Digitare non è mai neutro: sta sparendo l’umano
Maria Nadotti
16 Giugno 2021
Vorrei ripartire da quello che dicevano Francesca e Sara Bigardi. In particolare, Sara ha detto una cosa di grande interesse rispetto al suo lavoro: ha definito “parcellizzazione del processo produttivo” quello che le veniva richiesto. E la sua resistenza, la sua pratica politica è stata di ricomporlo, quel processo,di andare a vedere che cosa c’era alla fine. Inevitabile pensare alla catena di montaggio e al fordismo, ma che tipo di fordismo è in corso oggi? Io sono molto inquieta e volevo condividere con voi alcune ipotesi.
Oggi non solo è stato fatto sparire il corpo delle persone: il confinamento, la dichiarata pericolosità di ognuna/o di noi ha messo tendenzialmente a rischio la relazione. Ma forse sta succedendo qualcosa di ancora più grave, sta sparendo l’umano come noi lo concepivamo. L’umano come soggetto pensante, critico, e con la capacità di decidere qualcosa, per sé e per l’intorno. Secondo me è in corso una terrificante mutazione di questo umano. E allora ci tengo ad agganciarmi al discorso che ha fatto poco fa Chiara Zamboni sulla governance. O teniamo insieme il ragionamento sull’uso che noi possiamo fare del digitale e quello che qualcun altro sta decidendo per noi, oppure ci smarriamo. Non si tratta tanto di capire come usare al meglio le piattaforme, come trasformarle in luoghi di intervento politico, in luoghi di relazione, si tratta di capire che cosa c’è a monte.
E per capirlo non possiamo distinguere tra digitalizzazione, smaterializzazione, covid, trattamento disciplinare del covid, campagna vaccinale… Si tratta di riportarle alla questione della governance e al grandissimo inganno di cui già parlava Chiara: ci annunciano che stiamo partecipando a una decisione, mentre l’unica partecipazione prevista per singoli individui o per gruppi di individui è stare al nuovo patto, stare al nuovo copione.
A me piacerebbe che potessimo ragionare di questo tenendo insieme le dimensioni piccole, private, quelle un po’ più grandi, di gruppo, e la direzione verso la quale sta muovendo il mondo. Qualcuna di voi all’inizio, credo Giovanna, ha detto che lei non ha patito molto la situazione del confinamento, che non le ha cambiato granché, e qualcun’altra ha parlato di “amicizia con le macchine”. Mi permetto di fare questa ipotesi inquietante, che dietro a questo adattarsi al nuovo che avanza, ci sia il pericolo di lasciar succedere tutto, di adattarsi a tutto: correre a vaccinarsi, correre a comprare un altro computer, correre a riorganizzare la casa in modo da poter ospitare la Dad, correre a rinunciare allo spazio privato per far spazio allo smart working… senza chiedersi da dove venga tutto questo.
Credo che tutti quanti sappiamo che la tecnologia era matura, pronta per tutto questo. Quello che non era pronto, e speriamo non sia ancora pronto, è l’umano. Allora, che tipo di argine può fare l’umano, e come? Oppure ci lasciamo trascinare? E quindi i più fragili escono di scena, o perché muoiono o perché sono obsoleti, non stanno al passo. E quindi avanza qualcosa di nuovo, ma cosa esattamente? Tutto questo ha invaso prepotentemente il mio spazio onirico. Di notte mi capita sempre più di frequente di fare sogni ‘tecnologici’ e sono sempre incubi: mi aggroviglio nelle parole, nei file… Quando il nuovo che avanza penetra così profondamente nello spazio che dovrebbe essere più intimo, nella psiche individuale (e, forse, in quella collettiva) penso sia il momento non di provare a usare meglio le piattaforme… ma di fare un argine politico a quello che sta succedendo. Perché non tutto quello che avviene nella storia va lasciato avvenire. Pensiamo alla Germania negli anni Trenta, ai tanti esempi storici. Che cosa fanno i singoli soggetti e i gruppi di soggetti se capiscono che sta succedendo qualcosa che buono non è, cosa fanno?