Da scienziata mescolo saperi e in-disciplina, gli enigmi della vita si affrontano così
Cristina Pozzi
3 Ottobre 2025
da Sette
L’AI (e non solo) nasce da un incontro che si è sedimentato fra matematica, informatica, neuroscienze, filosofia… Marilù Chiofalo*, fisica quantistica, spiega perché «uscire dal modello unico» è l’approccio giusto
Il principio di sovrapposizione quantistica dice che una particella può trovarsi in più stati contemporaneamente: zero e uno, qui e lì. È una delle basi della meccanica quantistica, ed è anche la prova di quanto questa scienza sia distante dall’evidenza dei nostri sensi e dal modo consueto di comprendere il mondo. Eppure, incontrando Marilù Chiofalo si ha l’impressione che quell’astrazione, che ci è sempre sembrata un paradosso inconcepibile, trovi una forma viva, concreta, proprio davanti a noi.
Un dottorato di ricerca alla Scuola Normale, professora di Fisica della materia condensata all’Università di Pisa, il suo approccio alla ricerca è interdisciplinare, così come assume diverse dimensioni il suo modo di insegnarla e raccontarla, tra radio, video, riviste, attività per le scuole e molto altro. Parlare con lei è come intraprendere un viaggio che non conosce confini: scienza, arte e cultura si intrecciano senza mai separarsi.
«Da piccola correvo scalza tra i torrenti della Magna Grecia, osservavo le stelle, mi sbucciavo sempre le ginocchia, giocavo a pallone (da centravanti) e a pallavolo (facendo punto in tre tocchi di cui uno, il mio, come alzatrice), suonavo strumenti, fondavo associazioni (per l’ambiente, contro la mafia) e pensavo che la fisica è la poesia della matematica». La sua curiosità non può essere contenuta, si muove in tutte le direzioni e non è rivolta soltanto ai contenuti, ma al come esplorarli. È affascinata soprattutto da questo: dai percorsi, dalle prospettive, dai linguaggi. E il suo preferito è quello di chi sa stare tra le discipline, senza lasciarsi ingabbiare da una sola. Così, seguendo un cammino non convenzionale, Marilù Chiofalo si è ritrovata a studiare tecnologie quantistiche per esplorare il cosmo e la mente, e a inventare nuove realtà grazie alle simulazioni al computer.
«La scienza del futuro che voglia svelare i grandi misteri dell’umanità come l’universo, la mente, la coscienza, è necessariamente interdisciplinare e connettiva: richiede puzzle di competenze e risorse, connessione fra astrazione ed esperienza, in ambienti di ricerca complessi per dimensioni, dinamiche ed enorme qualità di diversity», dice. E in effetti, se pensiamo all’Intelligenza Artificiale di cui parliamo per il suo potenziale trasformativo, non possiamo non notare che non nasce da una sola disciplina, ma è frutto di un incontro di saperi molto diversi che si sono intrecciati nel tempo: matematica, statistica, informatica, neuroscienze, psicologia cognitiva, ingegneria, linguistica, filosofia, e scienze sociali ed economiche. Se adottiamo un atteggiamento interdisciplinare ci accorgeremo che «ciò che appare distante non lo è perché lo sguardo di chi osserva, che è uno, collega e associa, manipola e trasforma. Così nasce qualcosa di nuovo, capace di contenere e persino riconciliare le contraddizioni».
Ma nel mondo accademico non è facile assumere questo atteggiamento. Come sottolinea Marilù Chiofalo: «Se lavori al confine tra due o più discipline, per il mondo non sei specializzata né in una né nell’altra.» Per chi vuole intraprendere un percorso come il suo, la strada è più faticosa. La svolta è arrivata con l’incontro a Labodif, il primo istituto di ricerca e formazione sulla differenza, fondato dalla regista Gianna Mazzini e dall’economista Giò Galletti. Lì, racconta, ha imparato come riconoscere le donne che sanno tracciare nuove direzioni. «In fisica questa sarebbe un’accelerazione. A Labodif le chiamiamo madri».
