Gaza, le madri dei soldati israeliani: “Ritiriamoci subito dalla Striscia”
Manuela Dviri
16 Agosto 2025
da Il Fatto Quotidiano
Una vasta coalizione di madri e donne – composta da quindici organizzazioni femminili tra cui Madri in prima linea, Donne contro la violenza, Donne fanno la pace e Costruttrici di alternativa, ha presidiato da domenica 10 agosto un campo di protesta vicino al confine con la Striscia di Gaza per chiedere la fine della guerra, il ritiro dei soldati e il ritorno degli ostaggi.
Sullo sfondo il rumore delle bombe a pochi km
Sotto il sole cocente e con un caldo torrido, sullo sfondo il rumore delle esplosioni nella vicina Gaza, le donne si sono alternate tra marce, incontri con ex alti ufficiali e momenti di testimonianza diretta. Rifiutano discorsi preparati e parlano con la forza dell’esperienza personale, ribadendo che “una madre è la sostanza più forte in natura” e che il solo mandato del governo è salvare vite, non di prolungare il conflitto. Insieme hanno organizzato turni, gestito logistica e comunicazione, e trasformato la protesta in alcuni giorni di presenza costante, visibile e determinata. Per loro non è solo attivismo politico, ma una missione materna: proteggere i figli, fermare una guerra considerata inutile e pericolosa, e reclamare un futuro sicuro per tutti. Per molte anche vedere tornare a casa sani e salvi i propri figli.
Fermeremo il conflitto
Una di loro è Ayelet Hashahar che lunedì ha trascinato le sue madri del gruppo “Madri in prima linea” per un chilometro, nella notte, fino ad entrare in una postazione militare dell’Idf, dove naturalmente è assolutamente proibito l’ingresso di civili. Ai giovani soldati all’interno hanno detto, prima di essere portate via dalla polizia, “siamo venute a dirvi che non permetteremo che la guerra continui”. “E loro – racconta – ci hanno salutato con un applauso e il giorno dopo ci sono anche venuti a trovare per discuterne con noi, non in tutto erano d’accordo, ma hanno molto ammirato la nostra determinazione”. E poi ci sono anche le “madri contro la violenza”. E il cuore e la mente del gruppo è Ketty Bar, 68 anni, madre single di un’unica figlia che vive a New York , non certo il classico tipo della “Madre sempre sveglia”, che è il nome di un altro gruppo delle madri dei soldati.
Ketty torna indietro coi pensieri: “Ricordo, subito dopo la Guerra dei sei giorni, ero una bambina, quando vidi per la prima volta la città di Hebron e il suk con i vetri e le ceramiche colorate… Io lo sapevo che quella non era Israele. Era l’inizio dell’occupazione. Negli ultimi cinque anni abbiamo e ho toccato con mano la profondità lacerante della tragedia nata allora. Non siamo più di fronte a guerre tra Stati, come fino al 1973. Oggi i nostri soldati combattono contro un nemico senza confini: il terrorismo. E ciò che accade in queste ore ne è la prova più amara”.
Vogliamo perdono reciproco e la Palestina accanto
“Madri contro la violenza”, di cui faccio parte, è nata nel 2020. Da allora non abbiamo mai smesso di schierarci: contro ogni violenza, ovunque e da chiunque provenga. Aiutiamo chi soffre, con incontri online, gruppi di studio, progetti comuni. Studiamo soluzioni. Ascoltiamo i nostri soldati quando faticano a raccontare i loro traumi, ma siamo state anche tra le prime a sostenere le giovani attiviste che, in silenzio, tenevano in mano la foto di un bambino palestinese ucciso. Non c’è contraddizione: la compassione non ha bandiere. Crediamo nella nascita di uno Stato palestinese accanto al nostro e in ogni passo possibile verso la riconciliazione. Vogliamo il perdono reciproco. Vogliamo giustizia, e dalla giustizia vogliamo veder nascere la pace. Ambiziosa come idea, ma non impossibile, in questi tempi in cui sembra non ci sia speranza per nessuno.
(Il Fatto Quotidiano, 16 agosto 2025)