La danza del corpo nel tempo presente
Laura Minguzzi
27 Luglio 2022
Come sostiene Giulia Valerio citata da Maria Livia Alga, sembra una regressione tornare alla sorgente viva della libertà femminile, “al corpo libero” del sentire proprio della relazione duale primaria incondizionata, quella con la madre, dove non regna l’aut aut. Nella guerra in corso in Ucraina invece domina il linguaggio dell’assoluto: o si vince o si perde. La sconfitta dell’altro è la vittoria propria. Non c’è spazio per la dimensione negoziale. È la coazione a ripetere della logica maschile?
Non è più così per tutti gli uomini. Vediamo intorno a noi agire cambiamenti concreti da parte degli uomini che conosciamo, sappiamo che anche un uomo può sottrarsi alla legge del dominio. Per tornare alla politica della negoziazione, che si basa su una mediazione necessaria, io cerco la mediazione quando sento che mi manca qualcosa per realizzare un desiderio e lo vedo in un’altra, e la mediazione funziona quando anche all’altra manca qualcosa e lo trova in me. Non è un confronto fra due identità compatte ma una ricerca in movimento. Da ciò che manca nasce una relazione che assomiglia a una danza a “corpo libero” in uno spazio vuoto. È lo spazio della libera ideazione di ciò che prima non c’era. Si tratta di non temere il vuoto, l’ignoto, la scoperta. Il desiderio e la fiducia sono la base indispensabile nella mediazione fra due forze. Le donne non hanno bisogno di ordine ma di scambio. Nel disordine possono reggere, ma se non c’è scambio di parola e ha il sopravvento la lingua del potere, cadono in depressione.
Nel presente non abbiamo dubbi sulla forza delle donne, ma non sempre sappiamo come tradurla in autorità femminile. Ne ha dato un esempio la Ministra degli Affari Esteri dell’Indonesia Retno Marsudi, che recentemente al G20 in risposta alle pressioni per prendere posizione contro la Russia ha reagito dicendo: “Ci chiedono di schierarci. Ma perché? Noi vogliamo mantenere relazioni con gli uni e con gli altri”, senza lasciarsi includere in quelle fratrie compatte che non sopportano voci discordanti. In questa voce riconosco la lingua materna, la lingua-ragione, come la chiama Lia Cigarini nel Sottosopra dal titolo Un filo di felicità uscito nel 1989.
Negli ultimi mesi ho vissuto un groviglio di sentimenti e ragionamenti confliggenti, scatenati dagli avvenimenti tragici della guerra. Ho ascoltato l’impulso di offrire la mia solidarietà a un’amica ucraina, Tatjana Isaeva, con cui sono in relazione dal 2009 quando si è rivolta alla Libreria di Milano con una richiesta di collaborazione col Museo delle donne della città di Charkiv, di cui era una delle fondatrici. Le ho scritto una mail chiedendole come potevo aiutarla e lei mi ha risposto con una richiesta di sostegno finanziario, non a lei ma all’esercito nazionale. La cosa mi ha raggelato. Dopo un mese di silenzio da entrambe le parti, mi ha scritto su facebook che la figlia Mariya Chorna, un’artista di graphic design, l’ha convinta a lasciare il paese e la città quasi in macerie e ad accettare l’invito di un’amica pittrice austriaca. Mi ha mandato le foto dell’atelier, lei e la figlia insieme con un nutrito gruppo di artiste attorniate da quadri e acquerelli. Mi ha proposto di comprarne uno. Questo è un modo per loro di continuare a vivere dignitosamente in un paese straniero e io l’ho interpretato anche come un suo desidero di non interrompere la relazione con me. Con gioia ne ho scelto uno, coloratissimo, allegro, con un pizzico di ironia e ho sentito che aveva vinto la lingua-ragione del rapporto con la figlia; Mariya era riuscita a strapparla alla pulsione mortifera che la teneva prigioniera, sotto le bombe, vincolata a una sorta di fissazione/fedeltà identitaria. Questo spostamento di Tatjana mi ha poi ispirata ad acquistare un’antologia di scrittrici ucraine, Negli occhi di lei, perché ho sentito il bisogno intimo di approfondire attraverso la lingua della letteratura il mondo reale. Fin dall’infanzia e ancora di più col femminismo delle origini ho sperimentato come la mediazione delle scrittrici mi abbia guidata e orientata come una Madonna Odigitria (la Madonna-guida della tradizione ortodossa) che ha questa funzione simbolica. Una traduzione politica di questa figura è stata per me la pratica dell’affidamento, che mi ha permesso di realizzare desideri e vivere liberamente con indipendenza di pensiero.