Perché a puntare sulla cura ci si guadagna anche
Angela Condello*
12 Aprile 2025
da Corriere della Sera – La 27esimaora
Immaginiamo una comunità ideale che non è basata sui modelli socioeconomici dominanti, in cui il lavoro di cura viene condiviso equamente e in cui la famiglia è considerata una vera e propria questione sociale. Immaginiamo, poi, che in questa comunità ciascuno partecipi della vita collettiva condividendo ciò che produce e ciò che sa fare e che il denaro sia utilizzato solo in situazioni eccezionali. Sembra la descrizione di un’utopia? Un po’ sì, specialmente per chi abita quotidianamente i grandi nuclei urbani.
Ora, tenendo ferma l’ipotesi di questa comunità ideale, andiamo sulle Madonie, a Petralia Sottana. In questo luogo dell’entroterra siculo, da circa un anno e mezzo un’associazione molto attiva sul territorio collabora con un gruppo di ricerca dell’Università di Palermo per studiare il rapporto fra il denaro, i modelli economici alternativi, il valore del lavoro di cura e gli orizzonti del benesseresociale futuro, orizzonti che passano da domande come: chi si occupa dei bisognosi di cura (bambini e anziani)? Chi produce i beni essenziali al sostentamento?
La scelta di studiare una comunità situata proprio lì non è stata casuale: nel territorio delle Madonie, infatti, sopravvivono forme di scambiocome il dono e il baratto. Qui persiste una sapienza tramandata fra generazioni: sono regolarmente organizzate attività di mutuo aiuto per gestire e ristrutturare le abitazioni, coltivare e mantenere i terreni, provvedere alla cura di animali, anziani, malati e bambini; sono inoltre attivi progetti di permacultura e più recentemente sono state promosse delle azioni congiunte per prevenire gli incendi.
Chi ha un po’ di terra, spesso dona fino al 70-80% di quello che coltiva; è in via di costituzione un’associazione fondiaria per censire le terre incolte e distribuirle a chi ne ha bisogno in modo da moltiplicare la richiesta di lavoro, le produzioni agricole e così da rigenerare terre abbandonate da tempo.
Per promuovere questo modello socioeconomico alternativo è stata organizzata una «Fiera generosa»: nel tempo in cui al giuramento del presidente americano Donald Trump siedono multimilionari accanto ai rappresentanti delle istituzioni politiche e in cui il denaro sembra l’unico strumento per soddisfare i bisogni (baby-sitting, baby-parking – basta che non sia baby-caring), l’esperienza di Petralia Sottana (che coinvolge anche Polizzi Generosa) presenta un’alternativa basata sulla cura.
La parola chiave è la cura intesa come lavoro indirizzato al mondo a loro più vicino, ai loro prossimi e anche a loro stessi:la cura qui è un tema politicoe non un problema da risolvere ed è a partire dal suo valore che in questa comunità ogni esistenza è pensata come processo in divenire e che le istituzioni sono immaginate come processi partecipati. Alla «Fiera generosa» chiunque era il benvenuto: gli anziani, i bambini, i richiedenti asilo, le persone non binarie. Chiunque, a mani piene o a mani vuote, ha potuto ricevere oppure offrire abiti, bracciali, limoni, marmellate, massaggi, racconti, consigli per l’invecchiamento gioioso.
Il gruppo di ricerca ha osservato che al diminuire del denaro in circolazione sono migliorate e aumentate le relazioni personali. Così il lavoro di cura, solitamente gestito dalla famiglia (soprattutto le donne), è diventato più leggero perché la famiglia è considerata una questione di tutti: i bambini, i malati e gli anziani sono dei perni essenziali e non delle zavorre da gestire fra una commissione e l’altra.
Più il dono si fa costumecondiviso, più si sostituisce la vendita con lo scambio – un po’ per abitudine e un po’ per principio – più si rafforzano comunicazione e fiducia al di là della contabilizzazione delle prestazioni: si fa qualcosa senza aspettarsi un riscontro immediato, perché si sa che il bene ritornerà in qualche forma. Quel che sembra un esperimento sociale (ma non lo è) sta generando anche altri effetti. Da qualche tempo a questa parte, per esempio, quando una persona soffre di problemi di ansia o depressione, gli psicologi del servizio sanitario nazionale consigliano di entrare a far parte delle attivissime associazioni locali: il consiglio, insomma, èfare qualcosa con gli altri o per gli altri, senza focalizzarsi esclusivamente sulle ragioni del proprio malessere o sulla propria storia famigliare.
Non solo la famiglia, ma anche i malesseri individuali in questa prospettiva diventano infatti una questione sociale e pubblica. Pubblico è in effetti il grande spazio in cui queste vite si stanno riallacciando a un ritmo più adeguato. Ora alziamo lo sguardo da questa utopia e torniamo a guardare il tema da una prospettiva più generale. A fronte dei dati della International Labour Organization secondo cui il lavoro di cura tiene fuori dal mercato del lavoro708 milioni di donneo dell’Agenzia europea per la parità di genere sul faticoso rientro al lavoro dopo la maternità (che è ancora oggi causa principale delle grandi dimissioni di cui tanto si parla), il modello Petralia è prezioso perché aiuta a reimmaginare il ruolo delle istituzioni a partire dalle relazioni fra gli individui.
La politica della cura, diceva una pensatrice rivoluzionaria come Elena Pulcini, invita a smettere di immaginare la funzione dell’umanità secondo il modello dell’homo œconomicus per ripartire dall’homo reciprocus, accendendo la passione per il dono che non a caso è un tema fondamentale negli studi filosofici e antropologici sul denaro, da Mauss a Simmel. Lalogica del dono, al contrario della logica del denaro, disattiva le simmetrie tipiche dell’economia finanziariaper cui ogni azione richiede un riconoscimento, istantaneo e simmetrico, di un valore corrispettivo (fino al punto che il valore diventa il fine ultimo di ogni esperienza). Il dono, come la cura, sono azioni asimmetriche e tuttavia non immotivate: in questa asimmetria si può creare molta più armonia di quanto non avvenga nelle simmetrie e nelle computazioni.
L’esperienza sulle Madonie, confermano le ricercatrici, dimostra che l’investimento sui legami e sulla cosa pubblica – tramite un’incentivazione dello scambio e un disincentivo sulla contabilizzazione – restituisce sempre del bene che ritorna, però, in maniera imprevedibile e asincrona rispetto alle aspettative, riabilitando un effetto-sorpresa che ormai la nostra società ha relegato a episodi iper-consumistici come alcune feste comandate. Le politiche pubbliche che valorizzano il lavoro di cura illuminano, dunque, la ragione stessa del dono (il donare), da una parte, e oscurano l’idea per cui si dona tanto perché si possa (o si debba, peggio ancora) ricevere qualcosa in cambio. Non c’è giustizia di genere senza giustizia sociale, partendo dall’idea che una comunità è giusta solo se siamo tutti considerati vulnerabili.
(*) Angela Condello è docente di Filosofia del diritto, Università degli Studi di Messina.