Il continuum tra piacere ed economia
Loredana Aldegheri
15 Dicembre 2022
Domenica 4 dicembre la Libreria delle Donne di Milano ha lanciato un dibattito, tra le convenute in sede e le tante collegate on-line, sul “trovare le parole del piacere femminile”. Il tema ha suscitato molto interesse, poiché davvero alta è stata la partecipazione alla discussione e anch’io ho sussultato proprio per il piacere di non perdere l’occasione di questo stimolante confronto.
Avevo dentro la notizia, riportata da quasi tutti i giornali generalisti, sullo studio del Censis che fotografava un’Italia malinconica e semmai prossima alla depressione.
Sentimenti presentati in una chiave di diffuso impoverimento umano, benché la psicanalisi annoveri la malinconia e la depressione come il preludio di una “rinascita”, se assunte e attraversate senza rimozione.
In Libreria, tra i contributi iniziali, molto vivi e aderenti alle differenti soggettività anche generazionali, mi avevano toccata le immagini con le quali aveva esordito la filosofa napoletana Stefania Tarantino. Si trattava di arazzi che rappresentavano i cinque sensi e uno rappresentava armonicamente l’insieme “dell’umano sentire”, arazzi custoditi nel Museo Nazionale del Medio Evo di Cluny a Parigi. Un incanto! Poi Tarantino aveva offerto altre immagini con le parole dell’esperienza: il suo muoversi nella natura, tra odori, brulichii, quindi del suo piacere a prendersi cura dell’appezzamento di terra dove coltiva anche le olive, partecipando con energia alle necessarie funzioni contadine.
Un racconto, il suo, che risuonava in me come una preghiera, procurandomi l’effetto di un balsamo.
In chiusura, viene detto da Tarantino che il piacere è tale per il fatto che si situa al di fuori dell’economico, ovvero nella sfera del gratuito.
Sostengo l’importanza “politico-educativa” del suo discorso a nutrire un pensiero alto per così andare oltre l’economico che imperversa e che spesso sfianca. Nello stesso tempo, ho potuto reinterrogare la mia scelta di vita, orientata a rendere praticabile un’economia non solo schiacciante e abbruttente, ma semmai fonte di ben-essere, oltre ogni economicismo, fino al piacere e all’amore a concretizzare attività, opere, servizi e lavoro che, senza eludere fatiche e preoccupazioni, si materializzano in soddisfazioni, in valore spesso collettivo, includendo il transito del denaro necessario.
Detto ciò, è come se coabitassero positivamente in me la bellezza dell’arte, che mi ha insegnato ad apprezzare Anna Di Salvo negli incontri di Città Vicine, e l’operare nel mercato senza per questo appiattirsi sul mercato.
E mentre scrivo queste note, mi si affastella la mente di situazioni in cui vedo volti femminili felici fare ciò che semplicemente sentono di essere chiamati a fare, ma non a testa bassa. Vedo Dora, cittadina bulgara, prendersi cura con vera passione di mia cugina Carla “semidemente”, tanto che il medico curante, quando la sapeva in ferie, diceva che doveva tornare al più presto per farla guarire dagli altri acciacchi, dove lui, con i suoi strumenti, non stava arrivando.
Vedo gli occhi, spesso commossi, di Paola che, rinunciando al lavoro tradizionale di architetta, con la sua associazione Quarta Luna, affidata alla Mag, si è intestardita a recuperare una villa abbandonata di proprietà comunale e, dedicandovicisi anima e corpo, tra contestuali raccolte fondi e interventi mirati al tetto, tra feste di comunità e pulizie del parco da detriti vari – sempre con guanti e stivali – ha disseminato piacere tra grandi e piccini, pronti a far rivivere nella villa le fiabe di sempre. E ora arriva anche il PNRR a completare l’opera.
L’economia del desiderio ha aperto la strada all’economia pubblica che pure vogliamo.
Così siamo tutte contente nel vedere l’evolversi di una complessa “trama”, sperata ma non scontata, senza cancellare i tanti paletti frapposti dalle burocrazie municipali.
Da ultimo, ricordo qui, lo splendido sorriso di Giovanna della cooperativa CLM che ha lavorato oltre quarant’anni tra lamiere per termosifoni e simili. Ogni venerdì organizzava la cena dei soci e delle socie della cooperativa nella taverna di casa, per ricaricarsi insieme attraverso discussioni e risate interminabili. Diceva: «la nostra è una cooperativa vera, nel marasma delle cooperative finte», perché «se volemo ben»… «fasemo tante ore, prendemo un buon stipendio, come è scritto mensilmente nel tabelon; tutto in regola, e dasemo lavoro ai giovani».
A conclusione sento che non solo non c’è inimicizia tra bellezza ed economia, ma che semmai può esserci un continuum, sempre che l’economia – in pratica – resti fedele al suo radicale significato etimologico: la cura della Casa Comune.
La bellezza, le arti ed il piacere generato possono accompagnare tale fedeltà.