Non uno di più
Franca Fortunato
12 Aprile 2025
da L’Altravoce il Quotidiano
Stefano Argentino, 27 anni, ha ucciso per strada Sara Campanella, sua compagna di corso all’università di Messina, perché non lo voleva. Mark Antony Samson, 23 anni, neolaureato in architettura, ha ucciso l’ex fidanzata Ilaria Sula, 22 anni, il cui corpo è stato ritrovato in una valigia in un dirupo. Due femminicidi di giovani donne per mano di giovani maschi, dopo Filippo Turetta, 22 anni, condannato all’ergastolo per aver ucciso Giulia Cecchettin, sua coetanea e compagna di corso. Di che cosa ci parlano queste uccisioni? Ci parlano, prima di tutto, del fallimento dei padri, degli uomini, nei confronti di una generazione di maschi nata e cresciuta, a differenza della loro, in un tempo di libertà femminile e non gli hanno saputo insegnare come rapportarsi a una ragazza che non vuole condividere con loro la sua vita, come Giulia, Ilaria e Sara. E così, privi di figure libere maschili, questi giovani uomini fanno propria la cultura patriarcale, ormai fuori tempo, del possesso e del dominio e arrivano all’estrema violenza quando una ragazza li respinge, li lascia o li esclude dalla sua vita. Una cultura di cui le ragazze, nate libere grazie alle loro madri reali e simboliche, ne conoscono la distruttività sulle loro vite e la paura sui loro corpi. Dopo ogni femminicidio vediamo donne, ragazze, che protestano, che scendono in piazza e giovani uomini che si uniscono a loro per “fare rumore” e gridare la loro rabbia e il loro dolore. Quando un uomo uccide una donna colpisce nel profondo del proprio essere tutte le donne. E gli uomini? Cosa provano, oltre al dolore e alla rabbia per la vittima? Cosa sentono i giovani maschi quando un loro coetaneo uccide una loro compagna? Dove ne parlano? Con chi ne parlano? In che modo il loro dolore e rabbia diventano forza di trasformazione di sé? Domande a cui solo loro possono rispondere. Osservo che nelle manifestazioni nessun ragazzo o uomo adulto ha mai gridato “non uno di più” uomo assassino, ma tutti “non una di meno”, donna assassinata. È arrivato il tempo di capovolgere l’immaginario nelle piazze, che siano gli uomini a manifestare come atto di assunzione di responsabilità nei confronti delle nuove generazioni di maschi. Che si assumano collettivamente, come fanno singolarmente molti da tempo, il lavoro politico nel quotidiano della trasformazione di sé perché diventi senso comune. È solo da questa porta stretta che può passare la felicità per nuove relazioni tra uomini e donne, tra ragazzi e ragazze. C’è una miniserie britannica su Netflix che ha scosso il mondo perché ci mette davanti a uno scenario ancora più inquietante. Si tratta di “Adolescence”, ideata da Jack Thorne e Stephen Graham, il cui regista e protagonista, Philip Barantini, si è ispirato a un fatto veramente accaduto. Per come la vedo io, è di uomini che parla innanzitutto, di padri e di figli, di docenti ed allievi, di gruppi social di uomini misogini che nutrono giovanissimi di odio contro le femministe. Jamie, un ragazzino di 13 anni accoltella la sua compagna di scuola Katie Leonard, che lui definisce “una bulla di merda”. Agli occhi degli adulti è un “bravo ragazzo”, studioso, intelligente e nessuno, a partire dal padre e dalla madre, immagina il mondo parallelo dei social, fatto di pornografia violenza e odio verso le donne, dentro cui lui, come tanti adolescenti, vive e ne ha l’animo devastato. Ragazzini fragili, abbandonati alla solitudine, alle frustrazioni che generano rabbia, aggressività e violenza. Una generazione di giovanissimi forse in parte già persa che rischia domani di generare altri Turetta, Argentino e Samson se, oggi, il mondo degli adulti, degli uomini innanzitutto, non ascolta e accoglie la richiesta di aiuto di Jamie alla sua psicologa. È questo il messaggio finale della miniserie.
(L’Altravoce il Quotidiano, rubrica “Io Donna”, 12 aprile 2025, con il titolo “Che cosa sta succedendo tra ragazzi e ragazze?”. L’Altravoce il Quotidiano è il Quotidiano del Sud che ha cambiato nome)