La sua interdisciplinarità si è trasformata in una in-disciplina. «Essere in-disciplinata per me non è solo costruire ponti tra saperi diversi. È ricomporre la bambina di allora con la donna che sono oggi». Vuol dire affrontare prima di tutto una trasformazione interna, più che un conflitto con l’esterno e con le regole del sistema. Vuol dire imparare a guardarsi dentro e avere il coraggio di mostrarsi interamente, in tutto ciò che si fa.
Un’urgenza, soprattutto nel mondo della scienza, dove di donne ne «entrano poche, e restano meno». C’è ancora molto da fare. Essere una ricercatrice significa affrontare una fatica doppia: muoversi dentro un sistema che porta impresso un punto di vista maschile e che misura quasi tutto con un metro valido, certo, ma che non può essere l’unico. Lo sottolinea con chiarezza: «Il problema non è che esista un metro maschile. Il problema è quando quel metro diventa l’unico possibile. L’auspicio è che più metri possano convivere».
L’attuale metro rischia di incastrarci in un meccanismo escludente, soprattutto per le donne. «Capita spesso», mi dice Marilù Chiofalo, «che le donne non vengano viste. O, se viste, non vengano riconosciute. Anche per il modo diverso con cui fanno le cose.»
La scienza, dopotutto, è fatta da persone. Eppure, ce ne dimentichiamo. Dove ci sono persone che fanno scienza, ci sono sempre due dimensioni: quella oggettiva, legata ai risultati della ricerca; e quella soggettiva, legata al percorso unico e irripetibile con cui si arriva a quei risultati. È proprio questa dimensione soggettiva che andrebbe valorizzata. Non solo per le donne, ma per tutti. Perché abbiamo bisogno di nuovi metri narrativi, capaci di dare spazio e valore a questa diversità.
Alle donne, dice, servono due cose. La prima è decolonizzarsi: disimparando quel modo di fare ordine astratto tra i contenuti e smettendo di misurarsi con il metro altrui, di vivere nella schiavitù della perfezione che impone di sapere sempre più di chiunque altro. La seconda è stabilire un nuovo metro. E un metro nuovo non nasce mai in solitudine: prende forma solo nella risonanza con altre donne. Questa, mi dice, è l’autorità femminile: allargare gli spazi, aprire il campo del possibile e del dicibile. Lo dimostrano due ricerche che Marilù Chiofalo cita con entusiasmo. Entrambe sono nate grazie all’accoglienza e alla generosità di altre donne, ricercatrici in campi diversi, che hanno condiviso con lei l’idea di una collaborazione “in-disciplinata”. La prima utilizza la meccanica quantistica per simulare sistemi complessi come quelli del nostro cervello. Un esempio? La percezione della numerosità: quella capacità straordinaria di guardare un gruppo di persone e sapere quante sono, senza doverle contare a una a una. La seconda prova a ridefinire il tempo.
Un’impresa che sembra impossibile: mettere insieme la visione della meccanica quantistica, dove il tempo è solo un parametro, e quella della relatività, dove invece il tempo è un attributo fondamentale. In altre parole, cercare un modo di pensare il tempo… senza tempo.
Ma come possiamo diventare anche noi un po’ (in)disciplinate, a modo nostro? Ecco i consigli che offre alle sue studentesse: «Se hai un desiderio, non rinunciarvi mai. Cerca madri, come una rabdomante cerca l’acqua nel deserto. E, soprattutto, vai tu stessa nella realtà. Non mandare la tua controfigura, non mascherare la tua natura: così non lascerai indietro pezzi di te.»
Marilù Chiofalo sembra vivere in un tempo senza tempo, come quello che studia. E, in effetti, è insieme la bambina che è stata, la ragazza, la donna di oggi e quella di domani. Tra le tante cose che ci consegna, forse la più preziosa è questa: la possibilità di assumere una postura quantistica nei confronti del grande gioco della vita. Una postura che rifiuta di incasellarsi in uno zero o in un uno, in un qui o in un lì. Che non esclude, ma accoglie. E che, proprio per questo, ci rende massimamente libere.
(*) Marilù Chiofalo è professora di Fisica della materia condensata all’Università di Pisa. Nata nel 1968 a Reggio Calabria, ha praticato sport a livello agonistico (pallavolo, calcio, tennistavolo), studiato flauto al Conservatorio, è appassionata di giochi di ruolo, fumetti e fantasy.