Esserci intera lì dove c’è la passione politica
Vita Cosentino
19 Giugno 2025
Sono entrata in Libreria a causa del Sottosopra verde e spiego il perché. All’inizio degli anni Ottanta il movimento delle donne a Milano era rifluito: sciolti quasi tutti i gruppi di autocoscienza, scomparsi collettivi, come anche il coordinamento cittadino e le assemblee e le manifestazioni di piazza. Ci incontravamo nelle case e alle feste. Io come tante altre vivevo una scissione: da una parte avevo preso coscienza come donna e dall’altra ero molto attiva nel mio posto di lavoro, volevo protagonismo. Le due cose non stavano insieme: a scuola o nella sezione sindacale il mio essere donna era del tutto irrilevante. Sono stata conquistata dal Sottosopra verde e dalla sua proposta di sessualizzare i rapporti sociali proprio perché rispondeva a questo mio bisogno di esserci intera, lì dove c’era la mia passione politica.
In Non credere di avere dei diritti si dice che la cosa che sconcertava del Sottosopra verde era «il ragionare sessuato sul mondo» (p.142). Sì, sconcertava, ma è stato proprio ciò che ha conquistato moltissime femministe di allora, che come me avevano passione di stare nel mondo. A quei tempi in Libreria e negli altri luoghi delle donne molte erano insegnanti (oggi non è più così) e in un tempo breve sulla spinta del Sottosopra verde è nato un movimento di insegnanti femministe in molte scuole sparse in tutta Italia: ha preso il nome di Pedagogia della differenza. Questo è capitato anche nei tribunali, nelle università, negli studi di architettura, nel sindacato… C’è un libro pubblicato da Pratiche nel 2000: Duemilaeuna. Donne che cambiano l’Italia: dà conto di tutto questo intenso movimento trasformativo che ha avuto un altro segno, quello delle pratiche politiche. Posso affermare che il Sottosopra verde ha operato un rilancio del movimento delle donne in quegli anni, ma con modalità che non sono state viste perché non erano quelle già conosciute. Infatti nella narrazione corrente gli anni Ottanta e Novanta sono visti come anni di assenza o morte del femminismo. Invece io li considero gli anni più produttivi e inventivi, soprattutto per il femminismo della differenza. Io amavo spendermi nel sociale, sono stata una delle promotrici dell’autoriforma della scuola che era un movimento di donne e uomini di ampiezza nazionale, ma sono ben consapevole che tutto questo non sarebbe potuto succedere senza l’esistenza della Libreria anche come luogo materiale oltre che di pensiero. Quegli anni di sperimentazione di pratiche politiche sono stati un andirivieni costante tra quello che si viveva sui luoghi di lavoro e le riunioni che si facevano ogni giovedì in Libreria, dedicate alla riflessione sulle pratiche. Poi si andava a mangiare insieme: un gruppo al Cicip&Ciciap con Luisa Muraro e un altro gruppo in pizzeria con Lia Cigarini e si continuava a discutere. Tante idee sono nate intorno a un tavolo apparecchiato. L’esistenza di un luogo fisico è stata fondamentale, e anch’io ho sentito la necessità di contribuire a farlo vivere, facendo un turno finché ho potuto… c’è un guadagno a stare in Libreria che va visto: si offre tempo e lavoro gratuito e si prende molto sia come pensiero sia come ricchezza di relazioni.
Al cuore della proposta politica del Sottosopra verde c’è l’affidamento: «La significanza originaria della differenza sessuale si attiva praticando la disparità tra donne e affidandosi di preferenza a una propria simile per affrontare il mondo» (Non credere di avere dei diritti, p.138).
In quegli anni si ragionava della difficoltà per una donna di assumere la posizione di soggetto. Lo aveva rilevato Luce Irigaray, Patrizia Violi aveva pubblicato L’infinito singolare e ricordo che anche in Libreria costituimmo un piccolo gruppo di lavoro, voluto soprattutto da Francesca Graziani, e pubblicammo con Gabriella Lazzerini Eppure la lingua c’è madre (Cooperazione Educativa, maggio 1990). In quel testo portavamo avanti una ricerca linguistica approfondita per affermare che la soggettività femminile si costituisce con la relazione con l’altra, che è donna.
Erano i primi passi e penso che l’affidamento, una pratica che diventa un modo di stare al mondo, sia stato ciò che ha permesso a molte giovani donne di allora di costituirsi in soggettività femminile, autonoma dal maschile. Certo ai tempi la parola “affidamento” suscitava anche paure: paura di tornare nella fusionalità tra donne, paura di annullarsi in un rapporto di dipendenza. In gran parte queste paure erano legate al fatto che molte giovani di allora – io per prima – avevano un rapporto difficile con le loro madri. Oggi siamo in una situazione molto cambiata, quegli ostacoli sembrano non esserci più: il rapporto madre-figlia corre su altri binari, come ci ha raccontato Emma Ciciulla sulle pagine di Via Dogana 3 del numero La forza delle donne (giugno 2022), e d’altro canto non si può certo dire che le donne oggi non siano soggetti.
Eppure.
Da uno scambio tra Luisa Muraro e Jennifer Guerra pubblicato su Sette1 ho capito quali sono le contraddizioni da affrontare oggi per costituire legami tra donne che possano dare libertà e forza, come è stato con il rapporto di affidamento. La prima questione è che nel femminismo egemone tra le giovani la soggettività tende a scivolare nell’io individualistico «in cui a contare è il successo della singola donna»; la seconda, ancora più determinante, è che le giovani non dispongono di una dimensione simbolica del materno, che così resta confinato al solo ambito biologico.Dice infatti Jennifer Guerra: «Materno è una parola che a noi giovani fa un po’ paura, perché ci vediamo – forse sbagliando – un’esaltazione della maternità e la creazione di una gerarchia tra donne, prima le madri e poi le non madri». Risponde Luisa Muraro: «C’è una maternità come fatto e una maternità come dispositivo simbolico, sono due cose diverse. Io stessa sono una madre che non si identifica con la figura della madre. La dimensione della maternità non è mai assoluta e questo fa sì che si possa anche non essere madri per partecipare a questo ordine, che mette al mondo la forza femminile». Ascoltare e comprendere la radice delle obiezioni aiuta a intendersi e a entrare in relazione.