13 novembre 2016 #VD3. Una lettura del presente. 1.
Lia Cigarini
24 Novembre 2016
Sottolineo qui che le sindache sono importanti prima di tutto perché il voto che ricevono è dato alla persona, poi perché indicano un cambiamento dell’opinione pubblica che dimostra di avere fiducia nella capacità delle donne di amministrare anche grandissime comunità. Un di più femminile riconosciuto?
Ci sono, poi, nella politica sempre più donne. Cito solo quelle al massimo del potere, ma ce ne sono tantissime altre anche in Italia: Angela Merkel, Teresa May, Janet Yellen e Christine Lagarde (rispettivamente: la prima, presidente della Banca Centrale Americana FED, la seconda Presidente del Fondo Monetario Mondiale). Aggiungo poi Hilary Clinton che ha perso la sfida ultima con Trump ma avendo più voti popolari. Questo è importante per me poiché la mia attenzione, oggi, è volta ai cambiamenti dell’opinione popolare.
Infine sottolineo che in Italia sono la maggioranza nella sanità, nella giustizia, nella scuola, nell’apparato dirigente dello Stato, anche in cariche apicali.
Le donne (e dico le donne e non le femministe) sono in movimento da cinquant’anni (e non solo nel mondo occidentale) con una consapevolezza comune, di tutte, mi viene da dire, che il dominio maschile non è più sopportabile, sia esso quello del padre, o del marito, o del compagno o dell’universalismo maschile.
Penso quindi che sia urgente interrogarsi sul significato e il senso di questo enorme cambiamento degli ultimi anni e le nuove contraddizioni che fa emergere. Per me questo è un modo di stare agli accadimenti del presente così come si è fatto nell’incontro precedente di VD3, “Ragazze e algoritmi”.
Un altro fatto è che sempre più donne si dichiarano femministe: scrittrici, artiste, registe, attrici, giornaliste, ecc.; tra loro non poche privilegiano nei loro scritti e nelle loro opere la relazione materna e la genealogia femminile; ad esempio la più ascoltata opinionista della televisione inglese ha dichiarato che la maternità è un’icona del femminismo.
Tutto ciò, mi sembra c’entri molto col pensiero della differenza. Oppure no, vi chiedo?
Tutte voi ricordate un recente passato nel quale i media riferivano che le giovani donne dichiaravano che il femminismo aveva avuto molti meriti, ad esempio il nuovo diritto di famiglia, la legge dell’aborto, del divorzio e le varie leggi di pari opportunità, ma che, oggi, a loro, non aveva più niente da dire. E sembrava dimenticato il femminismo delle origini, quello del partire da sé e della relazione tra donne. Invece oggi accade che sia tradotto negli Stati Uniti «L’Ordine simbolico della madre» e in Francia «Non credere di avere dei diritti» e a Londra una riunione di cinquanta giovani donne ha discusso del femminismo italiano, ritenendolo, appunto, più fedele alla rivolta dell’inizio degli anni settanta.
Tutto questo mi sembra sia da indagare perché una pratica di parola (simbolico) come quella della differenza trova il suo terreno nella cultura vivente diffusa, creando segni della differenza altrimenti muti, altri modificandoli e altri inventandoli.
In sostanza e per concludere sul punto, penso che la soggettività femminile sia in gioco in tutti i campi. Si tratta in fondo di essere riuscite in parte a realizzare i nostri desideri non senza sofferenza e contraddizione.
Ma questo, chiedo, non è avere più libertà? E ci invita a riflettere sul legame tra differenza e libertà. La differenza costituisce il termine transitivo, cioè cosa che non si compie in sé, è un divenire della coscienza e della relazione con le altre, gli altri e il mondo. La libertà è ugualmente relazionale ma sicuramente è un sostantivo.
Va messo in conto il possibile rischio di obliterazione, di cancellazione. In questi anni lo si è visto all’opera costantemente da parte di intellettuali, politici maschi e donne al loro seguito.
Non c’è dubbio però che l’attuale contesto di presenza pubblica femminile dia molte opportunità al nostro pensiero e alla nostra pratica politica. Perché nel cambiamento in corso c’è tutta una rinegoziazione dei rapporti tra i sessi da cui affiora la differenza sessuale. Si tratta di risignificarla. In almeno tre direzioni.
È come se quel granitico baricentro maschile che le leggi di tutela e parità e le quote non facevano che confermare, si sia notevolmente sbilanciato.
Oggi ci sono uomini che considerano indispensabile una presa di coscienza maschile per capire qualcosa di sé e del mondo o che sentono il bisogno di ascoltare e di leggere quello che le donne hanno scritto o che credono in un ruolo salvifico delle donne per salvare la terra. Questo spostamento maschile penso sia dovuto al pensiero e alla pratica della differenza.
È consuetudine infine l’associarsi nell’attività lavorativa tra donne, soprattutto le professioniste e le lavoratrici autonome.
Non siamo tutte partite da lì? Vale a dire voltarsi dalla parte delle donne per trovare forza, cercare la collaborazione e la persona di cui aver fiducia.
Come conseguenza di quello che ho raccontato fino ad ora, io mi arrischio a dire che il conflitto tra donne e uomini è, oggi, uno di quelli centrali: della politica, dell’economia, del lavoro, della demografia e della cultura in generale.
Nel margine (separazione che ha voluto dire staccarsi anche dalla rivoluzione del 1968, gruppi di sole donne) abbiamo guadagnato agio e libertà (F. Collin). Ma oggi possiamo ancora ribadire il valore di quel margine? Io credo di no. Credo ci sia il rischio di diventare marginali, nella calma interna che si è guadagnata nella propria vita, ma che manda via ogni inquietudine e desiderio di conflitto.
Ricordate la sintesi di quella rottura iniziale? Altrove e altrimenti, cioè una diversa pratica politica e luoghi non convenzionali dove svolgerla.
Io personalmente intendo, e l’ho già detto e scritto, tenere fermo l’altrimenti ma non l’altrove.
E allora, che cosa vuol dire oggi mettere in discussione l’altrove?
Vorrei che su questo si aprisse un confronto.