritualità femminile. Invece di offrire supporto spirituale, molti preti hanno cercato di riportare le donne all’obbedienza, costringendole a sottostare a dettami morali estranei all’amore materno.

Il prezzo più grande pagato dalle donne nel patriarcato è stata la scissione tra mente, corpo ed emozioni. Una scissione tra sé e il proprio desiderio autentico che ha generato afasia, follia e depressione trasmesse a volte di madre in figlia.

Da questa consapevolezza è nata la necessità e la determinazione di interrompere«linea del danno»(Mariangela Mianiti).

I miei guadagni grazie a questa pratica sono stati grandi: primo tra tutti la “redenzione” del rapporto con mia madre e il superamento del senso di colpa nei suoi confronti. L’indagine sulla mia storia ha svelato una risorsa incredibile: l’impronta originaria e gioiosa lasciatami da mia madre. Essere stata la sua primogenita desiderata mi ha donato, fin dall’inizio, l’amore per me stessa e per lei. Questa eredità fondamentale è stata la mia ancora di salvezza e la forza che mi ha permesso di superare le grandi difficoltà incontrate nel corso della vita.

La pratica della storia vivente, unita alla scrittura generativa in relazione con Luciana Tavernini, mi ha aiutata ad acquisire una maggiore capacità di partire da me, di dare fiducia e credito alla mia esperienza. Come un parto con la levatrice, questa pratica ha generato in me crescita e libertà, indipendenza simbolica.

A conclusione di un vivace e profondo dibattito, è emerso che la Storia Vivente è un processo di trasformazione che parte dalle singole esperienze e punta a significati universali.

Di fronte alla domanda su come iniziare la pratica di Storia Vivente Katia Ricci della Comunità di Foggia ha offerto una risposta incoraggiante e concreta: è piuttosto facile cominciare e non è necessario iniziare subito a scrivere. L’avvio della pratica richiede essenzialmente una spinta interiore e la volontà di far emergere il proprio vissuto profondo. Il requisito fondamentale per la Storia Vivente è la creazione di un patto di fiducia profonda tra le partecipanti che permetta di aprirsi e narrare senza avere la paura di essere giudicate. Questo ambiente favorevole, in un certo senso “protetto”, consente di scavare in profondità, trasformando l’atteggiamento verso i problemi e superando sentimenti come la vergogna e la rabbia in amore e desiderio di riscatto per la storia propria e quella materna.

Nonostante il rischio di dover affrontare il dolore che emerge dai nodi del passato, le partecipanti hanno sottolineato che iniziare è sempre possibile. Questo percorso, guidato dall’attenzione all’altra e dalla ricerca di una parola “ispirata”, si rivela un’invenzione linguistica e simbolica che non solo scioglie i grovigli personali, ma offre nuove lenti per leggere e trasformare la storia collettiva, rendendo ogni donna più capace di stare al mondo e più libera.

Data la novità che la pratica della storia vivente ha portato alla trasformazione del simbolico per la storia, segnaliamo i seguenti testi come approfondimento:

1. Marirì Martinengo, La voce del silenzio. Memoria e storia di Maria Massone, donna “sottratta”. Ricordi, immagini, documenti, ECIG, Genova 2005. m

Per cogliere la differenza tra autobiografia, storia personale e storia vivente:

2. Comunità di storia vivente di Milano (a cura di), La pratica della storia vivente, DWF 95/2012

3.Le Vicine di casa (a cura di), La pratica della storia vivente, Atti dell’incontro del 26 settembre 2014, Mestre 2015; ora con prologo di María Milagros Rivera Garretas: www.ub.edu/duoda/bvid/text.php?doc=Duoda:text:2016.12.0010 [in italiano e spagnolo]

4. Comunità di storia vivente di Milano (a cura di), La spirale del tempo. Storia vivente dentro di noi, Moretti & Vitali, Bergamo 2018.

Per la pratica di scrittura:

5. Comunità di storia vivente SAMI (a cura di), Un irriverente desiderio femminile. Leggere e scrivere storia vivente, s.i.p., Milano 2023.

(Versione rivista dell’articolo pubblicato su A&P Autogestione e Politica Prima, trimestrale di Azione MAG, n.4, settembre-gennaio 2025/26.)