“La scrittura come un coltello” di Annie Ernaux
Franca Fortunato
21 Giugno 2025
da L’Altravoce Il Quotidiano
Annie Ernaux, Premio Nobel 2022, è una delle più grandi scrittrici del nostro tempo i cui libri in Italia sono stati tradotti e pubblicati solo a partire dal 2011 grazie a Lorenzo Flabbi e all’allora piccola casa editrice L’Orma. L’ultimo suo libro, “La scrittura come un coltello”, è una lunga intervista a lei dello scrittore franco-messicano Frédéric-Yves Jeannet, realizzata nel corso di un anno (2001-2002) via mail. Un dialogo a distanza sulla “pratica di scrittura”, sui libri pubblicati, sulla donna Ernaux, femminista di sinistra radicale, che non si pensa «mai come scrittrice, soltanto come qualcuno che scrive, che deve scrivere» perché ne sente la necessità e il desiderio. «Non aver fatto della scrittura il mio mestiere, non aver bisogno di pubblicare in fretta: posso prendermi il tempo di assecondare il mio desiderio». Scrivere a partire dal proprio desiderio la rende libera. «Molto presto mi sono resa conto che avrei potuto scrivere solo nella più completa libertà. Se ho potuto proseguire è perché ho conservato il mio lavoro di insegnante». L’interlocuzione con lo scrittore diventa un «esame di coscienza letteraria» che le dà la consapevolezza di «scrivere per incidere come la lama di un coltello nella realtà del mondo, per sovvertire con le parole le visioni dominanti» perché scrivere, per lei, è un’«attività politica», ossia «qualcosa che può contribuire al disvelamento e al cambiamento del mondo, oppure, al contrario, rafforzare l’ordine sociale e morale esistente». Una scrittura, la sua, tra «letteratura autobiografica, sociologia, storia» che fuoriesce dai canoni letterari della finzione e della ricerca del bello e fa della memoria «non quella ufficiale ma quella che ciascuna di noi costruisce semplicemente vivendo» un “documento storico” e delle sensazioni provate una fonte di realtà e verità. «Tutto – le persone, me stessa, le mie idee – mi appare, ed è, storia». «Il mio metodo di lavoro si basa essenzialmente sulla memoria che è “materiale”, mi riporta alla mente cose viste, udite, gesti, episodi con la massima precisione. Sono il materiale dei miei libri e le “prove” stesse della realtà. Cerco di produrre la sensazione di cui, per me, sono portatori l’episodio, il dettaglio, la frase. Questo vuol dire che la sensazione è un criterio di scrittura, un criterio di verità». Salvare dall’oblio «esseri e cose» di cui è stata «attrice, fulcro o testimone, in una società e in un tempo specifici» è la grande motivazione che la spinge a scrivere, un modo per salvare la sua stessa “esistenza”. Tutto ebbe inizio quando da bambina leggeva i romanzi a puntate sull’“Écho de la mode” e scriveva lettere a un’amica immaginaria, seduta sui gradini della scala, nella cucina stretta tra il bar e la drogheria dei suoi genitori. Il dialogo tra la scrittrice e il suo interlocutore procede immergendosi nei suoi libri pubblicati fino ad allora quali: “Gli armadi vuoti”, “Ciò che dicono o niente”, “La donna gelata”, “Il posto”, “Una donna”, “La vergogna”, “L’evento” “Non sono uscita dalla mia notte”, “Perdersi”, “Passioni semplici”, “L’occupazione”. Poi, ha continuato a scrivere e pubblicare senza essere «in rottura con i precedenti», ma esplorando «altri territori». “Gli anni” e “L’altra figlia” sono i due libri pubblicati dopo l’intervista e tradotti e pubblicati in Italia, a distanza di anni. È vero, come lei dice nell’intervista che «ci sono, e questo solo conta, libri che sconvolgono, aprono la mente, generano pensieri, sogni e desideri, ci accompagnano, e a volte fanno venire voglia di scrivere», come i suoi libri, che vanno letti e conosciuti. È questa la motivazione che mi ha spinta a decidere di riservare questa rubrica, a partire dalla prossima settimana e per tutta l’estate, ad alcuni dei suoi libri che mi/ci accompagneranno sotto l’ombrellone.
(L’Altravoce Il Quotidiano, rubrica “Io, donna”, 21 giugno 2025)